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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Padre d'eroi238, Tremmòr239, scendi sull'ale

Dei vorticosi venti ov'hai soggiorno,

dove il forte rotolar del tuono

Di sue fosco-vermiglie orride strisce

Segna le falde di turbate nubi.

Vieni, o padre d'eroi, vientene, e schiudi

Le tempestose tue sale sonanti;

E teco a schiere dei cantori antichi

Vengano l'ombre, e dolci aerei canti

Traggan dall'indistinte armoniche arpe.

Non abitante di nebbiosa valle,

Non cacciator che sconosciuto imbelle

Lungo il rivo natio lento s'affida,

Oscarre al carro nato, Oscàr sen viene

Dal campo della fama. O figlio mio,

Quanto diverso or sei da quel che fosti

Sull'oscuro Moilena240! in le sue falde

Già t'avviluppa il nembo, e seco a volo

Forte fischiando per lo ciel ti porta.

Ah figlio mio, vedi tuo padre? il vedi

Che per la notte erra di poggio in poggio

Sospirando per te? Dormon da lungi

Gli altri guerrier, che non perdero un figlio.

Ma perdeste un eroe, duci possenti

Delle morvenie guerre. E chi nel campo

Pareggiavasi a lui, quando la pugna

Contro il suo fianco si volvea, qual nera

Massa d'onde affollate? Ossian che pensi?

A che quest'atra nuvola di doglia

Sopra l'alma ti sta? presso è il periglio.

Un foco esser degg'io: stringeci Erina,

E solo è il Re241. No, padre mio: fintanto

Che l'asta io reggerò, non sarai solo.

M'alzai d'arme sonante, e alla notturna

Aura porsi l'orecchio, a udire intento

Lo scudo di Fillan: ma suon di scudo

Qui non s'intende; io pel garzon tremai.

Ah scendesse il nemico242! e soverchiasse

Il ben-crinito battagliero! alfine

Udissi un sordo mormorio da lungi,

Quasi rumor del Lego, allor che l'onde

Irrigidite nei giorni del verno

Si rapprendono in ghiaccio, e alternamente

Screpola e stride la gelata crosta:

Risguarda al cielo il popolo di Lara,

E tempesta predice. I passi miei

Sul poggio s'avanzar: l'asta di Oscarre

Mi splendea nella man; rossicce stelle

Guardavano dall'alto. Alla lor luce

Vidi Fillan che tacito pendea

Dalla rupe di Mora: ei del nemico

Sentì la mossa romorosa, e gioja

Nel cor gli si destò243; ma de' miei passi

Odesi a tergo il calpestio; si volge,

Sollevando la lancia. E tu chi sei244,

Figlio di notte? in pace vieni? o cerchi

Scontrare il mio furor? miei di Fingallo

Sono i nemici: o tu favella, o temi

L'acciaro mio: non son qui fermo invano,

Della stirpe di Selma immoto scudo.

E non avvenga mai che invan, risposi,

Fermo in guerra tu stia, vivace figlio

Dell'occhi-azzurra Clato245: ad esser solo

Fingal comincia; oscurità si sparge

Sugli estremi suoi : ma pure ha seco

Due figli ancor246 che splenderanno in guerra.

A rischiarar di sua partenza i passi

Due rai questi esser denno. O sir dei canti,

Il garzon ripigliò, poco è che appresi

A sollevar la lancia, e pochi ancora

Nel campo son della mia spada i segni:

Ma una vampa è 'l mio cor: presso lo scudo

Dell'eccelso Catmòr, di Bolga247 i duci

Vansi accogliendo, e tu veder gli puoi

Su quel poggio colà. Che far degg'io?

Tornar forse a Fingallo? oppure all'oste

De' nemici appressarmi248? Ossian, tu 'l sai,

Nella corsa di Cona249 altrui non cessi

Che ad Oscar tuo. - Che mi rammenti Oscarre?

No no Fillan, non t'appressar, paventa

Di non cader, anzi che metta i vanni

La fama tua250. Noto son io nel canto251

E accorro allor ch'è d'uopo252: io le raccolte

A vegliar mi starò turbe nemiche.

Ma tu taci d'Oscarre: a che risvegli

Il sospiro d'un padre? infin che 'l nembo

Di guerra non passò, scordarmi io deggio

Del diletto guerriero: ovperiglio

Non ha luogo tristezza, e mal sull'occhio

Di verace guerrier lagrima siede.

