Carlo Goldoni
La guerra

ATTO SECONDO

SCENA UNDICESIMA   Dalla fortezza, a suono di tamburo, scende don Egidio, con seguito di alcuni Uffiziali, i quali restano indietro, e don Egidio si avanza al padiglione, dove è ricevuto da don Sigismondo, che lo fa sedere alla dritta, sedendo anch'egli alla sinistra

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SCENA UNDICESIMA

 

Dalla fortezza, a suono di tamburo, scende don Egidio, con seguito di alcuni Uffiziali, i quali restano indietro, e don Egidio si avanza al padiglione, dove è ricevuto da don Sigismondo, che lo fa sedere alla dritta, sedendo anch'egli alla sinistra.

 

SIG. Don Egidio, lasciate prima di tutto ch'io mi congratuli con esso voi della valorosa difesa, che fatta avete sinora della piazza al vostro merito raccomandata, e che mi congratuli insieme col vostro Sovrano, che può vantarsi d'avere in voi uno dei piú valorosi capitani de' nostri tempi. Dieci giorni continui ci avete defatigati sotto una piazza che doveva arrendersi all'avvicinarsi delle nostr'armi, né figurar mi poteva, che, all'aprire della nostra trincea, aveste cuor di risponderci colla scarsa batteria del Castello, e molto meno tentare disordinarci colle sortite, e resistere al fuoco delle nostre batterie duplicate. Al primo aspetto parve la vostra difesa soverchio ardire, immeritevole di ascoltare verun patto nell'occasion della resa; ma rispondendo l'esimio vostro valore all'apparato di guerra con cui v'incominciaste a difendere, lodo il coraggio, mi compiaccio di vincere un buon soldato, né ricuso con voi di capitolare. Riflettete per altro alla qualità della piazza, allo stato in cui vi trovate, all'inimico che avete a fronte, e moderate le vostre pretese, se volete trovare in noi quell'umanità che ci alletta, e quella condiscendenza che ad un esercito vittorioso, all'onorato suo condottiere conviene.

EGI. Grate mi sono, don Sigismondo, le laudi vostre, quantunque io sappia non meritarle; poiché chi serve al suo Principe non fa che il proprio dovere, servendolo con fedeltà e con zelo. Permettetemi però ch'io vi dica, che mal conoscete la piazza cui attaccaste, e che merita da voi maggior stima e miglior concetto. Ella era talmente fortificata, che senza un formale assedio non si poteva sperare di soggiogarla, e i suoi magazzini provveduti di viveri e di monizioni non posero mai in verun'angustia il presidio. Non parlovi del coraggio de' suoi difensori. Li conoscete per prova, e sapete esser quelli che, disputatovi a palmo a palmo il terreno, soverchiati dal numero, seppero senza disordine ritirarsi, e in quelle mura costretti furono a ricovrarsi. Ditelo voi, valoroso condottiere d'eserciti, qual è a' nostri quella fortezza, che senza un campo volante resister possa piú lungamente al tormento della formidabile artiglieria? Non mancò verun di noi al proprio dovere. Ci provaste nelle sortite, intrepidi ci vedeste all'azzardo, disposti a sagrificare la vita per la difesa comune. Vi sortì finalmente lacerare le nostre mura, e aperta e dilatata la breccia, siamo a quel punto in cui qualunque capitano onorato può chieder tregua, e può capitolare la resa. Per me, vi accerto che trovavami assai disposto a continuar la difesa, e la mia spada, unita a quelle de' miei valorosi compagni, non vi avrebbe lasciato di leggieri salir le mura e penetrar nel recinto. Ma dubitai, che fossevi nel presidio chi amasse meglio una cession vantaggiosa, anzi che una pertinace difesa. La mia carica, il mio dovere vuole ch'io possa rendere giusto conto dell'ardire e della prudenza; perciò seguitando le leggi ed il costume degli assediati, esposi candida insegna, vi chiesi triegua, e vi esibisco la resa.

SIG. La triegua vi fu accordata. La resa non si ricusa accettarla. Ma a qual patto intendereste voi d'accordarla?

EGI. A buoni patti di guerra.

SIG. Tutti i patti non convengono ad ogni piazza.

EGI. Merita la mia quegli onori che alle frontiere si accordano, ed io non credo né col mio nome, né colla mia difesa, averla punto discreditata.

SIG. Accorderò al vostro nome ed al vostro valore quello che non accorderei al merito della fortezza.

EGI. Nulla per me vi chiedo. Pretendo che onorate si veggano le insegne del mio Sovrano.

SIG. Su via, don Egidio, spiegatevi: a quali patti intendereste voi di capitolare la resa?

EGI. Eccoli qui sommariamente distesi. (mostra un foglio e legge) Primo. Che debba uscire il presidio armato, con sei cariche per ciaschedun soldato, colle bandiere spiegate e coi tamburi battenti. Secondo, quattro carri coperti, oltre il libero asporto degli equipaggi.

SIG. Sospendete di maggiormente inoltrarvi. La piazza è ridotta agli estremi; né può pretendere una capitolazione avvantaggiosa. Il presidio dovrebbe arrendersi a discrezione. In grazia vostra gli si concede l'uscita, ma senz'armi, e senza bandiere, e dei carri coperti non ne parlate.

EGI. No, non ho l'animo cosí vile per cedere in una maniera vergognosa. O accordatemi quegli onori che mi convengono, o mi difenderò sino all'ultimo sangue.

SIG. L'esercito è già disposto all'assalto, ed impazienti siam tutti di segnalare il nostro coraggio.

EGI. Né manca in noi il valore e l'intrepidezza.

SIG. Proviamoci adunque e poiché vi ostinate a difendervi, preparatevi al destino de' disperati.

EGI. Signore, voi ed io facciamo il nostro dovere. Ma se in mezzo all'onorato impegno delle nostr'armi può aver luogo la cortesia, ardisco chiedervi per me una grazia.

SIG. Chiedete pure. Son nemico delle vostr'armi, non della vostra persona.

EGI. Ecco; disposto già mi vedete ritornar per la stessa strada alla combattuta fortezza. Rimesso colà dentro il mio piede, tornate pure alle ostilità, ed usi ogni uno di noi il diritto ed il poter della guerra; ma pria ch'io torni fra quelle mura, permettetemi che per brievi momenti possa rivedere la mia figliuola.

SIG. Con quanto fervore vi ho saputo negare la capitolazione, con altrettanto piacere vi accordo questa picciola compiacenza. Andate su la vostra parola.

EGI. Grazie alla vostra bontà. Eh , tornate al Castello. Dite che a momenti colà mi aspettino; e in pena della vita, niuno ardisca di moversi senza mia commissione. (a' suoi Uffiziali, i quali tornano nella fortezza)

SIG. Amico, preparatevi alla difesa. Noi verremo con animo di soggiogarvi.

EGI. Ed io vi aspetterò con intrepidezza.

SIG. Guardatevi dalle nostre spade.

EGI. I miei colpi non saranno meno risoluti dei vostri.

SIG. Addio, don Egidio.

EGI. Addio, Sigismondo. (si abbracciano e si baciano)

 

Al suono delle trombe partono tutti. Poi, allo strepito del tamburo escono Soldati, Paesani e Donne a ballare ed altri a mangiare, a bere, a vendere ecc.


 

 

 


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