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Donna Eleonora, don Flaminio, don Filiberto, l'Avvocato
ELEON. Che legge barbara, che legge inumana è questa? Non basta ai mariti di tiranneggiar finché vivono le loro mogli, vogliono comandar loro anche dopo morti?
FIL. Signora, se mai vi mettesse in pena l'impegno ch'avete meco contratto, sappiate ch'io vi stimo e v'amo, ma sono un galantuomo, e non intendo di pregiudicare i vostri interessi.
ELEON. Sì, sì, ho capito. Temete ch'io non sia tanto ricca, quanto avevate supposto. Ecco il motivo della vostra virtuosa rassegnazione. Ma giuro al cielo si farà una lite, e mi daranno quello che m'appartiene, e sarò padrona di me, e voi mi manterrete la parola, o per amore, o per forza. (parte)
FIL. (È amabile veramente la sposa che mi son scelto. Ma vi vuol pazienza. Io l'amo, e sono dieci anni ch'io la conosco, e sono dieci anni ch'io soffro). (da sé, parte)