Ugo Foscolo
Ajace

ATTO TERZO

SCENA QUARTA Agamennone, Ulisse, Ajace

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SCENA QUARTA

Agamennone, Ulisse, Ajace

AGAMENNONE

E chi il ribelle?

Chi il furibondo che meco imperversa?

AJACE

Io. — Le schiere mi togli; e il cor pretendi

Togliermi e il ferro?... — Ecco il ripongo. Udirmi

Spero e insieme rispondermi vorrai.

Teucro dov’è?

AGAMENNONE

Ciò ch’ei tramasse, io tosto

Saprò.

ULISSE

Suo duce e suo fratel non sei?

AJACE

Pur a te venne, o Atride, ei su le prime

Ore del , mentr’io stava con pochi

All’Ellesponto. Trapassando il campo

Mi soffermai qui teco, indi in consesso,

Senza veder le tende mie; chè Teucro

Ivi io credea. Gli mandai tosto un messo

Che nol rinvenne.

ULISSE

Fra le turbe forse

Non l’indagava.

AJACE

Fra le turbe stava

La calunnia e il tumulto. — In parlamento

Talun mi disse che da lunge il vide,

Quando il sol giunto a sommo il ciel non era,

Solo e sul lito piú deserto ai numi

Sacrificar, quasi a mortal periglio

S’accingesse. Volai. Tutti partiti

Celatamente eran con lui gli arcieri.

AGAMENNONE

... Ulisse... seco rimanevi.

ULISSE

E a’ motti

Che a te presente saettò, rimasi.

Or chi non sa che adulator tuo primo

Seminator di scandali mi chiama

Altamente? Costretto o persuaso

Esser potea da me chi tanto m’odia,

Chi mai verun, tranne il fratel, non ode?

Ma e quando pur... a che inviarlo? e dove

Che omai tu, o re, nol risapessi? e ch’ei

Nol ridicesse al fratel suo? Devoto

Stavasi il grande Ajace al monumento

Del Dio Pelide. Ma il minore Ajace,

Piú che fratel sublime amico, forse

L’avria ignorato anch’egli?

AJACE

Ove pur sia

Mal si accusa di trame: egli? — e tradirvi

Senza tradir me e la sua patria insieme

Porria?

ULISSE

Tradir te, il fratel tuo!... — ma e sempre

Udirmi sdegni? e m’abborri?...

AJACE

Il nome

Tuo sempre sdegno io proferir: — ti spregio.

ULISSE

Non vile tuo commiliton m’avesti

Spesso; e pur or tu il confessavi.

AJACE

E tacqui

Che a te rifugio fu il mio scudo spesso.

Pur coTeucri sei prode e vil tra noi.

Non raggiravi oggi vilmente il volgo

E piú vilmente i re? Tua non fu l’arte

Che li sedusse a deferir la lite

A’ prigionieri? Qui il seppi.

Della cieca sentenza il fine astuto

Scerno. Que’ prenci che oltraggi e catene

Difendendo i lor numi hanno mertato,

Sgomentati, ingannati, strascinati

Fien al voler di chi sarà basso

Da deludere i miseri, e crudo

Da perseguirli, e ritorcere in essi

L’astio del volgo. Ah fien difesi! e il grida

Dal suo trono infernale a me il tremendo

Eaco del mio gran padre avo e d’Achille,

E piú tremenda la pietà mel grida.

ULISSE

E chi librar, chi giudicar può i merti

De’ vincitor meglio che i vinti? Alcuni

Da me fur presi, altri dal forte Ajace.

Di sette prenci prigionieri, due

Fratelli sono di Tecmessa; è l’altro

Suo genitor: suborneranno il quarto.

Tolta ad Achille fu dal re la schiava

E a prevenir egual periglio festi

Moglie la tua: i figli tuoi fien pari

A Teucro in ciò; madre Trojana avranno.

Scudo cosí farti dicevi allora,

Oggi il ridici, a’ miseri: e tu il dei.

Dieguerra all’Asia il padre tuo già un tempo;

Fu vincitor; ma poi d’ospizio accolse

Pegni e di pace: ed ebbe iliache spose.

A riveder i suoi congiunti a Troja

Finchè spiri la tregua occultamente

Teucro n’andò: seco ha gli arcieri quindi.

AJACE

Tacito io penso, se lasciarti io deggio

Te adornato di fraudi e d’impudenza

Al vituperio a cui tu vivi; o dentro

Nel tuo cor negro ove l’invidia rugge

Le calunnie rispingere e i sospetti

Col ferro.

