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COSTANZA: Sentite, se continua così, io non lo soffro assolutamente. (A Rosina.)
ROSINA: Compatitelo, è ancor ragazzo.
ROSINA: Ma, signora, se è mio marito, convien ben ch'io lo scusi. Finalmente me l'avete dato voi, ed io l'ho preso per consiglio vostro.
COSTANZA: Ecco la signora Giacinta. (Mi sta bene, merito peggio).
ROSINA: Se non sa più di così, è inutile di rimproverarlo.
GIACINTA: Serva, signora Costanza.
GIACINTA: Riverisco la signora Rosina.
COSTANZA: Si è voluta incomodare la signora Giacinta.
GIACINTA: Anzi son venuta a fare il mio debito.
COSTANZA: Mi spiace infinitamente ch'ella mi trova qui colla casa sì malandata, che propriamente mi fa arrossire.
GIACINTA: Oh! sta benissimo. Non ha da far con me queste ceremonie.
COSTANZA: È poco tempo ch'io sono venuta a star qui, e poi sono andata in campagna, e tutte le cose sono ancora alla peggio. Favorisca d'accomodarsi. Compatisca se la seggiola non è propria.
GIACINTA: Anzi è proprissima. (Tanto sfarzo in campagna, e sta qui in un porcile). (Da sé.)
ROSINA: (Che dite eh? Si è messa in magnificenza). (A Costanza.)
COSTANZA: (Eh! in quanto a questo, se è venuta per farmi visita, non doveva venire in succinto).
GIACINTA: Che nuove mi portano di mia zia?
ROSINA: Oh! la povera signora Sabina è travagliatissima. Sono stata a farle una visita prima di partire, e mi ha dato una lettera per il signor Ferdinando.
GIACINTA: Oh! quanto volentieri sentirei quello che gli scrive.
ROSINA: Io credo che il signor Ferdinando non avrà difficoltà di mostrarla.
GIACINTA: (Cerco ogni strada per divertirmi; ma ho una spina nel core che mi tormenta).
COSTANZA: Come sta il signor Leonardo, signora Giacinta?
ROSINA: E la signora Vittoria?
COSTANZA: E il signor Guglielmo?...
GIACINTA: È egli vero che il signor Tognino è venuto a Livorno con loro?
COSTANZA: Sì, signora, ci è venuto per qualche giorno.
ROSINA: Perché deve passare a Pisa.
ROSINA: Per addottorarsi.
GIACINTA: Sì, sì, è venuto per andare a Pisa, e le male lingue dicevano che aveva sposato la signora Rosina.
ROSINA: Le male lingue dicevano?
GIACINTA: Io ho sempre detto, ch'ella non avrebbe mai fatta questa bestialità.
ROSINA: Sarebbe una bestialità veramente?
COSTANZA: Favorisca, le di lei nozze si faranno presto?
GIACINTA: Non lo so ancora. Io dipenderò da mio padre.
ROSINA: E quelle della signora Vittoria col signor Guglielmo?
GIACINTA: Che vuol dire che sono anch'esse ritornate quest'anno prima del solito?
COSTANZA: Non c'era più nessuno in campagna. Il signor Leonardo e la signora Vittoria hanno sconcertato il divertimento.
ROSINA: Ma quando si marita la signora Vittoria? (A Giacinta.)
GIACINTA: Io non lo so, signora, lo domandi a lei.
ROSINA: Per quel ch'io vedo, anche il matrimonio della signora Vittoria a lei deve parere un'altra bestialità. (A Giacinta.)
GIACINTA: Con permissione. Le voglio levar l'incomodo. (Si alza.)
COSTANZA: Favorisca, aspetti, che prenderemo il caffè.
GIACINTA: No, le sono obbligata.
COSTANZA: Eccolo, eccolo. Mi faccia questa finezza.
GIACINTA: Per non ricusar le sue grazie. (Siedono. Portano il caffè.) (Pare che lo facciano apposta per tormentarmi).
COSTANZA: Si serva. (Dà il caffè a Giacinta.)
ROSINA: Con permissione. (Vuol portare il caffè a Tognino; lo dà al Servitore, e ritorna subito.) Visite, signora zia; abbiamo dell'altre visite.
COSTANZA: E chi viene?
ROSINA: La signora Vittoria, il signor Ferdinando e il signor Guglielmo.
ROSINA: Guardi, guardi, che ha versato il caffè sull'andriene.
GIACINTA: (Maladetto sia chi mi ha obbligato a restare). (Si pulisce.)
ROSINA: Vuole dell'acqua fresca?
GIACINTA: Eh! Non s'incomodi, non importa. (Con dispetto.)
ROSINA: Eccoli, eccoli.