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LEONARDO: Sì, merito questo, e merito ancor di peggio. Dovea avvedermene prima d'ora, ch'ella non ha per me né amore, né stima, né gratitudine. Sono perdute le mie attenzioni; è vana la mia speranza, e guai a me se io arrivassi a sposarla. Ho dunque da perderla? Ho da metterla in libertà, perché poi con mio scorno, e con disonore della mia casa, si vegga ella sposar Guglielmo, e quell'indegno burlarsi di me, e dell'impegno contratto con mia sorella? No, non lo sperino certamente. Saprò scordarmi di quest'ingrata, ma non soffrirò vilmente l'insulto. Troverò la maniera di vendicarmi. Mi vendicherò ad ogni costo. A costo di perdermi, di precipitarmi. Sono in disordine, è vero, ma ho tanto ancora da potermi prendere una soddisfazione. Vo' far vedere al mondo che ho spirito, che ho sentimento d'onore. Sì, perfida, sì, amico traditore, mi vendicherò, me la pagherete.
SERVITORE: Signore, un di lei servo ha portata per lei questa lettera.
LEONARDO: E dov'è costui?
SERVITORE: Mi ha domandato se ella c'era. Gli ho detto che sì. Mi ha dato la lettera, ed è partito.
LEONARDO: Bene, bene. Non occorr'altro. (Legge la lettera piano.)
SERVITORE: (È molto in collera questo signore. Ma anche la padrona è furente. Sono andati in campagna con allegria, e sono tornati col diavolino pel capo). (Parte.)