Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

SAGGIO SOPRA LA POESIA DEL PETRARCA

XVII

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XVII. Prima che al tutto ei si recasse a noia il mondo, aveva viaggiato, «esaminando ogni cosa con instancabile attenzione, osservando costumi ed indoli delle nazioni, e tutti gli altri paesi europei raffrontando con l'Italia69 I tempestivi passi verso la civiltà, e la presente decrepitezza della patria del Petrarca fanno ragione del pari e dell'esagerato patriottismo di lui,70 e delle severe censure di moderni statisti, i quali, benchè giusti a volte, rado sono equi. Quelle menti che possono sopravvedere la umana razza in tutte le vicissitudini ed epoche, ben sanno che stagioni di gloria e di calamità son prefisse ad ogni nazione, e ne giudicano con candore.71 Pure, se il Petrarca esalta i suoi concittadini a detrimento degli estranei, prova piuttosto la sicurezza di osservatore pratico, che non il capriccioso sentenziare di un autore di viaggi per professione; e risguardando all'istruzione che possiamo tuttavia attingere al suo epistolario, ove ragiona de' fatti, costumi e caratteri di quell'età, egli merita d'aver posto fra' primi e più dotti viaggiatori d'Europa. Queste lettere sono tuttora inedite; e alcune altre stanno in tutte le edizioni confusamente disposte; molte se ne incontrano citate a lunghi brani da vecchi storici. Ei non fu solo testimonio oculare, ma le sue osservazioni, che paiono spesso effetto di súbite ed efficaci impressioni, portano un'impronta di sincerità. Séguita la traduzione di una delle sue lettere al cardinale Colonna, che Angelo di Costanzo inserì nelle sue Storie del Regno di Napoli.

«Orazio, volendo descrivere una gran tempestade, disse che era tempesta poetica; e mi pare che non potea più brevemente esprimere la grandezza di essa; perchè il cielo irato il mare tempestoso può fare cosa che non l'agguagli e vinca lo stile dei poeti descrivendola... che s'io avrò mai tempo, questa di Napoli sarà materia de' versi miei; benchè non si può dire di Napoli, ma universale per tutto il mare Tirreno e per l'Adriatico: a me pare chiamarla napolitana, perchè contra mia voglia mi ha ritrovato in Napoli; però se io per l'angustia del tempo (volendo partirsi il messo) non posso scriverla a pieno, persuadetevi questo, che la più orribil cosa non fu vista mai. Questo flagello di Dio stato predetto molti giorni avanti dal vescovo di un'isoletta qui vicina per ragione di astrologia: ma come suol essere che mai gli astrologi non penetrano in tutto il vero, avea predetto solo un terremoto grandissimo ai venticinque di novembre, per il quale avea da cader tutta Napoli, ed avea acquistato tanta fede, che la maggior parte del popolo, lasciato ogni altro pensiero, attendea solo a cercare a Dio misericordia de' peccati commessi, come certo d'avere da morire di prossimo; dall'altra parte molti si ridevano di questo vaticinio, dicendo la poca fede che si dèe avere agli astrologi, e massime essendo stati alcuni avanti certi terremoti. Io, mezzo tra paura e speranza, ma un poco più vicino alla paura, la sera del ventiquattro del mese mi ridussi, avanti che si colcasse il sole, nell'agloggiamento; avendo veduto quasi la più parte delle donne della città, ricordevoli più del pericolo che della vergogna, a piedi nudi, coi capelli sparsi, coi bambini in braccio andare visitando le chiese, e piangendo chiedere a Dio misericordia.

«Venne la sera, e il cielo era più sereno del solito, e i servidori miei dopo cena andaro presto a dormire; a me parve bene d'aspettare per vedere come si ponea la luna, la quale credo che fosse settima, ed aperta la finestra che guarda verso occidente, la vidi avanti mezzanotte ascondersi dietro il monte di San Martino con la faccia piena di tenebre e di nubi; e serrata la finestra, mi posi sopra il letto, e dopo d'avere un buon pezzo vegliato, cominciando a dormire, mi risvegliò un rumore ed un terremoto, il quale non solo aperse le finestre e spense il lume che io soglio tenere la notte, ma commosse dai fondamenti la camera dove io stava. Essendo adunque in cambio del sonno assalito dal timore della morte vicina, uscii nel chiostro del monasterio, ove io abito; e mentre tra le tenebre l'uno cercava l'altro, e non si potea vedere se non per beneficio di qualche lampo, cominciammo a confortare l'un l'altro. I frati e il priore, persona santissima, che erano andati alla chiesa per cantare mattutino, sbigottiti da sì atroce tempesta, con le croci e reliquie di santi, e con devote orazioni, piangendo, vennero ove io era con molte torce allumate: io, pigliato un poco di spirito, andai con loro alla chiesa, e gittati tutti in terra non facevamo altro che con altissime voci invocare la misericordia di Dio, ed aspettare ad ora ad ora che ne cadesse la chiesa sopra. Sarebbe troppo lunga istoria, s'io volessi contare l'orrore di quella notte infernale; e benchè la verità sia molto maggiore di quello che si potesse dire, io dubito che le parole mie pareranno vane.

