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X. Uno di que' poeti in cui va unita la inspirazione a sobria e profonda conoscenza de' misteri dell'arte loro, ha notato «che troviamo diletto nelle rappresentazioni della vita che il poeta ci fa, per l'amore appunto che portiamo alla vita stessa, e tutte le imitazioni di oggetti hanno un certo valore per la mente, come sembianze e ricordi di una vita peritura.»49 Il vero di tale osservazione e l'applicarla ad opere d'immaginazione si può intendere appieno da chiunque consideri, che l'amore alla vita muove dalla coscienza che abbiamo di esistere: — che sì fatta coscienza risulta dall'esercizio delle nostre facoltà: — che tal esercizio ci affatica e consuma: — che ad esso quindi opponiamo costante desiderio di riposo. Per tal modo possiamo spiegare il conflitto tra le nostre propensioni, vôlte ora alla irrequietezza e ora all'inerzia, dal quale avviene che tutti gli uomini più o manco sieno talora travagliati. Opino io che il moto e l'equilibrio delle facoltà mentali mantengansi in noi, come i battiti del cuore, da continua oscillazione dall'una all'opposta parte, e che, come prima questa cessa, cessi la vita. Sempre in traccia di riposo, per ciò stesso ci fugge sempre. Ove ci avvenga di trovarlo in un ozio assoluto, l'esistenza ci si rende noiosa, e gli è allora che tremiamo e al pensiero che la vita ci sfugge e all'appressarsi dell'unica tranquillità reale, la morte. Pur come il riposo perfetto delle facoltà ci fa stupidi, così la turbolenza violenta delle passioni ci affoga: — quindi la rappresentazione delle passioni altrui ne aggrada, facendoci consapevoli dell'esistenza con eccitamenti e non con tribolazioni, e ne apporta insieme i piaceri dell'agitazione e del riposo. La rappresentazione dell'amore più vivamente ci riscuote di quella dell'altre passioni, i cui semi, come che nel petto d'ogni uomo stieno racchiusi, pur non si svolgono ove ad esso manchi l'aiuto di circostanze, che a molti non occorrono mai, dove l'amore e la morte sono, come Dante dice del Sole,
Li ministri maggior della Natura;
la quale coll'amore soltanto può riprodurre le sue creazioni, che la morte va perpetuamente struggendo. Ma tutti quasi gli scrittori veggono l'amore vestito di quelle esteriori apparenze, che può accidentalmente pigliare da costumi speciali ad ogni nazione ed età. Così i romanzi raro piacciono alla generazione che succede, perchè rappresentano più le eventuali e passeggere forme, che l'intima natura d'amore. Ma quando un grande poeta traduce il proprio cuore nella pittura ch'ei fa dell'amore, caverà lagrime dagli occhi d'ognuno in ogni tempo. Sebbene il Petrarca sollevi questa passione all'altezza della propria mente, e l'adorni secondo le metafisiche speculazioni e i costumi del suo tempo, tuttavia ci pone dinanzi agli occhi molte sembianze e memorie de' nostri propri sentimenti. Gli è forse il più felice tra que' poeti «che destano a stupore con guizzi di natura sfuggiti alla osservazione o svaniti omai dalla memoria nostra, e come se ci restituissero davanti un amico perduto o lontano, ci commuovono con tenerissima illusione, sgombra però da quell'indistinto che è ne' sogni.» Nella poesia del Petrarca ci occorre ogni menoma circostanza della nostra passione; pene, piaceri, speranze, timori sperimentati; e a volte con solo un verso egli ci fa retrocedere a rivivere di nuovo colla persona che un tempo ne fu più cara, e che forse da gran pezza ci è scomparsa dagli occhi, per non dir anche dalla memoria. L'altezza dello stile e l'ornamento delle immagini, lungi dal farne ritrosi, a lui anzi ne trae, perchè pare ch'egli adoperi ogni accorgimento dell'arte a farci spettatori e compagni della felicità, o della miseria sua:
Qui cantò dolcemente, e qui s'assise;
Qui si rivolse, e qui rattenne il passo;
Qui co' begli occhi mi trafisse il core;
Qui disse una parola, e qui sorrise;
Qui cangiò 'l viso. In questi pensier, lasso,
Notte e dì tiemmi il signor nostro Amore.