Carlo Goldoni
L'amante militare

ATTO PRIMO

SCENA SEDICESIMA

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SCENA SEDICESIMA

 

Beatrice e detto.

 

BEAT. Don Garzia, è egli vero che vi siete battuto?

GAR. Sì, signora, e son rimasto ferito.

BEAT. O cielo! Dove?

GAR. In un braccio.

BEAT. Per qual causa vi cimentaste?

GAR. Per una donna.

BEAT. Per una donna?

GAR. Mah! le belle donne ci fanno precipitare.

BEAT. Io non vi ho mai posto in verun pericolo.

GAR. Oh, in quanto a voi la cosa è diversa.

BEAT. Non poteva io, se stata fossi una frasca, dar retta a quelli che m’insidiavano?

GAR. Sì; perché non l’avete fatto?

BEAT. Per essere a voi fedele.

GAR. Mi dispiace che per causa mia abbiate perduto il vostro tempo.

BEAT. Anzi l’ho molto bene impiegato, amandovi costantemente.

GAR. Io l’ho impiegato molto meglio di voi.

BEAT. Perché?

GAR. Perché ne ho amate sei in una volta.

BEAT. Voi scherzate.

GAR. Dico davvero. E se volete sapere chi sono, ve lo dirò.

BEAT. Voi lo fate per tormentarmi.

GAR. No, faccio per dirvi sinceramente tutti li fatti miei. Sentite, e ditemi se sono di buon gusto.

BEAT. (Ah, fremo di gelosia!) (da sé)

GAR. Una è donna Aspasia, la figlia di quel dottore ignorante a cui, per aver libertà, ho dato ad intendere che lo farò essere auditore del reggimento. Un’altra è donna Rosimonda, la quale mi ha caricato di finezze, ed io non ho fatto altro per lei, che farle avere la cassazione d’un soldato. La terza è quella ridicola di donna Aurelia, colla quale cenavo quasi tutte le sere. La quarta è una mercantessa, che voi non conoscete; costei darebbe fondo al fondaco di suo marito, per aver l’onore di esser servita da un uffiziale. Le altre due sono giovani di basso rango: una cugina d’un caporale, che in grazia sua è diventato sergente; e l’altra figlia d’un sergente stroppiato, a cui ho fatto ottenere un posto nell’ospitale.

BEAT. Bravo, signor tenente, ed io...

GAR. E voi siete la settima che in questa piazza ho avuto l’onor di servire.

BEAT. Ah, voi mi avete tradita.

GAR. Tradita? Come? Che cosa vi ho fatto?

BEAT. Avete giurato d’amarmi.

GAR. È vero, e vi ho mantenuta la parola, e vi ho amata.

BEAT. Come potete dire d’avermi amata, se con sei altre vi siete divertito?

GAR. Oh, la sarebbe bella che si dovesse amare in questo mondo una cosa sola! Io amo le donne, amo gli amici, amo i cavalli, amo la bottiglia, amo la tavola, amo la guerra, amo cento cose e dubitate che non abbia avuto dell’amore anche per voi?

BEAT. Che parlare è il vostro? Confondete le donne con i cavalli, colla guerra, colle bottiglie?

GAR. L’uso che se ne fa è diverso: ma l’amore che io sento per tutte queste cose, è lo stesso.

BEAT. Dunque voi provaste per me l’amore istesso che provate per un cavallo?

GAR. Sì, signora.

BEAT. Andate, che siete un pazzo.

GAR. Questo me l’hanno detto dell’altre donne, può essere che sia la verità.

BEAT. Siete un perfido, un infedele.

GAR. Oh, questo non me l’ha detto altri che voi.

BEAT. Avete mai serbato fede a veruna?

GAR. Con tutte ho fatto l’istesso.

BEAT. E non siete un infedele?

GAR. No, perché non ho mancato mai di parola.

BEAT. Avete mancato a me crudelmente.

GAR. Perché?

BEAT. Non mi avete promesso il cuore?

GAR. Sì, ma non tutto.

BEAT. Perfido! Di una parte non so che farne.

GAR. Scusatemi, siete un poco troppo indiscreta.

BEAT. Ma perché oggi farmi all’improvviso una sì bella dichiarazione?

GAR. Perché forse questa sera o domani dovrò partire.

BEAT. E vi congedate da me con un sì amabile complimento?

GAR. Vi dirò: se partendo vi avessi lasciata nell’opinione in cui eravate, voi per fare un’azione eroica mi avreste forse conservata la vostra fede. Così intendo di fare una buona azione, ponendo il vostro cuore in tutta la sua libertà.

BEAT. Ah, che il mio cuore non amerà altri che voi.

GAR. Farà uno sproposito assai grande.

BEAT. L’errore l’ho io commesso quando ho principiato ad amarvi.

GAR. Chi vi ha obbligato a farlo?

BEAT. Voi.

GAR. Vi ho forse usata violenza?

BEAT. No, ma le vostre dolci maniere mi hanno incantata.

GAR. Ed ora sono in debito di disingannarvi.

BEAT. Ah perfido!

GAR. Servo umilissimo. (in atto di partire)

BEAT. Ah ingrato!

GAR. Padrona mia riverita. (come sopra)

BEAT. Fermatevi.

GAR. Con tutta la venerazione e il rispetto. (parte)

BEAT. Rimango stupida, non so che credere, non so che pensare. Possibile che don Garzia faccia sì poco conto di me? Sa quanto l’amo, sa la mia fedeltà, sa tutto, e così mi lascia? E così mi maltratta? E così paga l’amor mio, la mia tenerezza? Ah, non per questo posso lasciar d’amarlo. Egli forse ha voluto provare la mia costanza. Voleva forse vedermi piangere. Lo cercherò, e ancorché piangere io non sappia, studierò la maniera di trar le lagrime con artificio, poiché queste sono la più sicura via per trionfare degli uomini.



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