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GIACINTA: Sì, lo amo, lo stimo, lo desidero, ma non posso soffrire la gelosia.
LEONARDO: Servitor suo, signora Giacinta. (Sostenuto.)
GIACINTA: Padrone, signor Leonardo. (Sostenuta.)
LEONARDO: Scusi se son venuto ad incomodarla.
GIACINTA: Fa grazia, signor ceremoniere, fa grazia. (Con ironia.)
LEONARDO: Sono venuto ad augurarle buon viaggio.
GIACINTA: E ella non favorisce?
GIACINTA: Perché, se è lecito?
LEONARDO: Perché non le vorrei essere di disturbo.
GIACINTA: Ella non incomoda mai; favorisce sempre. È così grazioso, che favorisce sempre. (Con ironia.)
LEONARDO: Non sono io il grazioso. Il grazioso lo averà seco lei nella sua carrozza.
GIACINTA: Io non dispongo, signore. Mio padre è il padrone, ed è padrone di far venire chi vuole.
LEONARDO: Ma la figliuola si accomoda volentieri.
GIACINTA: Se volentieri, o malvolentieri, voi non avete da far l'astrologo.
LEONARDO: Alle corte, signora Giacinta. Quella compagnia non mi piace.
GIACINTA: È inutile che a me lo diciate.
LEONARDO: E a chi lo devo dire?
LEONARDO: Con lui non ho libertà di spiegarmi.
GIACINTA: Né io ho l'autorità di farlo fare a mio modo.
LEONARDO: Ma se vi premesse la mia amicizia, trovereste la via di non disgustarmi.
GIACINTA: Come? Suggeritemi voi la maniera.
LEONARDO: Oh! non mancano pretesti, quando si vuole.
LEONARDO: Per esempio si fa nascere una novità, che differisca l'andata, e si acquista tempo; e quando preme, si tralascia d'andare, piuttosto che disgustare una persona per cui si ha qualche stima.
GIACINTA: Sì, per farsi ridicoli, questa è la vera strada.
LEONARDO: Eh! dite che non vi curate di me.
GIACINTA: Ho della stima, ho dell'amore per voi; ma non voglio per causa vostra fare una trista figura in faccia del mondo.
LEONARDO: Sarebbe un gran male, che non andaste un anno in villeggiatura?
GIACINTA: Un anno senza andare in villeggiatura! Che direbbero di me a Montenero? Che direbbero di me a Livorno? Non avrei più ardire di mirar in faccia nessuno.
LEONARDO: Quand'è così, non occorr'altro. Vada, si diverta, e buon pro le faccia.
GIACINTA: Ma ci verrete anche voi.
LEONARDO: Non signora, non ci verrò.
GIACINTA: Eh! sì, che verrete. (Amorosamente.)
LEONARDO: Con colui non ci voglio andare.
GIACINTA: E che cosa vi ha fatto colui?
LEONARDO: Non lo posso vedere.
GIACINTA: Dunque l'odio, che avete per lui, è più grande dell'amore che avete per me.
LEONARDO: Io l'odio appunto per causa vostra.
LEONARDO: Perché, perché*... non mi fate parlare.
GIACINTA: Perché ne siete geloso?
LEONARDO: Sì, perché ne sono geloso.
GIACINTA: Qui vi voleva. La gelosia che avete di lui, è un'offesa, che fate a me, e non potete essere di lui geloso, senza credere me una frasca, una civetta, una banderuola. Chi ha della stima per una persona, non può nutrire tai sentimenti, e dove non vi è stima, non vi può essere amore; e se non mi amate, lasciatemi, e se non sapete amare, imparate. Io vi amo, e son fedele, e son sincera, e so il mio dovere, e non vo' gelosie, e non voglio dispetti, e non voglio farmi ridicola per nessuno, e in villa ci ho d'andare, ci devo andare, e ci voglio andare. (Parte.)
LEONARDO: Va, che il diavolo ti strascini. Ma no; può essere che tu non ci vada. Farò tanto forse, che non ci anderai. Maladetto sia il villeggiare. In villa ha fatto quest'amicizia. In villa ha conosciuto costui. Si sagrifichi tutto: dica il mondo quel che sa dire; dica mia sorella quel che vuol dire. Non si villeggia più, non si va più in campagna. (Parte.)