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GIUSEPPINA, ROSINA; e detti.
GIU.
(Non temete nïente, la scena ha da esser bella). (piano a Rosina)
ROS.
(Ma io non ho coraggio). (piano a Giuseppina)
GIU.
(Parlerò io, sorella). (come sopra)
Qual affar, signorine, vi porta in questa stanza?
GIU.
Ci porta, per dir vero, un affar d'importanza.
ROS.
Per me poco mi preme.
Mia sorella ha voluto ch'io ci venissi insieme.
VAL.
Certo, se la signora si è presa tanta cura,
Convien dire che sia la cosa di premura. (con ironia)
GIU.
La cosa veramente tanto non preme a noi,
Quanto dovrebbe premere al zio Fabrizio e a voi.
VAL.
A me, signora mia?
GIU.
A voi. Non è creanza
Che facciate aspettare quell'uomo in quella stanza. (accenna la camera dov'è Baldissera)
VAL.
(Ecco un novello imbroglio). (da sé)
GIU.
Dovrebbe coll'amante lasciarla in libertà.
Come? che cosa dite? Parlate chiaramente.
GIU.
Ditelo voi, sorella. (a Rosina)
ROS.
Oh, io non dico niente.
VAL.
Guardate il grande arcano! lo dirò io primiera:
Là dentro in quella camera vi è il signor Baldissera.
VAL.
GIU.
Non c'è male nessuno. Ella lo sa il perché.
VAL.
Lo so, e lo sa egualmente anche il signor Fabrizio.
Non so nulla. Il nasconderlo so ch'è un pessimo indizio.
Se di vostra sorella vuol essere consorte,
Perché viene a celarsi qui dentro a queste porte?
GIU.
Sentite? lo fa credere sposo della sorella. (A Rosina)
ROS.
GIU.
Per sé, la sfacciatella.
VAL.
Piano, piano, signore, meco non tanto ardire;
Ch'io son chi sono alfine, e vi farò pentire.
Come negar potete, se chiaro è il tradimento?
VAL.
Signor, con sua licenza. Ritorno in un momento. (entra nella suddetta camera)