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Ottavio vestito pomposamente, seguito da tutti i personaggi. Siedono. Ottavio s’alza, e dopo aver fatto riverenze, legge e recita, come segue.
OTT. O ignorantissima temeraria gente, ascoltatori miei gentilissimi, o ignorantissima temeraria gente, che contro la poetica sovrumana virtù ingiurie pessime scaricate, eccoci a dispetto vostro alla fin fine uniti, ragunati e raccolti, per dar principio alle nostre accademiche esercitazioni! Ragion vuole che io, poiché del principesco onore insignito mi trovo, parola dell’istituto nostro altrui faccia; e del titolo nostro, e dell’accademica pastorale, primitiva, novella impresa nostra, tutti e ciascheduno di quei che mi ascoltano, cautamente avvertisca. Non senza ponderazione e mistero la novella pianta d’alloro abbiamo noi per impresa scelta, eletta e destinata, poiché, siccome le tenerelle piante crescono coll’andar del tempo, e della loro ombra ingombrano i larghi piani, noi così parimente, quali novelle piante dall’acqua d’Ippocrene innaffiate, andremo i teneri ramuscelli in forti e robusti rami cangiando. Crepate dunque, invidiosi, sì, crepate (Accademici gentilissimi, meco esclamate voi pure), sì, crepate d’invidia, invidiosissimi che noi invidiate poiché il serenissimo, biondo, canoro Apollo trasformerà questa nostra sontuosa e bene illuminata sala nel monte celebrato Parnaso, e le virtuose donne accademiche nostre in Muse trasformate saranno, e noi saremo in satiri convertiti; e il sommo Giove scaricherà sopra noi i fulmini della sua clemenza, e la provida madre terra ci aprirà il seno benefico, per seppellirci tutti in un abisso di gloria. Ho detto. (siede) Fidalma Ombrosia, a voi. (a Rosaura)
ROS. Dirò una breve canzone lirica.
OTT. (Sarà petrarchesca). (da sé)
ROS. |
Né che si sciolga e lo sprigioni io chiedo.
Poiché in van spargerei le voci ai venti.
Chiedo soltanto che l’aspro rigore,
Onde assalire e circondar mi vedo,
Per te in parte si tempri, e si rallenti.
Chiedo che tua pietà mi porga aita,
Prima che manchi in sul finir mia vita.
Fu dallo stral che non ferisce in vano,
E di colpo leggier pago non resta;
Ma dello stral la ferrea punta istessa
Del mio leggiadro feritore in mano
Alla piaga letal balsamo appresta.
Perdona, Amor, se il pentimento è tardo,
Amo e stringo i tuoi lacci, e bacio il dardo.
L’aspre pene sofferte e i crudi affanni,
E dall’altro un piacer solo amoroso;
E vedrò questo di recente nato
Premer sua lance, e dei passati danni
Vincere il duro grave peso annoso.
Più in suo voler non sembra;
Di lui più non ramembra
L’alma, che lieta fassi, il crudel modo,
E lieta piango e de’ miei pianti io godo.
OTT. Bravissima. Evviva Fidalma Ombrosia. Ah, che ne dite, eh? Avete sentito mia figlia? Avete sentito il Petrarca? Oh figlia mia! Che tu sia benedetta.
OTT. Sì sì, compatiranno. Una canzone di questa sorta, compatiranno.
ELEON. (Avete sentito la petrarchesca selvatica?) (a Lelio)
LEL. (Credono che per fare una canzone o un sonetto petrarchesco, basti imitarlo rozzamente nei versi, e non pensano alla condotta, all’unità, alla forza, e precisamente alla bellezza degli epiteti e degli aggiunti). (a Eleonora)
ELEON. In difesa d’Amore, accusato ingiustamente di perfido e di crudele.
Con sì poco rispetto, e ingrato tanto?
Del vero Amor, no, non conosce il vanto
Chi lui tiranno e menzognero appella.
D’allegrezza cagione, e non di pianto;
Ed è virtù dell’amoroso incanto,
Ch’ogni cosa all’amante orna ed abbella.
All’empio, ingrato, sconoscente cuore,
Che non cura l’affetto, o non lo crede!
Cambi e cerchi in altrui miglior mercede,
E troverà sempre pietoso Amore. (tutti applaudiscono)
OTT. Eh, può passare, può passare: non è petrarchesco, ma può passare. Avete sentito mia figlia?
FLOR. (Che dite del sonetto della signora Eleonora?) (a Rosaura)
ROS. (Non è suo: gliel’ha fatto un giovine studente, che lo ha confidato a Brighella). (a Florindo)
FLOR. (Non è cosa fuor di uso. Quasi tutte queste signore, che passano per poetesse, si fanno fare le composizioni dagli altri).
LEL. |
Più non v’è chi dietro a voi
E si studia onninamente
Egli studia accumulare
Giorno e notte il suo contante;
Voi sarete discacciate,
Stanno a letto assai di giorno,
Che sia meglio entrar in casa.
Non ne han nemmen per loro;
Muse, su, venite meco,
Gli altrui vizi criticando.
Che in gran pregio un tempo fu,
Perché d’altro sono amanti
I viziosi e gl’ignoranti. (tutti applaudiscono)
OTT. |
Perché d’altro sono amanti |
Perché d’altro sono amanti
Ovano Pazzio, tenete. (gli dà un bacio) Breviano Bilio, a voi.