Così gli estinti valorosi figli

I nostri padri tra 'l fragor dell'armi

Dimenticar solean; ma poi che pace

Tornava alla lor terra, allor tristezza,

Allor dei vati il doloroso canto

Circondava le tombe.253 Era Conarte254

A Tràtalo fratel, primo fra i duci.

Portava di sua spada i monumenti

Ogni spiaggia, ogni costa; e mille rivi

Misto volvean de' suoi nemici il sangue.

La fama sua, come piacevol aura,

Empiè la verde Erina: il popol tutto

In Ullina adunossi, e benedisse

L'eletto re, re della stirpe eccelsa

De' padri suoi255, che la natia dei cervi

Terra lasciò per arrecargli aita.

Ma dentro il bujo d'alterezza involti

Stavan d'Alnecma256 i duci, e gìan mescendo

Voci interrotte di dispetto e d'ira

Giù nel cupo di Muma, orrido speco,

Ove dei padri lor le tenebrose

Burbere forme s'affacciavan spesso

Agli spiragli dei spaccati massi,

Rimembrando ai lor figli iratamente

L'onor di Bolga calpestato e offeso.257

Come? Conarte regnerà? Conarte

Di Morven figlio? uno stranier su noi?

No non fia vero. Essi sboccar col rugghio

Di lor cento tribù, torrenti in piena.

Ma fu rupe Conarte: infranta e doma

Dal fianco suo ne rimbalzò la possa.

Pur tante volte ritornàr, che alfine

Cadder d'Ullina i figli. Il Re si stette

Sopra le tombe de' suoi duci assiso,

E declinava dolorosamente

L'oscura faccia: in sé stesso ravvolto

Era lo spirto suo; gli estinti amici

Seguir prefisse, e già segnato avea

Il luogo della morte e della tomba.

Quando Tràtalo venne, il re possente

Di Morven nubilosa, e non già solo:

Colgarre258 era con lui, Colgarre il figlio

Di Solincorma biancicante il seno,

E dell'invitto Re. Non con più forza

Tutto vestito di meteore ardenti

Dalle sale del turbine e del tuono

Scende Tremmorre, e dal focoso seno

Sopra il turbato mar sgorga tempesta:

Di quella onde Colgarre alla battaglia

Venne fremendo, e fea scempio del campo.

Occhio di gioja rivolgeva il padre

Sui fatti dell'eroe: ma che? di furto

Venne una freccia, e 'l suo gioir recise.

Cadde Colgarre: gli si alzò la tomba,

Né una lagrima uscì: sangue, e non pianto

Il Re versò per vendicare il figlio.

Fuggì Bolga dispersa, e mesta pace

Tornò su i colli: i suoi cerulei flutti

Ricondussero il Duce al patrio regno.

Allor la dolorosa rimembranza

Del figlio estinto gli piombò sul core

Con maggior possa, lagrime sgorgaro

Dalle paterne impietosite luci.

Nello speco di Furmo259 il Re del figlio

Pose la spada, onde il diletto eroe

S'allegrasse in mirarla, e sullo speco

I dolenti cantor con alte grida

Al suo terren natio chiamar tre volte

L'anima di Colgàr; tre volte udilli

Lo spirto errante, e tre porse la testa

Fuor di sua nebbia, e a quel chiamar rispose.

Colgar, disse Fillan, Colgar felice!

Tu fosti rinomato in gioventude.

Ma non per anco il Re vide il mio brando

Errar pel campo in luminose strisce.

Misero!260 con la folla inonorato

Esco alla pugna, e inonorato e misto

Pur tra la folla alla magion ritorno.

Ma il nemico s'appressa. Osserva, ascolta,

Ossian, che romorio! non sembra il tuono

Del terren fra le viscere ristretto261,

Alle cui scosse traballando i monti

Si rovescian sul dorso i boschi ombrosi?

Volsimi in fretta: sollevai nell'alto262

La fiamma d'una quercia, e la dispersi

Sopra il vento di Mora. A mezzo il corso

Arrestossi Catmorre. In tale aspetto

Rupe vid'io, sopra i cui fianchi il nembo

Sbatte le penne, e i suoi correnti rivi

Con nodi aspri di gelo afferra e stringe.

Cotal si stette rilucente, immoto

L'amico dei stranieri263; il vento ergea

La pesante sua chioma. O duce d'Ata,

Della stirpe d'Erina, al volto, al braccio

Il più possente ed il maggior tu sei.

