Ugo Foscolo
Jacopo Ortis

PARTE SECONDA

V - Firenze, 7 Settembre

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V - Firenze, 7 Settembre

 

Spalanca le finestre, o Lorenzo, e saluta dalla mia stanza i miei colli. In un bel mattino di Settembre saluta in mio nome il cielo, i laghi, le pianure, che si ricordano tutti della mia fanciullezza, e dove io per alcun tempo ho riposato dopo le ansietà della vita. Se passeggiando nelle notti serene i piedi ti conducessero verso i viali della parrocchia, io ti prego di salire sul monte de' pini che serba tante dolci e funeste mie rimembranze. Appiè del pendio, passata la macchia de' tigli che fanno l'aere sempre fresco e odorato, dove que' rigagnoli adunano un pelaghetto, troverai il salice solitario sotto i cui rami piangenti io stava più ore prostrato parlando con le mie speranze. E come tu sarai giunto presso alla vetta, udrai forse un cuculo il quale parea che ogni sera mi chiamasse col lugubre suo metro, e soltanto lo interrompea quando accorgevasi del mio borbottare o del calpestio de' miei piedi. Il pino dove allora e' si stava nascosto, fa ombra a' rottami di una cappelletta ove anticamente si ardeva una lampada a un crocifisso: il turbine la sfracellò quella notte che lasciò fino ad oggi e mi lascierà finché avrò vita lo spirito atterrito di tenebre e di rimorso15; e quelle ruine mezzo sotterrate mi pareano nell'oscurità pietre sepolcrali, e più volte io mi pensava di erigere in quel luogo e fra quelle secrete ombre il mio avello. Ed ora? chi sa ov'io lascierò le mie ossa! - Consola tutti i contadini che ti chiederanno novelle di me. Già tempo mi si affollavano attorno, ed io li chiamava miei amici, e mi chiamavano benefattore. Io era il medico più accetto a' loro figliuoletti malati; io ascoltava amorevolmente le querele di que' meschini lavoratori, e componeva i loro dissidj; io filosofava con que' rozzi vecchj cadenti ingegnandomi di dileguare dalla lor fantasia i terrori della religione, e dipingendo i premj che il Cielo riserba all'uomo stanco della povertà e del sudore. Ma ora s'attristeranno nel nominarmi, poiché in questi ultimi mesi passava muto e fantastico senza talvolta rispondere a' loro saluti; e scorgendoli da lontano mentre cantando tornavano da' lavori, o riconduceano gli armenti, io gli scansava imboscandomi dove la selva è più negra. E mi vedeano su l'alba saltare i fossi e sbadatamente urtar gli arboscelli, i quali crollando mi pioveano la brina su le chiome; e così affrettarmi per le praterie, e poi arrampicarmi sul monte più alto donde io fermandomi ritto e ansante, con le braccia stese all'oriente, aspettava il Sole per querelarmi con lui che più non sorgeva allegro per me. Ti additeranno il ciglione della rupe sul quale, mentre il mondo era addormentato, io sedeva intento al lontano fragore delle acque, e al rombare dell'aria quando i venti ammassavano quasi su la mia testa le nuvole, e le spingevano a funestare la Luna che tramontando, ad ora ad ora illuminava nella pianura co' suoi pallidi raggi le croci conficcate su i tumuli del cimitero; e allora il villano de' vicini tugurj, per le mie grida destandosi sbigottito, s'affacciava alla porta, e m'udiva in quel silenzio solenne mandare le mie preci, e piangere, e ululare, e guatare dall'alto le sepolture, e invocare la morte. O antica mia solitudine! Ove sei tu? Non v'è gleba, non antro, non albero che non mi riviva nel cuore alimentandomi quel soave e patetico desiderio che sempre accompagna fuori dalle sue case l'uomo esule, e sventurato. Parmi che i miei piaceri e i miei dolori, i quali in que' luoghi m'erano cari - tutto insomma quello ch'è mio, sia rimasto tutto con te; e che qui non si trascini pellegrinando se non lo spettro del povero Jacopo.

Ma tu, amico unico mio, perché appena mi scrivi due nude parole avvisandomi che tu se' con Teresa? E non mi dici né come vive; né se s'attenta di nominarmi; né se Odoardo me l'ha rapita? Corro, e ricorro alla posta, ma senza pro; e torno lento, smarrito, e mi si legge nel volto il presentimento di grave sciagura. E mi par d'ora in ora udirmi pronunziare la mia sentenza mortale - Teresa ha giurato. - Ohimè! e quando mai cesserò da' miei funebri delirj, e dalle mie crudeli lusinghe? Addio.

 





15 «Vedi alla fine di questo volume la lettera 14 Marzo»



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