FLOR. Fileno chiede consiglio ad Amore, come abbia ad assicurarsi dell’affetto della sua Nice.
Per meritar di Nice mia l’affetto?
Vuoi tu ch’io m’apra di mia mano il petto,
E che in dono al mio bene offra il cor mio?
A lei mi mostri in doloroso aspetto?
Vuoi ch’io peni senz’ombra di diletto,
Vuoi tu ch’io taccia, e in sen nutra il desio?
O ch’io segua da lunge i passi suoi?
Vuoi ch’io sia nell’amarla ardito, o vile?
Per l’acquisto di lei vaga e gentile.
Deh, consigliami tu che far lo puoi. (tutti applaudiscono)
OTT. Magronia Prudenziana, ora tocca a voi. (a Corallina)
COR. Signore, io non ho preparato niente.
OTT. Dite qualche cosa all’improvviso.
COR. Favorite darmi voi l’argomento.
OTT. Venite qui, rispondete a questo sonetto. A un sonetto mio, a un sonetto mio, estemporaneamente, in lode del glorioso, erudito femmineo sesso. Compatirete.
Donne, e venite al fonte d’Aganippe,
Le canore v’attendono sirocchie,
E vi faranno omai tante Menippe.
Genti, che avete le pupille lippe,
E Apollo mandi un nerbo che vi crocchie,
E v’acciacchi ben bene e spalle, e trippe.
Vedo le donne uscir fuori del vulgo,
E mi sento stillare a goccia, a goccia.
E tutto fuori della mortal buccia,
Delle femmine in mezzo anch’io rifulgo.
COR. Ringraziamento delle donne. Sonetto colle medesime maledettissime rime.
OTT. Io scrivo sempre con queste rime difficili.
COR. |
Né soglion bere l’acqua d’Aganippe.
Non sanno alle compagne, o alle sirocchie,
Di Menippo parlare, o di Menippe.
E quando per l’età diventan lippe,
Forz’è che ognun le sprezzi, ognun le crocchie,
Poiché buone non son, che da far trippe.
Ed io, che nata sono in mezzo al vulgo,
Sudo per il rossor più d’una goccia.
Vestita anch’io della novella buccia,
Fra cotante pazzie, pazza rifulgo.
OTT. Oh bello! Oh brava! Evviva. Oh che roba! Oh che roba! A Roma, a Roma, al Campidoglio, al Campidoglio. Meritate essere incoronata, e se nessuno lo vorrà fare, v’incoronerò io, v’incoronerò io.
ELEON. (Gran miracoli che si fanno per quattro spropositi di una pettegola). (a Lelio)
LEL. (Può essere che quel sonetto lo abbia veduto prima d’adesso). (a Eleonora)
OTT. Ora tocca a voi, Adriatico Pantalonico.
TON. Comandela che la serva de quattro spropositi all’improvviso?
OTT. Via, sì, dite qualche cosa di bello.
TON. Le favorissa de darme l’argomento.
FLOR. Ve lo darò io. Dite se nelle donne sia più stimabile la bellezza o la grazia.
Per mettere in caena i nostri cuori,
Dimme se della donna più preval
I bei graziosi vezzi o i bei colori.
La femmena, che a nu fa ben e mal,
Ora dandone gusti, ora dolori,
Per venzer sempre, e trionfar segura,
La dopera a so tempo arte e natura.
In tel cuor di della donna a bisegar,
Che ti sa l’arte, el modo e el fondamento,
Come possa la donna innamorar,
Te prego, in grazia, damme sto contento,
Fa che el vero a capir possa arrivar,
E sappia dir co un poco de dolcezza,
Se più possa la grazia o la bellezza.
E voler quel che digo perdonar,
Perché prevedo che la mia sentenza
Ugual diletto a tutti no pol dar.
Amor m’ispira, e spero a sufficienza
De grazia e de beltà poder parlar,
A una delle do s’aspetta el vanto,
E mi dirò la mia opinion col canto.
Per farla compatibile,
Le diè ecc.
Talor, perché negrissime,
Talor perché allegrissime,
E belle ecc.
E chi la vuol magrissima;
Sol quelle che a lor piacciono.
Sol quelle ecc.
E non ha certo merito,
Se a lei non somministrasi
Valor da noi medesimi.
Valor ecc.
La qual da tutti ammirasi,
E d’essa ognun dilettasi,
E ognun, che ad essa accostasi,
Si sente ecc.
In vecchia età conservasi;
Ancorché sia bellissima,
Si rende ecc.
Le donne assai più possono
Quest’è la mia sentenzia.
Quest’è ecc.
Se qui m’ascoltano,
Il mio gradiscano
Deh mi perdonino
Ché inimicissimo
Non son di lor.
Coll’adorabile
Loro beltà.
Che ancor conservasi
Nell’altra età.
Che a me pur piacciono,
Le donne ognor,
E mi feriscono,
Ed esser dubito
Ferito ancor.
La grazia femminil della beltà,
Ma parlemose schietto fra de nu:
L’una e l’altra xe forte in verità.
Se spirito gh’avesse, e più virtù,
Fenisso, perché v’ho seccà abbastanza;
Se ho dito mal, domando perdonanza.
Se ho detto mal, domando perdonanza.
(si suona sinfonia, e tutti partono)