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Il conte Ottavio, Arlecchino, e poi il Cameriere
ARL. Mi credo che la staga ben.
CAM. Eccola servita. Acciò non s’incomodi, l’ho accesa.
OTT. Bene. (gli dà una moneta)
CAM. Grazie a vossignoria illustrissima. (Eh! lo conosco il tempo). (da sé; parte, poi torna)
OTT. (Gli getta una boccata di fumo nel viso)
ARL. Ai altri la ghe dà dei denari, e a mi la me fa sti affronti? Cossa sognia mi, una bestia?
ARL. Me maraveio, sangue de mi!
ARL. Son in furia, son in bestia.
OTT. Non sai andare in collera. (vuol riporre la borsa)
ARL. L’aspetta... A mi sti affronti? Razza maledetta. Fiol d’un becco cornù.
OTT. (Ride, e gli dà una moneta)
OTT. (Gli rompe la pipa sulla faccia)
ARL. No vagh altr in collera. Basta cussì.
CAM. Subito. (Un altro filippo). (da sé; parte, poi torna con la pipa accesa)
OTT. (Gli dà un calcio, e lo fa saltare)
OTT. (Gli dà una moneta) Un’altra volta.
OTT. (Gli fa il simile, e lo fa saltare)
CAM. Servita. (gli porta la pipa accesa)
CAM. L’ho accesa per minorargli l’incomodo.
CAM. (Un altro filippo). (da sé)
OTT. (Dà una moneta ad Arlecchino)
OTT. Un’altra volta. (gli dà il calcio, come sopra, e ripone la borsa)
CAM. Lustrissimo...
OTT. Un’altra volta. (gli dà un altro calcio)
CAM. (Sta volta l’è andada sbusa). (da sé) Lustrissimo.
OTT. (Passeggia un pezzo, e poi dice) Chi è?
CAM. Un certo signor Florindo, livornese.
OTT. (Passeggia un pezzo, e poi dice) Passi.
CAM. Oh che uomo curioso! (parte)
OTT. Bricconi! Dono quando voglio. (passeggiando e fumando)