Carlo Goldoni
La buona famiglia

ATTO SECONDO

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ATTO SECONDO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Costanza e Fabrizio

 

COST. Sarà ora, cred'io, di mandar a prendere Franceschino.

FABR. Nardo fa qualche cosa in cucina, m'ha detto, e poi anderà.

COST. Povero Nardo, non si può negare che non sia un servitore attento per la nostra casa.

FABR. Sì certo; fa egli solo quello che non farebbono due.

COST. In fatti, quando ne avevamo due, eravamo serviti peggio. Principiano a dir fra di loro: tocca a te, tocca a me; e non fa niente nessuno.

FABR. E poi quell'altro aveva il cervello sopra la berretta. Questo ha un po' più del sodo.

COST. E quel che mi piace, dalla sua bocca non si sente mai dir mal di nessuno.

FABR. Nella servitù non è sì facile un tal contegno.

COST. Anche Lisetta è una buona ragazza, di buona indole, amorosa, castigata assai nel parlare.

FABR. Fortuna averla ritrovata così, per ragione della figliuola. Dalla servitù imparano per lo più i figli le male cose che sanno.

COST. Io le bado assaissimo, e non ho motivo di dolermi di niente della cameriera.

FABR. Ringraziamo il cielo di tutto. Si sentono certe cose che accadono altrove, che mi fanno tremare.

COST. Il mondo peggiora sempre, per quel che si sente.

FABR. Eh cara Costanza, il mondo è ognora il medesimo. De' buoni e de' cattivi sempre ce ne sono stati; le virtù e i vizi hanno trovato loco in ogni età, in ogni tempo. Chi ha avuto la buona educazione che aveste voi in casa de' vostri, non ha avuto campo di sentire quante pazzie ci sono nel mondo; ora che sentite discorrere, vi pare il mondo cambiato, e non è così. Anche adesso ci sono delle persone dabbene, che vivono come voi siete vissuta, e ci sono degl'infelici dominati dal mal costume.

COST. Gran disgrazia per chi si trova in certi impegni coll'animo e colla persona.

FABR. Basta, pensiamo a noi, e lasciamo che il cielo provveda agli altri. Se possiamo far del bene, facciamolo, ma senza intrinsicarsi troppo negli affari altrui.

COST. Sapete ch'io sono nemica di certe curiosità. Ma mi rammarico per gli altri, quando mi arrivano all'orecchie cose che sien di danno o di dispiacere a persone anche che non conosco. Quella povera signor'Angiola mi ha contaminato davvero.

FABR. Ma! la povera donna è in una pessima costituzione.

COST. Non è egli stato da voi il di lei marito?

FABR. Sì, c'è stato, e a me pure ha fatto venire il mal di cuore per compassione di lui.

COST. Vi ha confidato ogni cosa dunque?

FABR. Pur troppo mi ha fatto egli la dolorosa leggenda.

COST. Lo stesso ha fatto con me sua moglie. Che vuol dire, vanno d'accordo se non altro in questo, nel dire i fatti i suoi a chi non li vuol sapere.

FABR. (È molto, per altro, che la signor'Angiola dica da sé i suoi difetti. Questi è un principio buono). (da sé)

COST. Ho sentito delle gran cose.

FABR. Ma non bisogna parlarne.

COST. Oh, non v'è dubbio. Dirò come dite voi: farle del bene, se si può; ma non intrinsicarsi.

FABR. Certo il bisogno fa fare delle gran cose.

COST. Vi ha detto il signor Raimondo lo stato di casa sua?

FABR. Sì, me l'ha confidato.

COST. Anche a me la signor'Angiola. Convien dire, che si sieno accordati nella massima per provvedere al bisogno.

FABR. Quando s'arriva a intaccar le gioje, è segno che la necessità stringe i panni addosso davvero.

COST. Vi ha detto anche delle gioje dunque?

FABR. Si è trovato in necessità di dirmelo.

COST. E la signor'Angiola mi diceva, che non voleva che si sapesse.

FABR. Per me sono certi che non lo dico a nessuno.

COST. Nemmen io certamente.

FABR. Le gioje staranno , fin che verranno a riprenderle.

COST. Sono sicuri che saranno ben custodite.

FABR. Con dugento scudi potranno rimediare a qualche loro maggior premura.

COST. No dugento scudi; cento solamente.

FABR. V'ha detto forse cento la signor Angiola?

COST. Sì, mi disse che tale era il di lei bisogno.

FABR. E il signor Raimondo, che sa più lo stato delle cose sue, m'ha detto dugento.

COST. Ma io non gliene ho dati che cento soli.

FABR. Voi avete dato cento scudi?

COST. Io sì.

FABR. A chi?

COST. Alla signor'Angiola.

FABR. Così colle mani vuote? senza sicurezza veruna?

COST. Non signore; non lo sapete voi pure, che mi ha dato le gioje in pegno? Non ve l'ha detto il marito suo?

FABR. Il marito suo ha dato a me un gioiello e due spilloni; ed io su questi gli ho prestati dugento scudi.

COST. E a me la signor'Angiola ha portato un paio di pendenti e un anello, e mi ha pregato che le prestassi cento scudi.

FABR. E a lei li avete prestati? (un poco alterato)

COST. Sì, io. Ho fatto male?

FABR. Dar fuori cento scudi, senza dir niente né al suocero, né al marito, non mi pare cosa molto ben fatta.

COST. Mi ha pregato che non lo dicessi.

FABR. Tanto peggio. Una donna prudente non lo doveva fare. Dovevate dirle, che le mogli savie non fanno le cose di nascosto dei mariti loro.

COST. La compassione m'ha indotto a farlo.

FABR. La compassione, la carità, tutto quel che volete, ha da cedere il luogo al rispetto e alla convenienza.

COST. Non mi pare aver fatto gran male.

FABR. Che paia a voi, o non paia, vi torno a dire che avete fatto malissimo. E poi dar cento scudi, acciò sieno cagione di nuovi scandali, è molto peggio ancora.

COST. Peggio voi, compatitemi, che ne avete dati dugento.

FABR. Io li ho dati a buon fine.

COST. Ed io colla migliore intenzione di questo mondo.

FABR. Orsù, non vo' contendere; ma non mi aspettava da voi un arbitrio simile.

COST. Mi dispiace nell'anima averlo fatto; ma non credo poi di meritarmi un sì fatto rimprovero. Dacché son vostra moglie, non mi avete detto altrettanto; pazienza.

FABR. Non intendo trattarvi male; vi dico, che la dipendenza della moglie al marito deve essere costante ed illimitata.

COST. Non sono poi la serva di casa.

FABR. Ma né anche l'arbitra di disporre.

COST. Pazienza. (si ritira un poco piangendo)

FABR. (Non vorrei averlo saputo). (da sé, con afflizione)

COST. (È tanto buono, e non vuol perdonare una cosa fatta senza malizia). (da sé, come sopra)

FABR. (Si principia così, con poco; guai se prendesse piede). (da sé, come sopra)

COST. (Poteva pure non esser venuta la signor Angiola). (da sé)

FABR. (Gran cosa, che s'abbia d'avere per altri dei stracciacuori). (come sopra)

 

 

 


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