ULISSE

E brando v’ha che meglio uccida

Un greco re? Non hai d’Ettore il brando?

AJACE

Ahi fatal dono! E il mio ti diedi, o forte

Ettore, il mio, sul campo ove leale

Nemico egregio contro me pugnavi.

Ti valse almeno a morir per la tua

Patria, e cadesti lagrimato e sacro!

Ma io?... vedi... le furie mi strascinano

A bagnarlo di sangue, di quel sangue

Che tu abborrivi, e ch’io finor difesi.

AGAMENNONE

Ed io finor tacito veggio in uno

Sospetti indegni, empio furor nell’altro.

Necessità d’alto severo quindi

Imperio veggio. — Ajace; di me pensa

Che vuoi; non mento perchè nessun temo.

Le tue schiere sviarti o menomarle

Non curo. Teucro e i suoi senza mio cenno

indizio mio, se pur son lunge, il campo

Abbandonaro: usati modi; ogni uomo

Qui si fa duce, e divezzarvi intendo.

S’anco tornasse vincitor, punito

Il vo’, ch’egli piú ch’altri impaziente

È d’ogni legge, e d’ogni applauso sempre

Avido; ei primo e temerario sempre.

Che s’ei tradisse... in te fidar piú a lungo

Potrei?... — Cessa la tregua. Ebbro il trojano

Di sua vittoria noi tremanti estima

Da che spense l’eroe; s’accorga ei dunque

Se Atride vince. Fin dall’alba indissi

Però l’assalto ad innoltrata notte,

volli, e il voglio perchè il volli. E spenta

Pria nel mio campo ogni discordia volli.

Giudici sien, poco rileva, i prenci

Stranieri. Io il dissi; odilo ancora: Troja

Mai non cadrà, mai per l’acciar d’Achille.

AJACE

Pari alle tue, pacate odi parole. —

Nessun di noi l’armi, per esse, pregia.

Te ambizion, me libertà sospinge,

Livor costui: ardon le brame; e incerto

Sovrasta evento; onde temiam noi tutti.

E tu piú ch’altri, a cui temenza detta

L’imperioso favellar. — D’altrui

Schermo in battaglia ebbe mai d’uopo Ajace?

Sol contro te che a tirannia prorompi

L’armi bramo di lui che i feri moti

Della superba anima tua gelava.

Minor di posse, e pari d’alma, vedi

Me, alle tue mire ambiziose inciampo;

Vedi d’Achille adoratori i greci

Che amor li stringe e meraviglia e l’alta

Religion de’ suoi avi celesti.

Ma il lungo imperio tuo molti fea queti

Al giogo, quindi fu protratto ognora

Lo sterminio di Troja; e tuo d’altronde

L’utile e il vanto ne bramavi. Spento

Alfin è Achille e avvilir vuoi la fama

D’Achille e me. La meraviglia tutta

Poi che l’amor non puoi, tendi in te solo

Trar della Grecia; e guidarla a trionfi

Col tuo valore o a sempiterne guerre,

Finchè di forti vedovata e lassa

Da te pace ed onore abbia e catene. —

Me vile fa d’un vile oggi la gara:

E ov’ei deturpi del Pelide il brando,

Creduto opra divina, anche gli Dei

Fien vano scudo a libertà: Costui

Spregi, ma allenti alle sue trame il freno.

S’ei me tradisca e te ad un tempo, ignoro.

Teucro da lui credo aggirato; e certo

I frigi prenci ingannerà se forse

Nol fe’. Me non vedranno. Inviolato

Servar giurai dell’assemblea il decreto.

Stolto decreto; e giuramento ahi! stolto.

Ma rivocarlo ella può sempre. — Intanto

Non però cessa oggi la lite vera,

E magnanima sia: Apertamente

Dimmi se re son io? Se a Telamone

Il valor mio frutterà infamia e ceppi?

Ma bada, o re, che a terminar tal lite

A noi non resta che la sorte e il volgo.

Tu col terrore; io con l’amor; costui

Con fraudi nuove, lo trarremo al sangue.

AGAMENNONE

Udir detti ribelli, e a tuoi furori

Libero abbandonarti, a te sia prova

Se Agamennon t’avanza. Odine i cenni. —

I re prigioni fien giudici; e tosto. —

L’armi, e le ottenga chi si vuol, fien vili. —

piú a contender di parole, accolti

Fien d’oggi innanzi a pugnar meco i duci;

E all’intimata pugna fra brevora

Mi seguiran. — Di Teucro, ove non rieda,

Mi sarà pegno il figlio tuo. — Chi sia

Qui re il saprai. — Seguimi Ulisse.


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