Ugo Foscolo
Dell’origine e dell’ufficio della letteratura

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Elementi dunque della società furono, sono e saranno perpetuamente il principato e la religione; e il freno non può essere [46] moderato se non dalla parola che sola svolge ed esercita i pensieri e gli affetti dell’uomo. Ma perché quei che amministrano i frutti delle altrui passioni sono uomini anch’essi, e quindi talvolta non veggono la propria nella pubblica prosperità, la natura dotò ad un tempo alcuni mortali dell’amore del vero, della proprietà di distinguerne i vantaggi e gl’inconvenienti, e più ancora dell’arte di rappresentarlo in modo che non affronti indarnoirriti le passioni dei potenti e dei deboli, né sciolga inumanamente l’incanto di quelle illusioni che velano i mali o la vanità della vita. Ufficio dunque delle arti letterarie dev’essere e di rianimare il sentimento e l’uso delle passioni, e di abbellire le opinioni giovevoli alla civile concordia, e di snudare [47] con generoso coraggio l’abuso o la deformità di tante altre che, adulando l’arbitrio de’ pochi o la licenza della moltitudine, roderebbero i nodi sociali e abbandonerebbero gli Stati al terror del carnefice, alla congiura degli arditi, alle gare cruente degli ambiziosi e alla invasione degli stranieri. E appunto nell’origine della letteratura, quando ella emanava della divinazione e dall’allegoria, vediamo contemporanee al potere dello scettro e degli oracoli la filosofia che esplora tacita il vero, la ragione politica che intende a valersene sapientemente, e la poesia che lo riscalda cogli affetti modulati della parola, che lo idoleggia coi fantasmi coloriti della parola, e che lo insinua con la musica. Cantavano Lino ed Orfeo che i monarchi erano [48] immagine in terra di Giove fulminatore, ma che doveano osservare anch’essi le leggi, poiché il padre degli uomini e de’ celesti obbediva all’eterna onnipotenza de’ Fati. Cantavano la vendetta contro Atteone e Tiresia che mirarono ignude le membra immortali di Diana e di Pallade nei lavacri, per atterrire chi s’attentasse di violare gli arcani del tempio; ma distoglieano ad un tempo dai terrori superstiziosi le genti, rammentando nelle supplicazioni agli iddii che anch’essi pur furono un tempo e padri ed amanti ed amici, e che soccorressero alle umane necessità, da che aveano anch’essi e sudato nel loro viaggio terreno. Tutte le nazioni esaltando il loro Ercole patrio [49] ripeteano con quante fatiche egli avesse protetti daglinsulti delle umane belve, ancor vagabonde per la grande selva della terra, que’ primi mortali che la certezza della prole, delle sepolture e dei campi, e lo spavento delle folgori e delle leggi aveano finalmente rappacificati; e quegl’inni accendeano i condottieri alla gloria e i combattenti al valore. Fumavano le viscere palpitanti delle vergini e dei giovanotti su l’are, perché i popoli nella prima barbarie libano al cielo col sangue innocente e coi teschi; ma i simulati consigli d’Egeria al pio successore di Romolo, e la frode della cerva immolata sotto le sembianze d’Ifigenia placarono ne’ templi della Grecia e del Lazio il desiderio di vittime umane. Sovente ancora la metafisica delle scienze si ornò [50] dell’allegoria per idoleggiare le idee che, non arrendendosi ai sensi, rifuggono dall’intelletto. Credevano i savi antichissimi che l’attrazione della materia avesse a principio combinate e propagasse in perpetuo le forme ed il moto degli enti: e narrarono che nel caos e nella notte nascesse Amore, figlio e ministro di Venere, di quella deità ch’era simbolo della natura. Credevano che l’acqua, il fuoco, l’aere, la terra fossero elementi del creato: e i poeti cantarono Venere nata dall’onde, voluttà di Vulcano, abitatrice dell’etere, animatrice di tutta la terra. Ma poiché le allegorie vennero adulterate dall’orgoglio de’ potenti, dalla ignoranza del volgo, dalla venalità dei letterati, le scienze si [51] vergognarono della poesia, e si ravvolsero tra i misteri dei loro numeri; e Venere fu meretrice e plebea, sposa di quanti tiranni vollero essere numi, genitrice di quanti numi abbisognavano a’ sacerdoti, ministra di quante immaginazioni conferivano alle laide allusioni degli artefici e dei cantori, ed esempio di quanti vizi effeminavano le repubbliche. E voi trattanto, o retori, ricantate boriosamente le favole, unica suppellettile delle vostre scuole, senza discernere mai le loro severe significazioni; e i nostri Catoni le attestano per esercitare la loro censura contro le lettere; e gli scienziati ne ridono come di sogni e d’ambagi; e i più discreti compiangono quel misero fasto di fantasmi e di suoni. Ma pur nel sommo splendore della greca filosofia Platone vide tra quelle favole i principi del mondo civile27. E mentre [52] il genio de’ Tolomei richiamava in Egitto le scienze e le lettere onde restituirle alla Grecia spaventata da’ trionfi d’Alessandro, Maneto, pontefice egizio ed astronomo insigne fondò su quelle favole la teologia naturale28. E Varrone, maestro de’ più dotti Romani, diseppelliva da quelle favole gli annali obbliati d’Italia29. E Bacone di Verulamio, meditando di rivendicare alla filosofia l’umano sapere manomesso dall’arguzia degli scolastici, chiese norme alla natura, e le trovò in quelle favole pregne della sapienza morale e politica de’ primi filosofi30. Per esse il Vico [53] piantò vestigi verso le sorgenti dell’universa giurisprudenza, ed acquistava primo la meta, se la contemplazione del mondo ideale non l’avesse talor soffermato, e se la povertà, compagna spesso de’ grand’ingegni, non precideva il suo corso31. Per esse e dai loro simboli fu dal Bianchini desunta un’istoria universale, di cui l’Italia non seppe in cent’anniprofittaregloriarsene32; ma che fu seme in terra straniera all’istoria filosofica delle religioni, egregio libro, quantunque alla ragione di quei principj bastasse men pertinacia di sistema, ed eloquenza [54] più riposata e più parca33.

 





27 Segnatamente nel Cratilo e nel Convito.



28 Bailly, Storia della Astronomia.



29 Cicerone nelle Filosofiche, passim, e il Vico nel libro De antiquissima Italorum sapientia.



30 Vedi il suo libro De sapientia veterum.



31 Principj d’una scienza nuova, ecc.



32 Istoria universale, espressa con monumenti e figurata con simboli degli antichi, di monsign. Francesco Bianchini, veronese.



33 Dupuis. Origine de tous les cultes.



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