Carlo Goldoni
La vedova spiritosa

ATTO QUINTO

SCENA QUARTA   Donna Placida, donna Luigia, poi don Fausto

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SCENA QUARTA

 

Donna Placida, donna Luigia, poi don Fausto.

 

PLA.

Accelera don Fausto per voi la sua venuta;

Mi rallegro che siate la bella combattuta.

LUI.

Non so che dir, germana; perché non vi lagniate,

Parto senza vederlo.

PLA.

No, no, vo' che restiate.

LUI.

E poi?...

PLA.

Fate ogni sforzo, che farlo io vi permetto.

(Vedrò se sia quel core volubile in affetto). (da sé)

FAU.

Eccomi d'ambedue sollecito al comando.

PLA.

Cercavi mia germana; per me non vi domando.

FAU.

Due pretensor discesi nell'amoroso agone,

Attendon della pugna da voi la decisione.

D'ambi vi è noto il merto, d'ambi l'amor vi è noto:

Arbitra di voi stessa, date al più degno il voto. (a donna Luigia)

PLA.

Via, rispondete ai detti del mediatore amico. (a donna Luigia)

S'ella per rossor tace, io il suo pensier vi dico.

Nell'amorosa arringa, a cui l'un l'altro è accinto,

Un pretensore occulto senza parlare ha vinto.

Soffrano i due rivali, se avversa a lor si mostra;

Li ha combattuti amore, e la vittoria è vostra. (a don Fausto)

FAU.

Gioco di me prendete? (a donna Placida)

LUI.

(Ah, mi palpita il cuore). (da sé, mortificandosi)

PLA.

Prova di quel ch'io dico, mirate in quel rossore.

FAU.

Ah, se mai fosse vero che ardesse ai lumi miei,

Della gentil donzella più molto arrossirei;

Arrossirei scorgendomi indegno del suo cuore,

Di renderle incapace amore per amore.

LUI.

(Dunque l'impresa è vana). (da sé)

PLA.

Perché cotanto ingrato? (a don Fausto)

FAU.

Perché ad amor più tenero mi vuol costante il fato.

Il cuor serba gli affetti, serba gl'impegni suoi,

E dubitar potriane ognun fuori di voi.

LUI.

(Si amano, a quel ch'io sento. Non m'ingannò il pensiero). (da sé)

PLA.

Ella di voi lusingasi. (a don Fausto)

LUI.

No, signor, non è vero.

Non ho di donna Placida lo spirito e il talento;

Ma semplice qual sono, so dir quello ch'io sento.

Certo che più d'ogni altro vi stimo e vi rispetto,

Per voi però non giunsi a accendermi d'affetto;

E quel che far potrebbe l'amabile catena,

Fare non pon quegli occhi che ho contemplati appena.

Gli accenti e i dolci sguardi veggo e conosco anch'io;

Non cedo alla germana un cuor che non è mio.

Ma lasciola in possesso, ed il mio cuore inclina

Ad accettar lo sposo che il cielo a me destina. (parte)

 

 

 


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