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Pandolfo, Lisetta, poi Filippo da colonnello.
PAND. Segno che ti stima, che ti vuol bene.
LIS. (Si sì, il signor colonnello mi ama, ne son sicura). (da sé, ridendo)
PAND. Ah signor colonnello, gli faccio umilissima riverenza. Mia figlia è pentita, gli domanda scusa, ed è tutta disposta ai comandi suoi, non è egli vero, Lisetta? Ditegli anche voi qualche cosa.
LIS. Si assicuri, signor colonnello, che ho per lei tutta la stima, e che l'amerò con tutta la tenerezza.
PAND. (Brava, brava, così mi piace). Che ne dice, è contento il signor colonnello?
FIL. Tartaifle, ringraziar to fortuna. Ringraziar pellezza de to Lisetta, che desarmar mia collera, e foler mi far sacrifizio a Cupido de mia fendetta.
PAND. Signore, ella sa benissimo ch'io non le ho fatto veruna offesa.
FIL. Tu afer dupitate de mia condizion, afer comandate foler saper chi mi star.
PAND. Scusi, vede bene: si tratta di una mia figlia. Vossignoria non mi ha fatto ancora l'onore di dirmi il suo nome, il suo cognome. Gli domando mille perdoni.
PAND. No, no, non vada in collera. Credo tutto.
FIL. Fol ti saper? Foler mi dir, foler mi tutto significar. Star colonnella Trichtrach.
FIL. Foler feder patente? Te foler sodisfar.
LIS. Non serve, non serve, crediamo tutto.
FIL. Mi foler sodisfar, guardar, stupir, ammirar: alfier per Ghermania, tenente per Prussia, capitan Franza, e colonnello Inghilterra. (mostra varie patenti)
PAND. Bravo. Viva il signor colonnello Trichtrach.
PAND. Ho veduto. Ho ammirato. Vien gente, andiamo in camera. Parleremo con libertà.
FIL. Sì, andar camera, dofe ti foler.
PAND. Resti servita. Favorisca. (lo fa passar innanzi)
FIL. No, no foler; star suocero, star padre, safer mio dofer.
PAND. (Che bontà, che civiltà, che cortesia! Non poteva trovare un genero migliore al mondo. Eh io? son uomo, ho una testa del diavolo). (entra in camera)
LIS. Va bene, ma poi se vi scoprirà?
FIL. Lasciate far a me, non temete. (va in camera)
LIS. Son contenta, ma ancora tremo. (va in camera)