Primo tra' miei cantor, diss'ei, Fonarre

Chiamami i duci miei264, chiama Cormiro

L'igni-crinito, l'accigliato Malto,

E 'l torvo obliquamente riguardante

Bujo di Maronan, vengami inanzi

L'orgoglio di Foldano, e di Turloste

L'occhio rosso-rotante, e venga Idalla,

La cui voce in periglio è suon di pioggia

Ristoratrice d'appassita valle.

Disse; né quei tardar: curvi e protesi

Stavan costoro alla sua voce, appunto

Qual se uno spirto de' lor padri estinti

Parlasse lor tra le notturne nubi.

Terribilmente strepitavan l'arme

Sul petto ai duci, e di lor arme uscia

Vampa feral: così talor vampeggia

Il torrente di Brumo a' rai riflessi

D'infocati vapori; in suo viaggio

Notturno peregrin trema e s'arresta,

E i rai più puri del mattin sospira.

Foldan, disse Catmorre, ond'è che tanto

Versar di notte de' nemici il sangue

Sempre dunque t'aggrada?265 a' rai del giorno

Manca forse il tuo braccio? abbiamo a fronte

Pochi nemici: e fra notturna nebbia

Avviluppar dovremci? amano i prodi

Per testimon di lor prodezze il Sole.

Ma che, duce di Moma? il tuo consiglio

È già vano per sé: Morven266 non dorme;

E gli aquilini suoi vigili sguardi

Non si parton da noi. Di loro squadre

Tutto s'accolga la rugghiante possa;

Domani io moverò; doman di Bolga

Contro i nemici andrò. Chiede vendetta

Degna di me di Bombarduto267 il figlio,

Già possente, ora basso. Inosservati,

Foldan rispose, alla tua stirpe innanzi

Giammai non fur della mia forza i passi.268

Di Cairba i nemici a' rai del giorno

Spesso incontrai, spesso respinsi, e 'l duce

Di lodi al braccio mio parco non era:

Or la sua pietra inonorata, e senza

Stilla di pianto s'alzerà? né canti

Sulla tomba s'udran del re d'Erina?

E allegrarsene ancora impunemente

Dovran costoro? ah non fia vero: a lungo

No non s'allegreran. Fu di Foldano

Cairba amico: e noi mescemmo insieme

Colà nel tenebroso antro di Moma269)

Parole d'amistà; mentre tu ancora

Fanciulletto inesperto ivi pel campo

Capi mietendo di velluti cardi.

Io coi figli di Moma, io spingerommi

su quei colli; io sonnacchiosa o desta

Morven disperderò. Cadrai Fingallo,

Grigio-crinito regnator di Selma;

onor di pianto, né di canto avrai.

Fiacco e basso guerrier, Catmòr soggiunse,

Che parli tu? puoi tu pensar, puoi dunque

Pensar tu mai, che di sua fama ignudo

Cader possa l'eroe? che sulla tomba,

Dell'eccelso Fingal tacciano i vati?

Scoppieria dalla terra e dalle pietre

Spontaneo il canto, e 'l seguiria su i nembi.

Sai tu quando avverrà, che canti e lodi

Scordi il cantor? quando cadrà Foldano.

Troppo scuro se' tu, duce di Moma,

Troppo sei truce, ancor ch'entro le pugne

Il braccio tuo fia turbine e tempesta.

Che? bench'io di furor pompa non faccia,

Forse scordai nella magion ristretta

D'Erina il re? non e' con lui sepolto

L'amor mio pel fratello: allor che ad Ata

Tornar solea con la mia fama, io vidi

Sulla sua crespa annuvolata fronte

Errar sovente di letizia un raggio.

Ciascuno a cotai detti a' proprj seggi

Si ritirò con garrulo bisbiglio;

E a lor vario aggirarsi alle notturne

Stelle, scorrea su per li scudi e gli elmi

Luce cangiante e fievole, qual suole

Riverberar da uno scoglio golfo,

Che l'aura per la notte increspa e lambe.

Sedea sotto una quercia il duce d'Ata;

Pendea dall'alto il suo rotondo scudo.

Dietro sedeagli, e s'appoggiava a un masso

Lo stranier d'Inisuna270, il gentil raggio

Dall'ondeggiante crin271, che di Catmorre

Venne sull'orme, e fe' pel mar tragitto,

Lumon272 lasciando ai cavrioli e ai cervi.

Non lunge udiasi tintinnir la voce

Del buon Fonàr, sacra all'antiche imprese;

E tratto tratto si sperdeva il canto

per lo crescente gorgoglio del Luba.

