Carlo Goldoni
De gustibus non est disputandum

ATTO SECONDO

SCENA QUINTA   Artimisia, poi Celindo

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SCENA QUINTA

 

Artimisia, poi Celindo

 

ART.

Cara cugina mia, ti credo poco.

Queste cosuccie fredde,

Che non paiono in viso punto scaltre,

Son accorte, son furbe più dell'altre.

Ecco Celindo. Poverino! ei pena,

Ma non mi basta ancor.

Mi piace il gioco:

Voglio tirarlo innanzi ancora un poco.

CEL.

Artimisia, pietà...

ART.

Sì, disponete

Del mio amor, di mia , che vostra io sono.

CEL.

Non pretendo da voi...

ART.

Tutto vi dono.

Che volete di più?

CEL.

Mi giunge nuovo,

Artimisia gentil, codesto amore.

La mia fede, il mio cuore

Ad Erminia donai, voi lo sapete.

ART.

È ver; voi non potete

Lasciarla, abbandonarla.

Sperar l'affetto vostro a me non lice.

Ah misera, infelice!

Penar senza speranza mi conviene.

Altri avranno i contenti, ed io le pene.

CEL.

(Mi fa pietade). (da sé)

ART.

(Ha da cascar, se fosse

Più duro d'un macigno). (da sé)

CEL.

(Ma non posso

Erminia abbandonar). (da sé)

ART.

Non giova al mondo

Fede, sincerità, costanza, amore;

Per guadagnare un cuore

Che le grazie più belle in sé raduna,

Merito non ci vuol, ci vuol fortuna.

CEL.

Spiacemi che sì tardi

Scoperto il vostro foco...

Ah, sfortunato io sono...

Artimisia, vi stimo.

ART.

(Or viene il buono). (da sé)

No, no, di mia nipote

La bellezza v'alletta.

Ella è più giovanetta.

È ver che la mia dote

Supera dieci volte

Gli assegnamenti suoi;

Ma una vedova alfin non è per voi.

CEL.

Non è per me?

ART.

No, ingrato,

Io non sono per voi. Se la mia mano

Fosse stata, crudele, a voi gradita,

Non avereste Erminia preferita.

CEL.

Ma se...

ART.

Non v'è più tempo.

Senza frutto il mio cuor si strugge in pianto.

Come la cera al foco,

Si disfan le mie carni a poco a poco.

CEL.

Veggo però, che ancora

E fresca, e grassa, e ritondetta siete.

ART.

Ah, crudele, il mio mal voi ben vedete.

CEL.

Se potessi, vi giuro...

ART.

No, d'amor non mi curo.

Basta, di chi v'adora,

Che pietade mostriate, e poi si mora.

CEL.

Se della mia pietà... dell'amor mio...

(Stelle, che fo?) (da sé)

ART.

(Principia

Il merlotto a cader). (da sé)

CEL.

Voi, che d'Erminia

Nel potete regolar gli affetti...

ART.

Ah Celindo, v'intendo.

CEL.

A voi s'aspetta...

ART.

Non più: la vostra mano.

CEL.

La mia mano? Perché?

ART.

Non state a replicar. La mano a me.

CEL.

Oh cieli! eccola.

ART.

Accetto

Di questa mano il dono.

E perché giusta io sono,

E perché nell'amor tradir non soglio,

Portatela ad Erminia, io non la voglio.

CEL.

Come?

ART.

Tant'è.

CEL.

Se voi...

ART.

Ognun badi, Celindo, a' fatti suoi.

CEL.

Se per me voi penate...

ART.

Capperi, vi gonfiate

Nel sentir che una donna

Peni e smani per voi?

CEL.

No, mi tormenta

Che vi crucci per me d'amore il foco.

ART.

Lo potrei anche dir così per gioco.

CEL.

Ah sì, di me senz'altro

Gioco vi prenderete.

Con chi merto non ha, far lo potete.

ART.

(Ecco qui mia nipote). (da sé)

 

 

 


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