Carlo Goldoni
Componimenti poetici

L’OMBRA DI TITO LIVIO

FACENDO LA CONTROSCRITTA RELIGIOSA LA SOLENNE PROFESSIONE COL NOME DI MARIA CROCEFISSA DI GESÙ   CAPITOLO II

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FACENDO LA CONTROSCRITTA RELIGIOSA

LA SOLENNE PROFESSIONE COL NOME

DI MARIA CROCEFISSA DI GESÙ

 

CAPITOLO II

 

Se Dio mi salvi, astrologo son stato,

Prospero mio gentil, quando vi ho detto

Ch’era il vostro mestier bell’e spacciato:

Ch’Elena, medicando l’intelletto

Di chi si affissa negli esempi suoi,

Rendere può ciascun sano e perfetto.

E, diciamola schietta in fra di noi:

Prevedendo dell’arte le rovine,

Credo che la lasciaste il primo voi,

E ponendo in non cal le medicine,

Parmi che siate divenuto a un tratto

Spezïal da confetti e paste fine.

Poiché, in grata mercé di quel che ho fatto,

Mi mandaste canditi e zuccherini,

E di confetti e di ciambelle un piatto.

amici, né parenti, né vicini

Ebber da me di que’ confetti un solo,

Né la moglie medesma, o i nepotini.

Tengoli nello studio, e mi consolo

Ora questo, ora quel frutto assaggiando,

E la noia talor dal sen m’involo.

Prendo in bocca un confetto, e distillando

La dolcezza nel petto a poco a poco,

Vo le viscere mie dolcificando.

E giunto il sale dell’addome al loco

Dove i sedici nervi uniti sono,

Manda fino al cervello un dolce foco;

E in me destando delle rime il suono,

Dolce metro m’ispira e dolci carmi,

E dolcissimo poi scrivo e ragiono.

Ora che di bel nuovo a domandarmi

Versi venite per la pia donzella

Che si vota per sempre ai Sacri Marmi,

A soddisfarvi l’animo mi appella;

Il soverchio cantar fioco mi ha reso,

Ed arrocata è la mia Musa anch’ella;

Ma un de’ vostri confetti in bocca ho preso,

E dimenatol fra le labbra alquanto,

L’aspera lingua raddolcir m’ho inteso.

E la voce disciolgo al dolce canto,

Fuor di me stesso in estasi rapito

Dallo poter dell’argomento santo.

Febo i dodici segni ha già finito

Di visitar, della sua sfera intorno,

Dacché il sacco la vergine ha vestito.

E sospirava, ed affrettava il giorno

Da poter dir: Togliermi sol può morte

Queste mie lane e questo mio soggiorno.

Chiudansi pure dell’uscir le porte,

Che con tre chiodi alla divina Croce

Son crocifissa di Gesù consorte.

Dal cuor si parte la triplice voce

Che con tre voti a Dio mi crocifigge

Per man d’Amor, pietosamente atroce.

L’anima in Dio contenta non affligge

Castità, povertà, né obbedïenza,

Che il volgo ignaro per dolor trafigge.

Due son le vie che in nostra dipartenza

Dall’albergo terren guidano al Cielo:

O innocenza nativa, o penitenza.

Dio mercè, se custodito ho il velo

Del primiero candor, sperar mi giova

Arder fra le lucerne del Vangelo.

Ma l’inimico tutto fa prova

Di soffiar contro alla leggiera vampa,

Per il desio che d’ammorzarla ei cova.

Felice quel che dal periglio scampa,

E della Grazia l’unico riparo

Sa porre intorno dell’accesa lampa.

Quanto riesce il pentimento amaro

A chi per colpa ai gemiti soggiace,

Patir per grazia all’innocente è caro.

E Babilonia nella ria fornace

Mira i tre giovanetti in mezzo al foco

Lodare il Nume, e passeggiare in pace.

Prospero, ahimè, che sul più bel vien roco

L’inusato mio stile, e di un candito

D’uopo averei per confortarmi un poco.

Ma non duran le cose all’infinito,

E il soave piacer dei zuccherini

(Dio perdoni la gola) ho già finito.

Ed è inutil perciò ch’io mi tapini,

Ché sì preziosi amabili dolciori

Non si trovano al mondo per quattrini.

Quello zucchero avea tanti sapori

Quanti ne avea la manna del deserto,

Che coglievan gli Ebrei fra l’erbe e i fiori.

E fin dapprima io lo tenea per certo

Che i dolci vostri fosser benedetti,

Prospero, da colei che ha divin merto:

Che Maria Crocefissa a quei confetti

Avesse data la benedizione,

Che oltre natura li rese perfetti;

Ed è fondata questa mia ragione

Sull’esperienza, che Ippocrate chiama

Delle cose maestra e decisione.

Come la Musa mia povera e grama,

Di lei cantando di virtù ripiena,

Potea sperar di soddisfar sua brama?

Come potea cangiar comica vena

Nel sacro umor dalla mia penna uscito,

In cui la man si riconosce appena?

Ecco il prodigio che sincero addito;

Terminata la fonte di dolcezza,

È il dolce metro dal mio sen smarrito.

Dir mi resta di lei, che il mondo sprezza,

Le battaglie sofferte, e le vittorie

Che riportar sull’Inimico è avvezza.

E vorrei pur nelle future istorie

Per esempio mandar delle donzelle

I commentari delle sue memorie;

E dir vorrei che le virtù più belle

Dall’onorato genitore apprese,

Che il miglior latte coll’esempio dielle.

Ma da me solo per sì fatte imprese

Atto non sono, e mancami quel bene

Che maggior di me stesso un mi rese.

Finiti ho i dolci, e terminar conviene.

 

 


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