Crotarre273, ei cominciò, sull'Ata ondoso

Primo fermossi: cento querce e cento

Lasciar più monti di sé stesse ignudi,

Per fabbricar le risonanti sale

De' suoi conviti, ove il suo popol tutto

S'accoglieva festoso. E chi tra i duci

Era in forza o bellezza a te simìle,

Maestoso Crotarre? al tuo cospetto

Di repentina bellicosa fiamma

S'accendeano i guerrieri, e uscìa dal seno

Delle donzelle il giovenil sospiro

Della stirpe di Bolga: al capo eccelso

Feste feansi ed onori; e Alnecma erbosa

D'un ospitegrande iva superba.

Le fere in caccia di seguir vaghezza

Trasselo un sino alla verde Ullina,

Sul giogo di Drumardo. Iva pel bosco

Conlama bella dall'azzurro sguardo,

Conlama figlia di Casmino: il duce

Adocchiò, sospirò: s'arresta incerta

Di rossor, di desìo; vorria scoprirsi,

Nascondersi vorrebbe; or mostra, or cela

La sua faccia gentil tra rivo e rivo

Dell'ondeggiante crin. Scese la notte,

E la luna dal ciel vide il frequente

Alitar del suo petto, e delle braccia

L'inquieto agitar; che 'l nobil duce

Era il dolce pensier de' sogni suoi.

Tre Crotarre con Casmino insieme

Stettersi a festeggiar: nel quarto andaro

Nel bosco a risvegliar cervetti e damme.

Conlama coll'amabili sue grazie

V'andò pur essa: in un augusto passo

In Crotàr, s'abbattè; caddele a un tratto

L'arco di man; volse la faccia, e mezzo

Tra 'l folto crin l'ascose. Arse Crotarre,

E senza più la verginella ad Ata

Tutta tremante seco trasse: i vati

Venner coll'arpe ad incontrarli: e gioja

Per la bella d'Ullina errava intorno.

Ma divampò di furibondo orgoglio

Turloco altier della donzella amante.

Venne ad Alnecma, e con armate squadre

Contro ad Ata si volse. Uscì Cormulte,

Il fratel di Crotarre; uscì, ma cadde;

Il suo popol ne pianse. Allor si mosse

In maestoso e taciturno aspetto

La di Crotarre intenebrata forza:

Ei disperse i nemici, e alla sua sposa

Tornò letizia a serenar lo spirto.

Ma pugna a pugna sopraggiunse, e sangue

Sopra sangue sgorgò. Tutto era il campo

Tombe d'eroi; tutte le nubi intorno

Pregne d'ombre pendean di duci ancisi.

Non avea Alnecma altro riparo o schermo

Che di Crotar lo scudo, e d'esso all'ombra

Tutto si strinse: ei de' nemici al corso

Sé stesso oppose, e non invan: d'Ullina

Pianser le desolate verginelle

Lungo il rivo natio: volgeano il guardo

Sospirando ai lor colli, e giù dai colli

Non scendea cacciator: silenzio e lutto

Possedea la lor terra, e udiansi i nembi

Soli fischiar per le deserte tombe.

Ma qual presaga di tempeste e venti

Aquila rapidissima del cielo

Move a sfidarli, e ne rattien la foga

Con le sue poderose ale sonanti;

Tal mosse alfin dalle morvenie selve

Il figlio di Tremmòr, braccio di morte,

Conarte il valoroso. Ei lungo Erina

La sua possa sgorgò: dietro il suo brando

Distruzion correa: di Bolga i figli

Fuggir da lui, qual da torrente alpino;

Che pel deserto rimugghiando scoppia

Da sfracellati massi, e boschi e campi

Seco avviluppa in vorticosi gorghi

Irreparabilmente, e via si porta.

Crotarre accorse274: ma d'Alnecma i duci

Fuggir di nuovo. Il re tacito e lento

Si ritrasse in sua doglia275. Ei poscia in Ata

Splendette ancor, ma d'una torba luce276,

Come d'autunno il Sol qualora ei move

Nella sua veste squallida di nebbia

A visitar di Lara i foschi rivi;

Goccia d'infetto umor l'appassita erba,

E benché luminoso, il campo è mesto.

