Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

SAGGIO SOPRA IL CARATTERE DEL PETRARCA

VII

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VII. Il rammarico di non essere nato fra gli antichi fu cagione dell'incessante suo studio negli scrittori di que' tempi, «fermo com'egli era di vivere con essi, se non altrimenti, col pensiero, per istaccarsi più effettualmente dalla generazione contemporanea96 Parecchie delle sue lettere sono indiritte ad Omero, a Cicerone, a Varrone e ad altri uomini solennissimi dell'antichità, come se fossero ancor vivi;97 ed ogni volta ch'egli scrive a Lodovico, a Francesco, o a Lello di Stefano, intrinseci suoi, o ne fa motto, non dimentica pur mai di chiamarli Socrate, Simonide, e Lelio. È probabile che per stesso avrebbe adottato il nome di qualche illustre antico, se alla cupidità dell'ammirazione del mondo non avesse congiunto il timore di venirne deriso. Però stette contento ad alterare il patronimico Pietro, pronunziato idiomaticamente Petracco e Petraccolo nel sonoro di Petrarcha. Quando Cola di Rienzo sollevò il popolo di Roma, e prese il titolo di Niccola il Severo e il Clemente, il Tribuno di Libertà Pace e Giustizia, l'illustre Liberatore della Santa Romana Repubblica, e citò re a dar conto della condotta loro innanzi a suo tribunale, il Petrarca gli porse le sue lodi e i suoi consigli.98 Pochi mesi dopo gli toccò la mortificazione di udire che il suo eroe, spenti alcuni nobili ed affamata la plebe, erasi fuggito di Roma come un codardo e un traditore. Capitò la novella al Petrarca mentr'era in cammino verso l'Italia; e nella lettera che scrisse in tale incontro, spicca l'affetto suo verso la patria maggiormente che la saviezza: «La lettera del Tribuno mi giunse come un fulmine. Da qualunque banda mi volti, veggo ragioni da disperare. — Roma fatta in braniItalia devastata — che sarà di me in questa pubblica calamità? Dieno altri le ricchezze, il potere, i consigli loro; io per me non posso dare che lagrime99 Chi avvisa che i politici sentimenti dovrebbero rimanere soffocati dalla personale gratitudine, troverà più occasioni di condannare il Petrarca, nel quale, non appena poteva egli sperare di far Roma metropoli dell'universo, tutti gli affetti dell'anima erano assorti nell'entusiasmo di patria. Egli sostenne l'impresa di Cola di Rienzo e la difese a viso aperto, quantunque la parte di lui avesse morto un figliuolo ed un nipote di Stefano Colonna. «I Colonna » egli scrive, «mi sono più cari della vita; ma Roma mi è vie più cara100





96 Incubui unice ad notitiam vetustatis, quoniam mihi semper ætas ista displicuit, ut qualibet ætate natum esse semper optaverim; et hanc oblivisci nisus. animo me aliis semper inserere. Ad Post.



97 Epistolæ ad Viros Illustres.



98 Vedi, tra l'altre, una lunga lettera al Di Rienzo: fac. 535 dell'edizione di Basilea: — e fra' suoi versi latini: Eglog. 5.



99 Famil., lib. VII, ep. 5, ad Lelium.



100 Nulla toto orbe familia carior: carior tamen Roma. Famil., lib. XI, ep. 16.



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