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ATTO PRIMO
SCENA OTTAVA Tullia, poi Rinaldino
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SCENA OTTAVA
Tullia, poi Rinaldino
TULL.
Ma io, per dir il vero,
Sono di cor più tenero di lei.
Son con gli amanti miei
Quanto basta severa ed orgogliosa;
Ma son, quando fia d'uopo, anco pietosa.
Talor fingo il rigore,
Freno di lor l'affetto e la baldanza,
Fra il timore li tengo e la speranza.
RIN.
Tullia, bell'idol mio,
De' vostri servi il più fedel son io.
Deh, oziosa non lasciate
La mia fede, il mio zelo,
Ché sol quando per voi, bella, m'adopro,
Felicità nel mio destino io scopro.
Dite il ver, Rinaldino:
Siete pentito ancor d'avervi reso
Suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
Della smarrita libertà primiera?
Sembravi la catena aspra e severa?
Oh dolcissimi nodi,
Sospirati, voluti e cari sempre
Al mio tenero cor! Sudino pure
Sotto l'elmo i guerrieri;
Astrea tormenti
I seguaci del Foro; e di Galeno
Sui fogli mal intesi
Studi e s'affanni il fisico impostore.
Io, seguace d'amore,
Fuor della turba insana
Di chi mena sua vita in duri stenti,
Godo, vostra mercé, pace e contenti.
Noi con pietà trattiamo
I vassalli ed i servi, e non crudeli
Siamo coll'uom qual colla donna è l'uomo.
Noi dai Consigli escluse,
Non compagne dell'uom, ma serve e schiave,
Solo ad opre servili
Condannate dal vostro ingrato sesso,
Far per noi si dovria con voi lo stesso.
Ma nostra autorità, nostro rigore,
Temprerà dolce amore,
Ed il vostro servir che non sia grave,
Sarà grato per noi, per voi soave.
Cari lacci, amate pene
D'un fedele amante core,
Che ha saputo al dio d'amore
Consacrar la libertà;
S'è vicino al caro bene,
Non risente il suo tormento,
Ma ripieno di contento,
Il destin lodando va. (parte)