Malaccorto cantor, perché risvegli

Alla presenza mia la rimembranza

Di chi fuggì? disse Catmòr277: s'è forse

Dall'oscure sue nuvole qualch'ombra

Fatta agli orecchi tuoi, perché tu tenti

Di sgomentarmi con novelle antiche?278

Abitatori di notturna nebbia,

Voi lo sperate indarno: a questo spirto

Non è la vostra voce altro che un vento

Atto solo a crollar mal ferme cime

D'ispidi cardi, e seminarne il suolo.

Altra voce mi suona in mezzo al petto,

Né l'ode altri che me; questa di mille

Guerre e perigli a fronte, al re d'Erina

Di fuggir vieta, ove l'onor l'appella.

Ammutissi il cantore, e lento lento

S'acquattò nella notte, e non rattenne

Qualche cadente lagrima, membrando

Con quanta gioja in altri giorni il duce

Porgeva orecchio al suo canto gradito.

Già dorme Erina; ma non scende il sonno

Sugli occhi di Catmòr; vid'ei lo spirto

Dell'oscuro Cairba errar ramingo

Di nembo in nembo, del funebre canto

Sospirando l'onor. S'alzò Catmorre;

E scorsa intorno l'oste sua, percosse

L'echeggiante suo scudo. Il suon sul Mora

L'orecchio mi ferì. Fillano, io dissi,

Il nemico s'avanza; io sento il picchio

Dello scudo di guerra: in quell'angusto

Passo tu statti; ad esplorar d'Erina

Le mosse io me n'andrò: se pur soccombo,

Se 'l nemico prorompe, allor percoti

Lo scudo tuo; risveglia il Re, che a sorte

La sua fama non cessi279. Io m'avviai

Baldanzoso nell'arme, un rio varcando

Che pel campo serpea, dinanzi i passi

Del signor d'Ata, e dall'opposta parte

Della verd'Ata il sir fecesi incontro

Ai passi miei con sollevata lancia.

Noi già già ci saremmo in tenebrosa

Orrida zuffa avviluppati e misti,

Quasi due spirti, che protesi e curvi

Da due caliginose opposte nubi,

S'avventano nel sen nembi e procelle:

S'Ossian non iscorgea brillar nell'alto

Il lucid'elmo del signor d'Erina.

Sventolavano all'aura alteramente

Le spaziose sue penne aquiline

In sul cimiero280, e una rossiccia stella

Sfolgorar si scorgea tra piuma e piuma.

Io rattenni la lancia. Oh! dissi, a fronte

Stammi l'elmo dei re. Chi sei? rispondi,

O figlio della notte; e s'egli accade

Ch'io t'abbatta sul suol, sarà famosa

D'Ossian la lancia? A questo nome il duce

Lasciò l'asta cader. L'alta sua forma

Fessi maggior: stese la destra, e disse

Le parole dei re: nobile amico

Dei spirti degli eroi, degg'io fra l'ombre

Incontrarti così? Spesso nei giorni

Delle mie feste io desiai sull'Ata

I passi tuoi di maestà ripieni281,

E 'l tuo spirto gentile: ed or la lancia

Deggio alzar contro te282? Splendesse almeno,

E risguardasse i nostri fatti il Sole,

S'è' pur forza pugnar. Futuri duci

Segneran questo luogo, e andran pensando

Con tremito segreto agli anni antichi.

L'additeran, come s'addita il luogo,

Ove l'ombre dei morti hanno soggiorno,

Che piacevol terrore all'alma inspira.

Che? rispos'io, dimenticanza forse

Se noi scontriamci in amistade e in pace,

Ci coprirà? forse è piacevol sempre

La memoria di stragi e di battaglie

Alle nostr'alme? e non ci assal tristezza

In rimirar delle paterne pugne

Gli orridi campi insanguinati; e gli occhi

Non s'impregnan di pianto? ove con senso

Di lieta gioja a risguardar si torna

Le sale in cui tra lor festosi un tempo

Fer di conca ospital cortese invito.

Parlerà questa pietra ai futuri

Col crescente suo musco, e dirà: quivi

Catmorre ed Ossian ragionaro in pace;

Generosi nemici, e guerrieri prodi.

Pietra, è ver, tu cadrai; verrà 'l torrente

Di Luba, e seco ti trarrà; ma forse

Lo stanco peregrin su questo colle

Addormirassi in placido riposo.

E quando poi l'intenebrata luna

Roterà sul suo capo, allor frammiste

Le nostre ombre famose ai sogni suoi

Entro il suo spirto desteran l'imago

Di questo loco, e questa notte istessa.

