Carlo Goldoni
Il poeta fanatico

ATTO PRIMO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Ottavio e Rosaura

 

ROS. Signor padre, anch’io mi ritirerò in compagnia delle Muse, per rivedere un sonetto che ho fatto ieri.

OTT. Qual è l’argomento di questo vostro sonetto?

ROS. Eccolo qui: Nice vuol palesare il proprio amore a Fileno.

OTT. Come! Un sonetto amoroso! Mi maraviglio di voi, che non abbiate rossore a dirlo. Una figlia onesta non deve parlar d’amore.

ROS. Lo stile amoroso mi sembra il più facile e il più soave.

OTT. Lo stile amoroso non è per voi. Le fanciulle non devono discorrere di questa pericolosa materia.

ROS. Ma caro signor padre, mi avete pur voi consigliata a studiare il Petrarca, e me l’avete dato voi stesso colle vostre mani. I sonetti del Petrarca sono tutti amorosi, ed io mi sono invaghita di quel bellissimo stile.

OTT. Eh, se tu arrivassi a formare un sonetto sullo stile del Petrarca, felice te!

ROS. Io certamente mi studio, per quanto posso, imitarlo.

OTT. Sentiamo un poco, se lo sai imitare.

ROS. Eccovi il mio sonetto. Nice vuol palesare il proprio amore a Fileno.

OTT. Leggetelo, e poi stracciatelo subito.

ROS.

SONETTO

Se il tardo incerto favellar degli occhi

Al cuor duro non passa, e nol penetra;

Se per umide stille ei non si spetra,

E Amore invan tempri suo dardo, e scocchi.

 

OTT. Oh bello! Oh che versi! Oh figlia mia, come avete fatto? Possibile che questi versi sian vostri?

ROS. Ve lo giuro, che sono miei.

OTT. Oh che bella cosa!

E Amore invan tempri suo dardo, e scocchi

Oh cara! Andiamo avanti.

ROS.

Strale, che in sen non cape, esca e trabocchi.

OTT. Fa una cosa, tornami a leggere tutto il sonetto intero. Lo voglio sentire senza interrompimento.

ROS. Farò come volete. Io non ho altro gusto, che leggere i miei sonetti.

OTT. Questo è il frutto delle fatiche di noi poeti. Leggere le nostre composizioni, e sentirci dir bravi.

ROS. Eccovi un’altra volta il sonetto.

 

Se il tardo incerto favellar degli occhi

A cuor duro non passa, e nol penetra;

Se per umide stille ei non si spetra,

E Amore invan tempri suo dardo, e scocchi;

Strale, che in sen non cape, esca e trabocchi

Dalle timide labbra, e sia faretra,

Che di lui passi l’aspro sen di pietra,

E la piaga s’interni, e il suo cuor tocchi.

Timor, vergogna o verginal rossore

Fia che m’arresti fra le labbra i detti,

E la fiamma nel sen respinga e chiuda?

Ah, non fia ver che lo permetta Amore;

Amore i casti ed onorati affetti

A trista legge non condanna, e cruda.

 

OTT. Figlia mia, tu hai composto un sonetto, che vale un tesoro.

ROS. Mi dispiace che converrà lacerarlo.

OTT. Come! Perché lacerarlo?

ROS. Perché è un sonetto amoroso.

OTT. Un sonetto di questa sorta si può comportare.

ROS. Ho da farlo sentire?

OTT. Certamente. Questo ti può far grande onore.

ROS. Vorrei darlo al signor Florindo.

OTT. Stupirà, quando lo vedrà.

ROS. E se egli mi risponde?

OTT. Non gli basterà l’animo di fare un sonetto simile.

ROS. Lo vedremo.

OTT. Sì, lo vedremo.

ROS. Lo vado a ricopiare.

OTT. Copialo, che tu sia benedetta.

ROS. Mi date licenza, che se l’estro mi eccita, componga dei sonetti amorosi?

OTT. Se hanno a essere di questo stile, non te li so vietare.

ROS. Ma la signora madre, che io venero per tale, benché matrigna, mi sgrida sempre e non vorrebbe ch’io coltivassi la poesia.

OTT. Beatrice è una sciocca. Mi pento moltissimo di essermi con essa rimaritato. L’ho fatto per la dote, per altro una donna ignorante non era degna di me.

ROS. Quando sente parlare di poesia, ride e burla, come se la poesia fosse una cosa ridicola.

OTT. Ignorantaccia.

ROS. Pretende che io tralasci lo studio delle Muse, per lavorare e cucire.

OTT. Quando potete, fatelo.

ROS. E se l’estro mi chiama a scrivere?

OTT. Lasciate tutto, e scrivete.

ROS. (Non vi è pericolo che mia matrigna mi veda più dare un punto. Averò sempre l’estro poetico, per liberarmi dal tedio del lavorare). (da sé, parte)

 

 

 


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