«Che gruppi d'acqua! che venti! che tuoni! che orribile bombire del cielo! che orrendo terremoto! che strepito spaventevole di mare! e che voci di tutto un sì gran popolo! Parea che per arte maga fosse raddoppiato lo spazio della notte; ma alfine pur venne l'aurora; la quale per l'oscurità del cielo si conoscea, più che per indizio alcuno, per conghiettura. Allora i sacerdoti si vestiro per celebrare la messa; e noi che non avevamo ardire ancor di alzare la faccia al cielo, buttati in terra, perseveravamo nel pianto e nelle orazioni; ma poichè venne il , benchè fosse tanto oscuro che pareva simile alla notte, cominciò a cessare il fremito delle genti dalle parti più alte della città, e crescere un rumore maggiore verso la marina, e già si sentivano cavalli per la strada, si potea sapere che cosa si fosse. Alfine, voltando la disperazione in audacia, montai a cavallo ancor io per vedere quel che era, o morire. Dio grande, quando fu mai udita tal cosa? I marinari decrepiti dicono che mai fu udita vista. In mezzo del porto si vedeano per lo mare infiniti poveri, che mentre si sforzavano di arrivare in terra, la violenza del mare gli avea con tanta furia battuti nel porto, che pareano tante uova che tutte si rompessero; era pieno tutto quello spazio di persone affogate, o che stavano per affogarsi; chi con la testa, chi con le braccia rotte, ed altri che loro uscivano le viscere. il grido degli uomini e delle donne che abitano nelle case vicino al mare, era meno spaventoso del fremito del mare; si vedea dove il avante s'era andato passeggiando sulla polvere, diventato mare più pericoloso del Faro di Messina.

«Mille cavalieri napolitani, anzi più di mille erano venuti a cavallo , come per trovarsi alle esequie della patria; ed io messo in frotta con essi, cominciai a stare di meglio animo, avendo da morire in compagnia loro; ma subito si levò un rumore grandissimo, che il terreno che ne stava sotto i piedi cominciava ad inabissarsi, essendogli penetrato sotto il mare. Noi fuggendo, ne ritirammo più all'alto; e certo era cosa oltremodo orrenda ad occhio mortale, vedere il cielo in quel modo irato, e il mare così fieramente implacabile: mille monti di onde non nere azzurre, come soglion essere nell'altre tempestadi, ma bianchissime, si vedeano venire dall'isola di Capri a Napoli. La regina giovane, scalza, con infinito numero di donne appresso, andava visitando le chiese dedicate alla Vergine madre di Dio.

«Nel porto non fu nave che potesse resistere, e tre galee che erano venute da Cipri, ed aveano passati tanti mari, e voleano partire la mattina, si videro con grandissima pietà annegare, senza che si salvasse pur un uomo. Similmente l'altre navi grandi che aveano buttate l'ancore al porto, percotendosi fra loro, si fracassarono con morte di tutti i marinari: sol una di tutte, dove erano quattrocento malfattori per sentenzia condannati alle galee che si lavoravano per la guerra di Sicilia, si salvò, avendo sopportato sino al tardi l'impeto del mare per lo grande sforzo de' ladroni che v'erano dentro, i quali prolungaro tanto la morte, che avvicinandosi la notte, contro la speranza loro e l'opinione di tutti venne a serenarsi il cielo ed a placarsi l'ira del mare, a tempo che già erano stanchi: e così d'un tanto numero si salvaro i più cattivi; o che sia vero quel che dice Lucano, che la fortuna aita i ribaldi; o che così piacque a Dio; o che quelli siano più sicuri nei pericoli che tengono più la vita a vile. Quest'è l'istoria della giornata d'ieri. — Il 27 novembre, 1343





69 Cuncta circumspiciens, videndi cupidus explorandique, contemplatus sollecite mores hominum, singula cum nostris conferens. Famil., lib. I, ep. 3, 4: lib. V, ep. 4.



70 Senil., lib. IX, ep. I.



71 Hœc ter a te, Didyme, recitata sint super terram patrum nostrorum, ut misereantur sui omnes; nam sicut autumnus et hyems in singulos annos, sic gloria et calamitas visitant, certis tempestatibus sæculorum, singulos populus terræ. Didymi Clerici, Hypercalypseos, cap. 18, v. 46.



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