Ma perché taci, e ti rivolgi altrove,

Figlio di Borbarduto? Ossian, diss'egli

Non obliati ce n'andrem sotterra;

Saran fonti di luce i nostri fatti

Agli occhi dei cantori; ma intanto in Ata

S'aggira oscurità: senza il suo canto

Giace il signor d'Erina283. Era il suo spirto

Torbido e tempestoso,284 è ver; ma pure

Raggio di fratellevole amistade

N'uscia verso Catmòr, quasi da nembi

Affocati dal tuon, raggio di Luna.

Catmorre, io ripigliai, d'Ossian lo sdegno

Non alberga sotterra, e via sen fugge

Il mio rancor sovra aquiline penne

Da nemico giacente. Avrà Cairba

Il suo canto, l'avrà; datti conforto

Duce, la cura e' mia. S'alzò, s'espanse

L'anima dell'eroe, trasse dal fianco285)

Il suo pugnale; isfavillante il pose

Nella mia man,286 fiso mirommi, e muto

Sospirando partì. Gli sguardi miei

Lo seguitar: ma quei di fosca luce

Scintillante svanì, qual notturna ombra,

Che a peregrin s'affaccia, indi del giorno

Sul primo albor con mormorio confuso

Si ricovra tra i nembi: egli la guata,

Ma più e più la non compiuta forma

Impicciolisce, e si dilegua in vento.

Ma chi è quel, che dalle falde uscendo

Di nebbia del mattin,287 vien dall'erbosa

Valle di Luba? gocciagli la chioma

Delle stille del ciel; vanno i suoi passi

Pel sentier dei dolenti. Ah lo ravviso;

Carilo è questi, il buon cantore antico.

Vien dall'antro di Tura288: ecco l'antro

Nella rupe scavato. Ivi fors'anco

Riposa Cucullin, sul nembo assiso,

Che degli alberi suoi curva le cime.

Udiam: che dolce il mattutino canto

Sta sulle labbra del cantor d'Erina.289

Che scompiglio è sul mar? veggo affollarsi

L'onde tremanti, impaurite, o Sole,

All'appressar de' tuoi splendidi passi.

Sole del ciel, quanto è terribil mai

La tua beltà, quando vapor sanguigni

Sgorghi sul suol, quando la morte oscura

Sta ne' tuoi crini raggruppata e attorta!290

Ma come dolce è mai, come gentile

Tua viva luce al cacciator che stassi

Dopo tempesta in sul suo poggio assiso,

Mentre tu fuor d'una spezzata nube

Mostri la bella faccia, e obliquamente

Van percotendo i tuoi gajetti rai

Sul suo crin rugiadoso: egli alla valle

Rivolge il guardo, e con piacer rimira,

Rapido il cavriol scender dal monte.

Ma dimmi, o Sole, sino a quanto ancora

Vorrai tu rischiarar battaglie e stragi

Con la tua luce? e sino a quanto andrai

Rotando per lo ciel, sanguigno scudo?

Veggio morti d'eroi per la tua fronte

Spaziar tenebrose, e ricoprirti

La chiara faccia di lugubre velo.

Carilo, a che vaneggi? al Sole aggiunge

Forse tristezza?291 Inviolato e puro

Sempre è 'l suo corso, ed ei pomposo esulta

Nel rotante suo foco: esulta e rota

Secura lampa: ah tu fors'anche un giorno

Spegner ti puoi: caliginosa veste

Di rappreso vapor puote allacciarti292

Stretto così, che ti dibatta indarno,

Ed orbo lasci e desolato il cielo.

Siccome pioggia del mattin, che lenta

Scende soavemente in valle erbosa,

Mentre pian pian la diradata nebbia

Lascia libero il varco al nuovo Sole,

Tale all'anima mia scende il tuo canto,

Carilo amico. Ma di far co' versi

Leggiadra gara sull'erbetta assisi

Tempo questo non è: Fingallo è in arme;

Vedi lo scudo fiammeggiante, vedi

Come s'offusca nell'aspetto: intorno

Già tutta Erina gli si volve; or odi:

Quella tomba colà dietro quel rivo

Non la ravvisi, o Carilo293? tre pietre

V'ergono il bigio capo, e vi sta sopra

Fiaccata quercia: inonorato e basso

Vi giace un re: tu n'accomanda al vento

L'ombra negletta: è di Catmor fratello.

Schiudigli tu l'aeree sale, e scorra

Per lo tuo canto luminoso rivo,

Che l'oscura alma di Cairba irraggi.


