Carlo Goldoni
La cameriera brillante

ATTO TERZO

SCENA ULTIMA

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SCENA ULTIMA

 

Argentina, Flaminia, Clarice, Ottavio, Florindo e detti.

 

ARG. Grazie infinitissime a lor signori, se in grazia mia si contentano di terminare la commediola. Se sono disposti di dire l'ultima scena, può essere che questa dia loro maggior piacere. È benissimo concertata. Si assicurino, che so quel ch'io dico.

OTT. Atti di viltà non ne fo più certamente.

FLOR. Né io di caricatura.

CLAR. Caro signor Florindo, compatitemi, se nel terminare la scena vi ho trattato con poco garbo.

FLOR. Già lo sapete: io non me ne ho a male di niente.

CLAR. Questa, fra i vostri difetti, è una buonissima qualità.

PANT. (Sentì come che i parla franco toscan; e mi fazzo una fadiga del diavolo. (da sé)

ARG. Caro Brighella, fateci il piacere di suggerire.

BRIGH. Son qua: a sto poco de resto. (si ritira)

ARG. Caro signor Anselmo, se veramente mi volete bene, non avrete difficoltà a svelare in pubblico l'affetto vostro.

PANT. Sì, filgia, lo dico alla presenza di queste dame. Dise dame? (verso Brighella)

ARG. Sì, signore, dice così.

PANT. Za la xe una comedia. E alla presenza di questi cavalieri. Ah? (ad Argentina)

ARG. La commedia dice così.

OTT. E fuori della commedia, rispetto a me si dovrebbe dire così.

ARG. Finiamola, signor Anselmo, per carità...

PANT. E alla presenza di tutto il mondo, dico che a questa fanciulla, alla quale ho consacrato il mio cuore, volgio porgere in olocaustico la mia mano.

OTT. In olocausto vorrete dire.

ARG. Ed io, benché nata una serva, non ho viltà di ricusare la mia fortuna. Accetto il generoso dono del mio padrone, ed anch'io gli porgo la mano.

CLAR. Piano, signorina.

ARG. Questo piano non vi è nella parte sua.

CLAR. Ma non vorrei che bel bello...

FLA. A voi che importa? Terminiamo la scena. A chi tocca parlare?

ARG. Tocca a lei per l'appunto. (a Flaminia)

FLA. Cavaliere, poiché conosco che le nobili vostre mire sono uniformi all'altezza de' miei pensieri, credo che il cielo ci abbia fatti nascere l'uno per l'altro, e però fatemi il dono della vostra mano, che in ricompensa vi esibisco la mia. (ad Ottavio)

OTT. Eccola, mia principessa, mio nume.

CLAR. Adagio, signori miei.

ARG. Anche questo adagio ve l'ha messo, che non vi è.

CLAR. Questa scena non mi piace punto.

ARG. La finisca, signora; tocca a lei a parlare. (a Clarice)

CLAR. Sentiamo come conclude. Giovine prudente e saggio... A chi lo dico? (ad Argentina)

ARG. Al signor Florindo.

CLAR. Giovine prudente e saggio, accordo ancor io che l'affettazione sia ridicola in ogni grado, ma se voi foste disposto a moderare il vostro costume trovereste in me una sposa condiscendente.

FLOR. Tocca a me? (ad Argentina)

ARG. Sì, a lei.

FLOR. La cosa si può dividere metà per uno. Discendete voi un gradino dalle vostre pretensioni, mi alzerò io un poco sopra le mie; ed avvicinandosi le nostre massime, si potrebbero unire le nostre mani.

CLAR. Sono pronta a porgervi colla mia destra...

PANT. Adasio, pian, patroni. Adesso mo tocca a mi a dirlo.

ARG. Questo adagio, questo piano, non vi è nemmeno nella vostra parte. Lasciatemi terminar la commedia, che tocca a me. Signor Anselmo, voi mi avete data la mano: son vostra sposa; ad esempio vostro hanno fatto lo stesso quelle due dame coi loro amanti. Ecco, la commedia è finita. Voi non siete più Anselmo, ora siete il signor Pantalone. Un matrimonio che fatto avete con me per finzione, vi vergognereste di farlo con verità? Se mi avete sposata in toscano, mi discacciate voi in veneziano?

PANT. No, fia mia; anzi con tanto de cuor in tel mio lenguazo ve digo che ve voggio ben, e che ve dago la man e el cuor, no in olocaustico, né in fontanella, ma un cuor tanto fatto, schietto, sincero, e tutto quanto per vu.

ARG. Buono. Dunque fra voi e me siamo passati dal falso al vero, senza alcuna difficoltà. Perché dunque non succederà lo stesso di quattro amanti, che come noi hanno figurato nella commedia?

PANT. Mo perché lori...

ARG. Tant'è, la commedia è finita. Abbiamo ad essere tutti eguali: o tre matrimoni, o nessuno.

PANT. O tre, o nissun? Cossa diseu, putti?

FLA. L'ultima scena della commedia mi ha persuaso.

CLAR. Ed a me sono piaciute le ultime parole del signor Florindo.

FLOR. Che volete ch'io dica? Maritarmi voglio sicuramente, e voglio vivere a modo mio; tutto quello ch'io posso fare, si è soffrir qualche cosa da una consorte che non è nata villana.

OTT. Ed io, trovando in vostra figlia i sentimenti d'una eroina, la preferisco a cento dame che mi sospirano.

ARG. Ed io son certa che il signor Pantalone confermerà le nozze del signor Anselmo, perché la serva del signor Anselmo è la cara Argentina del signor Pantalone.

PANT. Sì; tutto quel che ti vol; farò tutto. Za che anca vualtri contenti, sposeve col nome del cielo, e ringraziè Arzentina, che a forza de barzellette, de bone grazie, col so spirito e col so brio, la s'ha contentà ella, la v'ha contentà vualtri, e pol esser che la me fazza contento anca mi.

OTT. Veramente Argentina è una Cameriera brillante.

ARG. Sì signori, io non mi picco di essere né tanto virtuosa, né tanto fiera; ma un poco di spirito l'ho ancor io per regolarmi nelle occasioni. Ho sposato un vecchio, e son certa che alcuni diranno che ho fatto bene, alcuni diranno che ho fatto male. Chi dirà: povera giovine! con un vecchio? È sagrificata. E chi dirà: bravissima. Un vecchio? la tratterà da regina. Alcuni diranno: non le mancherà il suo bisogno. Alcuni altri: poverina! digiunerà. Qualche ragazza mi condannerà, e qualchedun'altra averà di me invidia, e tante e tante, che hanno sposati dei giovinotti cattivi, si augurerebbono adesso di un vecchietto da bene.

Il ben del matrimonio dura tanto,

Quanto dura fra i sposi amore e pace.

Collo spirito e il brio fu sol mio vanto

Quel che giova ottener, non quel che piace

Ché vagliono assai più d'un parigino

I danari, i vestiti, il pane, il vino.

 

 

Fine della Commedia


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