Carlo Goldoni
Il raggiratore

ATTO PRIMO

SCENA TREDICESIMA

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SCENA TREDICESIMA

 

Donna Claudia e detti

 

CLA. Che fate qui, scioccarella?

MET. Niente, signora.

CON. Appunto m’informava da lei, dove poteasi riverir donna Claudia.

CLA. La mia camera sapete dov’è, né vi è bisogno che prendiate lingua da lei.

CON. Signora, credo vi sia nota l’onestà mia, onde non possiate temere...

CLA. Non vi offendete, Conte, che non lo dico per voi.

MET. Lo dice per me la signora madre. Gli dispiace ch’io sia qui, perché vi è il signor Conte. Anderò via, se comanda.

CLA. (Arditella!) Restate, io non ho soggezione di voi; anzi deggio parlare al conte Nestore per conto vostro, ed ho piacere che ci siate. (Vorrei disfarmene di costei). (da sé)

MET. (Se almeno mi proponesse a lui per isposa; ma sarà difficile). (da sé)

CLA. Accomodatevi. (siede)

CON. Per obbedirvi. (siede)

CLA. Sedete, sedete voi pure. (a donna Metilde)

MET. Sì signora. (siede vicino al Conte)

CLA. Chi vi ha insegnata la civiltà? Non si incomodo alle persone, sedendo da vicino.

MET. La sedia era qui... (scostandosi)

CON. Resti pure. Anzi, nella stagione in cui siamo, si sta meglio vicini.

MET. Mi accosterò dunque. (alzandosi un poco)

CLA. Sfacciatella. A chi dico io?

MET. Compatisca. (rimane al suo posto)

CON. (Sono in un pochino d’imbroglio; ma saprò condurmi). (da sé)

CLA. È qualche tempo che ho desiderio di sfogarmi un poco colla mia signora figliuola. Da sola a sola non ho voluto farlo, temendo che l’ardir suo e la mia intolleranza mi conducessero a qualche eccesso. Mio marito è come se non ci fosse; non pensa che a rovinare la casa, ed a me lascia il peso della famiglia. Tutto anderebbe bene, mercé la mia direzione, se non avessi una figlia, che mi occasione di essere malcontenta.

MET. Che cosa le faccio io, che non mi può vedere?

CLA. Che cosa andate dicendo voi, ch’io attraverso le vostre fortune, che non cerco di collocarvi, che sono una madre tiranna?

MET. Sempre, chi riporta, vi aggiunge qualche cosa del suo.

CLA. Possono avere aggiunto: ma qualche cosa averete detto.

MET. Ho detto certo, ho detto.

CON. Signore mie, non fate che la soverchia delicatezza vi faccia prendere le pagliucce per travi.

CLA. No, Conte, giacché ci siamo in questo discorso, contentatevi che si proseguisca.

CON. Cara donna Claudia, vi supplico non inoltrarvi in un discorso che ora sembrami inopportuno. Fatelo in grazia mia, s’egli è vero che abbiate della bontà per me. (sottovoce a donna Claudia)

CLA. Voi avete l’arbitrio di comandarmi. Sospenderò per ora.

CON. Permettetemi ch’io vi dica una cosa, ch’ella non senta. (come sopra)

CLA. Parlate pure con libertà. (s’accosta colla sedia)

CON. (Doveva venire poco fa Arlecchino, a recarvi in mio nome un piccolo segno della mia rispettosa memoria; sarebbe egli venuto?) (piano a donna Claudia, e donna Metilde freme)

CLA. (Non l’ho riveduto dopo la prima volta. Spiacemi v’incomodiate...)

CON. (Vi supplico di scusarmi).

CLA. (Se è lecito, di che cosa mi avete voi onorata?)

CON. (Un picciolo astuccio d’Inghilterra con un picciolo finimento d’oro). (È princisbech, ma non importa). (da sé)

CLA. (Sono tenuta alla vostra cortese attenzione...)

MET. Signora madre.

CLA. Che cosa volete?

MET. Perdoni; non incomodi tanto il signor Conte.

CLA. Fraschetta. (si ritira un poco)

CON. Abbiamo ragionato di voi, signorina.

MET. Me l’immagino. La signora madre parla volentieri di me.

CLA. Sentite? Sempre sospetta di me, e sempre con un simile fondamento. Orsù, alle corte, quello che voleva dire è questo...

CON. Ma signora...

CLA. Non è cosa che possa produr mal effetto. Metilde è in età da marito; voglio collocarla quanto più presto si può. E voi che siete un cavaliere entrante, che ha delle aderenze lontane, vi prego stare in traccia, se si trovasse un partito buono.

MET. (Mi vorrebbe maritare lontana, per non avermi dinanzi agli occhi). (da sé)

CON. Non mancherò, signora, di usare ogni possibile diligenza per rinvenire partito degno di lei.

CLA. Direte ora, ch’io non cerco di collocarvi?

MET. Ma mi vorrebbe mandar lontano.

CLA. Qui non mi si offre un genero, che degno sia della nostra casa.

MET. Il signor conte Nestore non è di sangue nobile quanto noi?

CON. Donna Claudia non ha ancora certa contezza della mia nobiltà.

CLA. Vi credo nobilissimo, Conte mio; ma son certa che avreste difficoltà a pigliarla, sentendola a ragionare così.

MET. È egli vero, signor Conte, che ci avreste della difficoltà?

CON. Signore mie, prima che c’impegniamo in un discorso che non può essere tanto breve, permettetemi che io vi dica una cosa che mi era dimenticata. Due ore sono, è capitata qui mia sorella

CLA. La Contessa vostra sorella?

MET. Come si chiama?

CON. Carlotta.

CLA. Voglio aver l’onor di conoscerla.

MET. Anch’io, se mi sarà permesso.

CLA. Voi la vedrete quando verrà a favorirci. Intanto anderò oggi a farle una visita, se il conte Nestore me lo permette.

CON. (Diavolo! troppo presto). (da sé) È un poco stanca dal viaggio, signora.

CLA. M’informerò quando averà riposato.

CON. Non mancherà tempo...

CLA. No certo. Oggi vovederla; voconoscerla ed abbracciarla.

CON. (Vuol essere bene imbrogliata). (da sé)

MET. Ora, signor Conte, finite di dire quello che avete tralasciato di dire.

CON. Nella situazione in cui sono, colla sorella che mi vuol dar da pensare, non ho il capo a segno per parlare con fondamento.

CLA. No, Conte, se avete qualche inclinazione per la figliuola, ditelo liberamente.

MET. Parlate pure, se avete niente in contrario.

CON. Parmi di sentir gente. Ecco qui Arlecchino.

 

 

 


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