 




238 - Questo è il soliloquio di Ossian, che si era ritirato dall'armata per pianger liberamente la morte del figlio.



239 - Tremmor è sempre rappresentato come una specie di divinità tutelare della famiglia di Fingal. L'adorazione però dei suoi posteri non sembra d'essere d'altro genere di quella che hanno i Cinesi per l'anime de' loro progenitori.



240 - Moi-Lena, la pianura del Lena.



241 - Ossian era il più vecchio e 'l più screditato guerriero dopo Fingal. Perciò riguardava il padre come solo, quando gli mancasse il suo ajuto e quando la tristezza lo indebolisse soverchiamente.



242- S'è veduto sul fine del canto precedente che Cathmor non era lontano dall'armata. Ucciso Caibar, le tribù che lo seguivano ritiraronsi appresso Cathmor; e questi, come poi si scorge, aveva deliberato di sorprendere Fingal di notte. Filano era stato spedito sul colle di Mora, ch'era a fronte dell'armata de' Caledonj, con ordine di battere lo scudo in caso di qualche movimento del nemico. Ossian, non udendo il noto segno del fratello, temendo per lui, andò a rintracciarlo.



243 - Sperando d'aver occasione di segnalarsi.



244 - Parole di Fillano.



245 - Clatho figlia di Cathulla re d'Inistorre, seconda moglie di Fingal, madre di Fillano e di Bosmina.



246 - Cioè due figli in Irlanda. Erano questi Ossian e Fillano.



247 - Le due parti meridionali dell'Irlanda furono per qualche tempo conosciute sotto il nome di Bolga.



248 - Fillano, avido di gloria, vorrebbe appressarsi al nemico, per aver occasione di combattere. Ma temendo che Ossian glielo vieti, finge di volersi accostare soltanto per esaminar meglio il numero e le forze degl'Irlandesi. Perciò, prevedendo la risposta di Ossian, aggiunge di esser veloce nel corso, con che vuol fargli intendere, non esser da temere ch'egli resti sorpreso dai nemici, poiché come avrà osservato con diligenza lo stato dell'armata di Cathmor, saprà ritirarsi a tempo e salvarsi mercè la sua velocità.



249 - Accenna una gara di corsa fatta lungo il Cona in qualche occasione solenne.



250 - Chi moriva innanzi d'aver guidato una battaglia non aveva diritto all'immortalità, nelle canzoni dei bardi. Il canto era privato, e restava per la famiglia, ma non si conservava fra le memorie della nazione.



251 - E perciò quand'io morissi non perderei che la vita; laddove tu perderesti la fama che dei ancora acquistarti.



252 - Di fatto in tuto il poema non si fa più menzione di Oscar.



253 - Benché il seguente episodio sembri nascere occasionalmente dalla conversazione de' due fratelli, è però ben visibile che il poeta aveva l'occulto fine di accennar l'antica origine delle tante guerre fra gl'irlandesi e i Caledonj.



254 - Conar era figlio di Tremmor, che fu bisavolo di Fingal.



255 - Ciò indica che gl'Irlandesi dell'Ulster erano una colonia dei Caledonj; che Conar o invitato o spontaneamente, si portò a soccorrergli nelle loro guerre, e che da quella popolazione fu eletto primo re d'Irlanda.



256 - Alnecma o Alnecmath era l'antico nome della provincia del Connaught. I duci di Alnecma erano i Fir-bolg stabiliti nella parte meridionale dell'isola, prima dello stabilimento dei Caledonj nell'Ulster. Da quel che segue apparisce che i Fir-bolg fossero i più potenti.



257 - Parole dei capi del Connaught.



258 - Colgar era il primogenito di di Trathal. Comhal, suo fratello padre di Fingal, come assai giovine, sarà rimasto in Morven.



259 - Furmono: sarà questa una grotta in Morven; questo è il solo luogo in cui se ne fa menzione.



260 - Le canzoni dei bardi celebravano sempre il capitano, non i guerrieri subalterni. Fillano per la sua gioventù non aveva ancora conquistato l'armata.



261 - Sembra che Ossian supponesse che il tuono e 'l tremulo nascessero dalla stessa causa.



262 - Da ciò che segue sembra che Ossian ciò facesse per indicar ai nemici che indarno speravano di sorprenderli.



263 - Cathmor è spesso distinto da Ossian con questo onorevole titolo. La sua singolare generosità verso gli stranieri si rendeva notabile anche in quei tempi d'ospitalità.



