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Bensì gli uomini letterati, che Didimo scrivendo nomina Maestri miei lodarono lo spirito di veracità e d’indulgenza d’un altro suo manoscritto da me sottomesso al loro giudizio. E nondimeno quasi tutti mi vanno dissuadendo dal pubblicarlo; e a taluno piacerebbe ch’io lo abolissi. È un giusto volume dettato in greco nello stile degli Atti degli Apostoli; ed ha per titolo Didémou klhrikoè „UpomnemŽtvn biblÞa p¤nte: e suona Didymi clerici libri memoriales quinque. L’autore descrive schiettamente i casi per lui memorabili dell’età sua giovenile: parla di tre donne delle quali fu innamorato; e accusando sé solo delle loro colpe, ne piange; parla de’ molti paesi da lui veduti, e si pente d’averli veduti: ma più che d’altro si pente della sua vita perduta fra gli uomini letterati, e mentre par ch’ei gli esalti, fa pur sentire ch’ei li disprezza. Malgrado la sua naturale avversione contro chi scrive per pochi, ei dettò questi Ricordi in lingua nota a rarissimi, affinché, com’ei dice, i soli colpevoli vi leggessero i propri peccati, senza scandalo delle persone dabbene; le quali non sapendo leggere che nella propria lingua, sono men soggette all’invidia, alla boria, ed alla venalità: ho contrassegnato quest’ultima voce, perché è mezzo cassata nel manoscritto. L’autore inoltre mi diede arbitrio di far tradurre quest’operetta, purché trovassi scrittore italiano che avesse più merito che celebrità di grecista. E siccome, dicevami Didimo, uno scrittore di tal peso lavora prudentemente a bell’agio e con gravità, i maestri miei avranno frattanto tempo, o di andarsene in pace, e non saranno più nominati né in bene né in male; o di ravvedersi di quegli errori, attraverso de’ quali noi mortali giungiamo talvolta alla saviezza. Farò dunque che sia tradotto; e quanto alla stampa, mi governerò secondo i tempi, i consigli e i portamenti degli uomini dotti.