Carlo Goldoni
L'amante di sé medesimo

ATTO QUARTO

SCENA NONA

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SCENA NONA

 

La Marchesa Ippolita ed il Marchese Ferdinando.

 

FER.

Non so da che provenga l'idea di quel furore

Che l'anima a tal segno. (verso la Marchesa)

IPP.

Vel dirò io, signore. (si alza)

Egli è di sé medesimo sì poco innamorato,

Che freme, allor che dubita venir rimproverato.

Ma l'ambizion l'inganna; poiché, per far la scusa

D'una leggiera colpa, d'altra maggior si accusa.

FER.

Spiacemi un tal incontro. Egli è smanioso, il veggio.

IPP.

Lasciate ch'egli frema, che merita di peggio.

FER.

Marchesa, chi d'un uomo parla con ciglio irato,

Fa credere che l'ami, o almen d'averlo amato.

IPP.

Guardimi il ciel, che amassi tal che fede non ha.

FER.

Non l'amaste, e vi è nota di lui l'infedeltà?

IPP.

Lo so ch'è un incostante, che nell'amar si stanca,

Perché di ciò le prove vedute ho in donna Bianca.

FER.

Si amano questi due?

IPP.

Si amavano dapprima,

Ma il Conte di una donna non merita la stima.

FER.

Marchesa, voi ed io facciamo a nostra gloria,

Unendoli di nuovo, un'opra meritoria.

IPP.

Che prendasi tal cura da me non isperate.

FER.

E questa renitenza vuol dir che voi l'amate.

IPP.

Ah, mi fareste dire dei spropositi tanti.

FER.

Son l'impazienze ancora fra i segni degli amanti.

IPP.

Marchese, tai discorsi vi prego di lasciarli.

FER.

Si tratta di piacervi? Di ciò più non si parli.

In ciò solo mi resta, io parlovi sincero,

Un po' di vanità d'aver dato nel vero.

IPP.

È lunga.

FER.

Ho già finito. Passiamo ad altro articolo.

Sapete voi, che sono le vedove in pericolo?

IPP.

Perché?

FER.

Perché, sentite. Favorite, sediamo.

IPP.

Questa mi par curiosa. (sedendo)

FER.

Fra di noi discorriamo.

Già non abbiam che fare. Fino a doman non voglio

Degli interessi miei esaminar l'imbroglio.

Sentite, io vi diceva, cara Marchesa mia,

La vedova o sta sola, o vive in compagnia.

Se vuol star sola in casa, se vive ritirata,

A viver miserabile per sempre è condannata.

Se vuol godere il mondo con tutti i piacer suoi...

(Marchesa, non credeste... io non parlo per voi),

Allora dalla gente si critica, si parla,

E la riputazione si stenta a riacquistarla.

Di voi non vi è chi possa ardir di pensar male;

Ho solo delle vedove parlato in generale.

IPP.

Caro signor Marchese, non vi credeadestro,

Che foste qua venuto per farmi da maestro.

Le vedove mie pari son vedove onorate.

FER.

Io parlo in generale, e voi vi riscaldate.

IPP.

Eh, che la frase vostra, caro signor, l'ho intesa;

So che coll'altre vedove io pur sono compresa.

FER.

Non so che dir: dall'altre io almen vi ho separata;

Ma se sapete d'essere coll'altre incorporata,

Quel che di tante io dico, parlando qui tra noi,

Temete che dal mondo non dicasi di voi.

IPP.

Siete venuto apposta per farmi delirare?

FER.

A tutti gli ammalati son le pillole amare.

IPP.

Sono stanca di udirvi.

FER.

Ma no, non vi sdegnate,

Perché, cara Marchesa; non vi rimaritate?

IPP.

Ho da rendere a voi conto de' fatti miei?

FER.

Vi offendo, se contenta vedervi io bramerei?

IPP.

Il partito dov'è? Voi mi movete a sdegno.

FER.

Sia ringraziato il cielo. Arriveremo al segno.

I partiti non mancano a chi ha qual voi, signora,

Fresca età, vago volto, e ricca dote ancora.

IPP.

Don Mauro si offerisce.

FER.

Egli non è per voi.

IPP.

Anche il Conte, per dirla, aveva i grilli suoi.

FER.

Ma un giovane incostante voi non lo prendereste.

IPP.

Signore, in tal proposito, che mi consigliereste?

FER.

Confessatemi il vero, e vi consiglierò.

L'amaste?

IPP.

Sì, una volta.

FER.

L'amate più?

IPP.

Non so.

FER.

Di voi dir non ardisco sia indegno il cavaliero,

Ma non ha degli impegni con donna Bianca?

IPP.

È vero.

FER.

Per onestà, per legge, vano è dunque il pensarvi.

Ditemi apertamente: volete maritarvi?

IPP.

Perché no? Se la sorte mi offrisse un buon partito...

FER.

Marchesa, state zitta, vi troverò marito.

IPP.

L'avereste già in mente?

FER.

Chi sa?

IPP.

Chi è?

FER.

Indovinatelo.

IPP.

Non saprei indovinarlo.

FER.

Quand'è così aspettatelo.

IPP.

Posso saper il nome?

FER.

Bella domanda è questa!

IPP.

Il nome dello sposo non è domanda onesta?

FER.

Parvi di già d'averlo.

IPP.

Io son così, signore.

Quieta non posso vivere, quand'ho una cosa in core.

Se l'indovino, il dite?

FER.

Nei libri del destino

Voi non avete letto.

IPP.

Che sì, che l'indovino?

FER.

Non è tanto difficile.

IPP.

Qualche cosa capisco.

Serva, signore sposo. (s'inchina, e parte)

FER.

Sposa... vi riverisco. (s'inchina, e parte)



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