264 - Da ciò si scorge che l'armata irlandese non era ancora in marcia, ma solo tumultuava per moversi, aspettando il cenno di Cathmor, che s'era inoltrato solo per osservar la posizione del campo de' Caledonj.



265 - Apparisce da ciò, che Foldath fu quello che aveva consigliato l'attacco notturno, benché il poeta non ne abbia fatto cenno. Sembra che Cathmor, benché dapprima con ripugnanza, fosse sul punto di cedere all'impazienza de' suoi capitani.



266 - Paese al mezzogiorno del Connaught, una volta famoso per la residenza del Pontefice de' Druidi.



267 - Borbar-duthul: il burbero guerrier dall'occhio oscuro. Era questi il padre di Caibar e di Cathmor.



268 - Sembrava che Cathmor l'avesse tacciato di timore, rinfacciandolo di amare gli assalti notturni. Foldath ribatte a questo rimprovero.



269- Si credeva che la grotta di Moma fosse abitata dagli spiriti dei capitani dei Fir-bolg; e la loro posterità mandava qua a consultare, come ad un oracolo, intorno all'esito delle guerre.



270 - Inis-huna, nome antico di quella parte dell'Inghilterra meridionale ch'è più prossima all'Irlanda.



271 - S'intende con queste parole Sulmalla figlia di Gommor re d'Inisuna. Ella aveva seguito Cathmor travestita da guerriero. La sua storia è riferita diffusamente nel canto IV.



272 - Monte d'Inisuna



273 - Crothar era l'ascendente di Cathmor, ed al suo tempo si accesero le prime guerre fra i Fribolgi e i Caeli



274 - Essendo Crothar l'antenato di Cathmor, il cantore delicatamente raddolcisce la sua disfatta col dir solamente che il suo popolo fuggì.



275 - E dovette umiliarsi alla potenza di Conar.



276 - Ebbe occasione di segnalarsi in altre guerre; ma restò sempre afflitto di aver dovuto cedere al suo rivale.



277 - Cathmor avea tutte le ragioni di sgridar il cantore. Il complimento di Fonar non era punto obbligante per la famiglia di Atha, né di un augurio per Cathmor. Non poteva scegliersi argomento più inopportuno, né più atto a scoraggiar l'esercito, e a far presagir male dell'esito della battaglia.



278 - Essendo i cantori dell'ordine de' Druidi, i quali si arrogavano la prescienza degli eventi, si supponeva che essi pure avessero qualche natural conoscimento dell'avvenire. Cathmor perciò credette che Conar avesse scelto quell'argomento, affine di predirgli indirettamente il suo destino, ombreggiato da quello di Crothar.



279 - Essendo sorpreso dai nemici.



280 - Lo stesso cimiero portavano i re caledonj, giacché parlandosi dell'elmo di Fingal troveremo spesso mentovate le penne dell'aquila. Conar e i suoi discendenti dovettero portarlo come indizio della loro origine caledonia e la famiglia di Atha, che pretendeva aver diritto al trono dell'Irlanda, si sarà arrogata la stessa insegna reale.



281 - Ossian era già noto a Cathmor non pur di fama, ma di persona.



282 - Non si trova in queste poesie esempio di combattimenti notturni. Le battaglie sian generali, sian particolari, erano sempre divise dalla notte. Cathmor, benché con dispiacere, mostra di non ricusar la battaglia, perché non sembri che la notte gli serva da scusa.



283 - Da ciò si scorge che il canto funebre dovea cantarsi sopra la tomba del morto, altrimenti qyest'uffizio poteva rendersi a Cairbar dai cantori irlandesi.



284 - Vuol domandare ad Ossian una canzone per Cairbar ma non osa farlo apertamente, e si scusa di questo cenno indiretto, allegando i doveri della gratitudine e della benevolenza fraterna.



285 - Sembra ch'egli non aspettasse un atto così singolare di generosità; e che restasse sopraffatto e sorpreso.



286 - In pegno d'amicizia.



287 - S'intende che spunti il secondo giorno dell'apertura del poema.



288 - Ove stava ritirato dopo la morte di Cucullino.



289 - Segue un inno di Carilo al sole.



290 - Par che accenni il tempo di qualche infezione.



291 - Forse il sole come maschio dovea, secondo Ossian, aver più fermezza della luna, la quale egli suppone che s'abbandoni al dolore ed al pianto.



292 - Intende probabilmente un'eclissi.



293 - Questo è il solo titolo che può meritar questo onore.






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