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COR. (Eh, io non ho paura di brutti musi). (da sé) Signor padrone.
OTT. Andate al diavolo ancora voi.
OTT. Non so chi mi tenga, che non ti spacchi la testa in due.
COR. Ammazzatemi, io non mi muovo.
OTT. Sì, t'ammazzerò. (le va incontro colla spada, ed ella mette mano ad una pistola)
COR. Giuro al cielo, se dite davvero voi, dirò davvero ancor io.
COR. Volete uccidermi? Che cosa vi ho fatto?
COR. Non è vero niente. (irata)
OTT. Quell'obbligo di Florindo? (irato)
COR. Non l'ho fatto io. (irata)
OTT. Se tu non l'hai fatto... l'hai accettato.
COR. Ho accettato quello dei denari, non quello del matrimonio.
OTT. Ma conservi però l'uno e l'altro. Segno che speri, che l'ami, e che mi tradisci.
COR. Non è vero: non ispero, non l'amo, non ci penso; e che sia la verità, ecco qui: straccio l'obbligo in pezzi (straccia la carta in pezzi, e la ripone in tasca) e metto in libertà quel discolo, quel dissoluto, per esser sempre fedele al mio caro, al mio adorato padrone. (s'accosta un poco)
OTT. Eccola. (mette giù la spada)
COR. Anch'io la ripongo. (la mette in tasca)
COR. Per difesa della mia vita.
COR. Ho dei nemici assai, signore: tutti m'insidiano, tutti mi vogliono male, perché godo la grazia del mio padrone; ma ora tutti saran contenti. Il mio padrone non m'ama più: mi odia, mi disprezza, e non fa più conto di me. (piange piano)
OTT. Io non t'amo? Io non fo conto di te?
COR. Può darsi maggior disprezzo di quello che ho dovuto soffrire?
COR. Mi avete promesso di dare la figlia al signor Lelio. M'avete data la facoltà d'impegnarmi; mi sono impegnata; e poi tutto ad un tratto la volete dare al signor Florindo.
OTT. Ma sono stato costretto...
COR. Eh, che non vi curate più di me.
OTT. È stato un punto d'onore.
COR. Via, so tutto. Il punto d'onore vuole che non si faccia a modo di una serva.
COR. E voi ascoltando le vostre signore...
OTT. Sia maledetto! Tu non mi lasci parlare. Mi darò al diavolo.
OTT. Mi caccerò questa spada nella gola.
OTT. Mi getterò da una finestra.
COR. Via, signor Ottavio, acquietatevi.
OTT. Sì... (singhiozzando)
COR. Sono ancora la vostra Corallina?
OTT. Sì... (singhiozzando)
OTT. (Dà in un dirotto pianto)
COR. (È mio, è mio). (da sé)
OTT. Ma perché non dirmi prima di quella carta che vi aveva fatta colui?
COR. Se non vi era bisogno, non lo dicevo.
COR. Per carità, per l'amore che ho per vostra figliuola, per non vederla rovinata con quel briccone.
COR. Per far del bene s'hanno dei disgusti. Che bella figura farò io adesso col signor Lelio, dopo avergli data la parola che la signora Rosaura sarà sua.
COR. Io non me ne impiccio più sicuramente.
COR. Se foste buono a parlargli senza andar in collera?
COR. Se mi volete bene, promettetemi di parlargli.
COR. Promettetemi di parlargli senza andar in collera.
COR. Caro il mio padroncino, fatelo presto.
COR. E subito fate che vostra figlia lo sposi.
OTT. Sì, subito; e se non lo volesse?
COR. E se non lo volesse... Vi do licenza che andiate in collera quanto volete, e che la bastoniate ancora se fa di bisogno. (parte)