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OTT. (Mia moglie accanto al poeta veneziano?) (da sé)
TON. Come ala fatto a innamorarse cussì presto?
OTT. (Innamorarsi?) (da sé)
BEAT. Effetto del vostro merito.
OTT. Signori, li riverisco. (alterato)
OTT. Come si divertono, padroni miei?
TON. Son qua che me dago l’onor de insinuar el gusto della poesia nell’animo della siora Beatrice.
OTT. Eh, voi non me lo darete ad intendere. Beatrice è nemica della virtù.
BEAT. Credetemi, marito mio, che ora principio a prenderci gusto.
TON. Me impegno in pochi zorni de farla poetessa.
OTT. Oh, la fortuna il facesse!
BEAT. Se volete che impari qualche cosa, non mi sturbate.
OTT. No, non vi sturbo, vado via. Caro poeta mio, insegnatele i versi, le rime. Fate voi, mi accomando a voi, vi sarò eternamente obbligato. Beatrice non griderà più contro le accademie, contro le Muse. Che siate benedetto! (Caro poeta! Il cielo me l’ha mandato). (da sé, parte)
BEAT. Avete sentito? Mio marito a voi mi raccomanda.
BEAT. M’insegnerete?
BEAT. Ma quando principierete?
BEAT. Sono impaziente d’apprendere le vostre lezioni.
TON. Vorla che adesso ghe scomenza a dar una lizionzina?
TON. La senta sti versi; i se chiama endecasillabi, cioè de undese piè. I xe otto versi, che forma un’ottava rima. El primo se rima col terzo e col quinto; el segondo col quarto e col sesto; e i do ultimi da so posta. La ascolta sta ottava, la la impara, e per adesso ghe basta cussì.
Che se perde col tempo, e se ne va.
Xe un don della fortuna la ricchezza,
Che poderia scambiarse in povertà.
Quel che se stima più, che più se apprezza,
Xe la fede, el bon cuor, la carità.
Questa xe la lizion, che mi ghe dago;
La impara sta ottavetta, e me ne vago. (parte)
BEAT. Questo giovine mi ha incantato.