Carlo Goldoni
La casa nova

ATTO TERZO

Scena Sesta. Cecilia, il Conte e Fabrizio

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Scena Sesta. Cecilia, il Conte e Fabrizio

 

Camera nella Casa nova.

 

Conte: Eh via, signora, non si abbandoni ad una sì fatta melanconia.

Cecilia: Eh, sior Conte, chi no ghe drento, facilmente po far l'omo de garbo, e dir delle bele parole per consolar. Pazienzia, la m'ha toccà a mi sta volta. (si getta sopra una sedia)

Fabrizio: Dice il proverbio: a tutto si rimedia, fuor che all'osso del collo.

Cecilia: Matta, bestia, che mi son stada. Gh'aveva tante occasion de maridarme co i primi soggettoni de qua, e de via de qua, che sarave coverta de oro, da cao a piè, e son andada a intrigarme con uno, che me vòl far suspirar.

Conte: Vedrà, che il male non sarà poi sì grande, come si dice.

Fabrizio: Io spero, che le cose si accomoderanno.

Conte: Per un po' di debiti una famiglia non si ha da mettere in disperazione.

Cecilia: (s'alza) Gran destin per altro del povero mio marìo! che el se fa magnar el soo da tanti, e in t'un caso de bisogno nol trova un amigo, che ghe voggia far un servizio. (passeggia)

Fabrizio: (piano al Conte) (Dice a voi.)

Conte: (piano a Fabrizio) (Eh, io credo, che parli con voi.)

Cecilia: Ma! una dona de la mia sorte, arlevada in tel bombaso! avvezza a nuar in te l'abbondanza! servida co fa una prencipessa! respettada co fa una regina! (si getta sopra un altra sedia)

Conte: Sarà sempre servita e rispettata la signora Cecilia.

Cecilia: (s’alza) Eh caro sior Conte, co no se più in istado de dar da disnar, pochi se incomoda a favorir. (passeggia)

Conte: (a Fabrizio) (Ora ha parlato con voi.)

Fabrizio: (al Conte) (Avrà parlato con tutti due.)

Cecilia: Dove diavolo xèlo sto sior Anzoletto? S'halo sconto? S'halo retirà? M'halo lassà mi in te le pettole? Per diana de dia la mia roba i la lasserà star. (passeggia)

Conte: Signora, io la consiglierei di fare un'assicurazione di dote.

Cecilia: Come se fala?

Fabrizio: La serviremo noi, se comanda.

Conte: Andremo noi dove spetta, e faremo quel che va fatto.

Cecilia: Via donca; la me fazza almanco sto piccolo servizietto.

Fabrizio: Ci vedere il suo istrumento dotale.

Cecilia: Che bisogno dell'istrumento?

Conte: Sì, certo, vi vuole il contratto o pubblico o privato, com'è.

Cecilia: Orsù, no voggio, che i diga che fazzo fallir mio marìo; de ste cosse nissun de i mii ghe n'ha fatto, e no voggio farghene gnanca mi (passeggia)

Fabrizio: (al Conte) (Ehi, nol sapete, che non ha niente di dote?)

Conte: (a Fabrizio) (Lo so meglio di voi.)

Cecilia:. E dove mia cugnada? Xèla andada via? M'hala impiantà anca ela? No vedo nissun? Nissun me vien in ti versi? Vorli che me daga alla desperazion? (siede)

Conte: Signora, ci siamo noi.

Fabrizio: Eccoci qui. Nasca quel che ha da nascere, noi non l'abbandoniamo.

Conte: Per amor del cielo, signora, si dia coraggio.

Fabrizio: Sono tre ore, che è suonato il mezzogiorno, io la consiglierei di prendere un poco di cibo.

Cecilia: Gh'ho altro in testa, che magnar. Magnarave tanto velen.

Conte: Bene, mangierà più tardi, quando ne avrà più voglia.

Fabrizio: Noi siamo qui, non partiamo. Quegli altri, che erano venuti per pranzare, hanno sentiti i disordini, e se ne sono andati; noi siamo i più fedeli, i più costanti; terremo compagnia alla signora Cecilia.

Conte: Ma, signora mia, il di lei stomaco patirà: preme la di lei salute.

Fabrizio: Vuole ch'io dica al cuoco, che le sbatta una cioccolata?

Cecilia: (alzandosi con isdegno) No voggio gnente. No credeva mai che sior Anzoletto me usasse sto tradimento! No dirme gnente? No confidarme mai i fatti soi? Darme ad intendere dele grandezze? Farme creder quel che no giera? Con mi nol doveva trattar cusì. El m'ha tradio, el m'ha sassinà. (si getta a sedere)

Conte: Signora, ella è troppo agitata.

Fabrizio: Non vorrei, che la nostra presenza l'inquietasse d'avvantaggio.

 


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