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LIS. Si è serrata nel suo gabinetto.
PROP. Valle a dire che la lettera è chiusa, e che con suo comodo venga qui, che le ho da parlare.
LIS. Perdoni, io non ci posso più andare.
PROP. E perché?
LIS. Perché la padrona mi ha licenziato dal suo servizio.
PROP. Ti ha licenziato?
LIS. Sì, signore, ed eccomi in mantiglione per andarmene per i fatti miei.
PROP. Ma per qual ragione ti ha licenziato?
LIS. Io non la so, non me la vuol dire: vuole ch'io parta subito, e che più non le comparisca dinanzi.
PROP. Fermati, vedrò io d'aggiustarla.
LIS. Perdoni: ho risoluto d'andarmene, e non ci resterei se mi desse cento zecchini.
LIS. A procacciarmi miglior fortuna.
PROP. No, non voglio che tu te ne vada.
LIS. Anzi vo' partire in questo momento.
PROP. Resta almeno per qualche giorno.
LIS. Non ho bisogno del suo denaro. (La mia padrona mi ha provveduta bastantemente). (da sé, con allegrezza)
PROP. Ma chi vuoi che ci dia da pranzo?
LIS. Ed ella, signore, ha il più bel cuore del mondo. Con sua licenza.
LIS. La riverisco. (La mia padrona sa quel che fa, ed io la deggio obbedire). (parte)
PROP. Si è ricattata come va, la signora. Se si potesse star soli, e far tutto da sé, senza mangiapani, la disgrazia non sarebbe sì grande. Ma il punto si è che qualcheduno ci vuole. E da chi ho da farmi servire? Dal cane? Da una parte, donna Giulia ha ragione. Sono stato io un animale. Anderò a ritrovarla, ma fino che ha il sangue caldo, non vo' arrischiar di far peggio. Sarà meglio ch'io vada in traccia di qualcheduno che venga a servire. Ma chi troverò io? Qualche ladro? Qualche briccone? Il mondo è pieno di tristi, di vagabondi; non si sa di chi potersi fidare. Almeno aveva in casa gente onorata. E perché privarmene? Mi sta bene, merito peggio. Ma donna Giulia non doveva licenziare Lisetta. Una moglie non si ha da vendicar col marito. Sono io il padrone, comando io. Sì, comando, comando, e non c'è nessun che mi serva. (parte)