10 - Si
maledice all'ingiusta condanna d'esilio
Questo merito riportò Dante del
tenero amore avuto alla sua patria! questo merito riportò Dante dell'affanno
avuto in voler tôrre via le discordie cittadine! questo merito riportò Dante
dell'avere con ogni sollecitudine cercato il bene, la pace e la tranquillità
de' suoi cittadini! Per che assai manifestamente appare quanto sieno vòti di
verità i favori de' popoli, e quanta fidanza si possa in essi avere. Colui, nel
guale poco avanti pareva ogni publica speranza esser posta, ogni affezione
cittadina, ogni rifugio populare; subitamente, senza cagione legittima, senza
offesa, senza peccato, da quel romore, il quale per addietro s'era molte volte
udito le sue laude portare infino alle stelle, è furiosamente mandato in
inrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad etterna memoria
della sua virtù! con queste lettere fu il suo nome tra quegli de' padri della
patria scritto in tavole d'oro! con così favorevole romore gli furono rendute
grazie de' suoi benefici! Chi sarà dunque colui che, a queste cose guardando,
non dica la nostra republica da questo piè non andare sciancata?
Oh vana fidanza de' mortali, da
quanti esempli altissimi se' tu continuamente ripresa, ammonita e gastigata!
Deh! se Cammillo, Rutilio, Coriolano, e l'uno e l'altro Scipione, e gli altri
antichi valenti uomini per la lunghezza del tempo interposto ti sono della
memoria caduti, questo ricente caso ti faccia con più temperate redine correr
ne' tuoi piaceri. Niuna cosa ci ha meno stabilita che la popolesca grazia;
niuna più pazza speranza, niuno più folle consiglio che quello che a crederle
conforta nessuno. Levinsi adunque gli animi al cielo, nella cui perpetua legge,
nelli cui eterni splendori, nella cui vera bellezza si potrà senza alcuna
oscurità conoscere la stabilità di Colui che lui e le altre cose con ragione
muove; acciò che, sì come in termine fisso, lasciando le transitorie cose, in
lui si fermi ogni nostra speranza, se trovare non ci vogliamo ingannati.
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