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GIACINTA: È ambiziosissima. Se vede qualche cosa di nuovo ad una persona, subito le vien la voglia d'averla. Avrà saputo, ch'io mi ho fatto il vestito nuovo, e l'ha voluto ella pure. Ma non avrà penetrato del mariage. Non l'ho detto a nessuno; non avrà avuto tempo a saperlo.
VITTORIA: Giacintina, amica mia carissima.
GIACINTA: Buon dì, la mia cara gioia. (Si baciano.)
VITTORIA: Che dite eh? È una bell'ora questa da incomodarvi?
GIACINTA: Oh! incomodarmi? Quando vi ho sentita venire, mi si è allargato il core d'allegrezza.
VITTORIA: Come state? State bene?
GIACINTA: Benissimo. E voi? Ma è superfluo il domandarvi: siete grassa e fresca, il cielo vi benedica, che consolate.
VITTORIA: Voi, voi avete una ciera che innamora.
GIACINTA: Oh! cosa dite mai? Sono levata questa mattina per tempo, non ho dormito, mi duole lo stomaco, mi duole il capo, figurarsi che buona ciera ch'io posso avere.
VITTORIA: Ed io non so cosa m'abbia, sono tanti giorni che non mangio niente; niente, niente, si può dir quasi niente. Io non so di che viva, dovrei essere come uno stecco.
GIACINTA: Sì, sì, come uno stecco! Questi bracciotti non sono stecchi.
VITTORIA: Eh! a voi non vi si contano l'ossa.
GIACINTA: No, poi. Per grazia del cielo, ho il mio bisognetto.
VITTORIA: Oh cara la mia Giacinta!
GIACINTA: Oh benedetta la mia Vittorina! (Si baciano.) Sedete, gioia; via sedete.
VITTORIA: Aveva tanta voglia di vedervi. Ma voi non vi degnate mai di venir da me. (Siedono.)
GIACINTA: Oh! caro il mio bene, non vado in nessun loco. Sto sempre in casa.
VITTORIA: E io? Esco un pochino la festa, e poi sempre in casa.
GIACINTA: Io non so come facciano quelle che vanno tutto il giorno a girone per la città.
VITTORIA: (Vorrei pur sapere se va o se non va a Montenero, ma non so come fare).
GIACINTA: (Mi fa specie, che non mi parla niente della campagna).
VITTORIA: È molto che non vedete mio fratello?
GIACINTA: L'ho veduto questa mattina.
VITTORIA: Non so cos'abbia. È inquieto, è fastidioso.
GIACINTA: Eh! non lo sapete? Tutti abbiamo le nostre ore buone e le nostre ore cattive.
VITTORIA: Credeva quasi che avesse gridato con voi.
GIACINTA: Con me? Perché ha da gridare con me? Lo stimo e lo venero, ma egli non è ancora in grado di poter gridare con me. (Ci gioco io, che l'ha mandata qui suo fratello).
VITTORIA: (È superba quanto un demonio).
GIACINTA: Vittorina, volete restar a pranzo con noi?
VITTORIA: Oh! no, vita mia, non posso. Mio fratello mi aspetta.
GIACINTA: Glielo manderemo a dire.
VITTORIA: No, no assolutamente non posso.
GIACINTA: Se volete favorire, or ora qui da noi si dà in tavola.
VITTORIA: (Ho capito. Mi vuol mandar via). Così presto andate a desinare?
GIACINTA: Vedete bene. Si va in campagna, si parte presto, bisogna sollecitare.
VITTORIA: (Ah! maledetta la mia disgrazia).
GIACINTA: M'ho da cambiar di tutto, m'ho da vestire da viaggio.
VITTORIA: Sì, sì, è vero; ci sarà della polvere. Non torna il conto rovinare un abito buono. (Mortificata.)
GIACINTA: Oh! in quanto a questo poi, me ne metterò uno meglio di questo. Della polvere non ho paura. Mi ho fatto una sopravveste di cambellotto di seta col suo capuccietto, che non vi è pericolo che la polvere mi dia fastidio.
VITTORIA: (Anche la sopravveste col capuccietto! La voglio anch'io, se dovessi vendere de' miei vestiti).
GIACINTA: Voi non l'avete la sopravveste col capuccietto?
VITTORIA: Sì, sì, ce l'ho ancor io; me l'ho fatta fin dall'anno passato.
GIACINTA: Non ve l'ho veduta l'anno passato.
VITTORIA: Non l'ho portata, perché, se vi ricordate, non c'era polvere.
GIACINTA: Sì, sì, non c'era polvere. (È propriamente ridicola).
VITTORIA: Quest'anno mi ho fatto un abito.
GIACINTA: Oh! io me ne ho fatto un bello.
VITTORIA: Vedrete il mio, che non vi dispiacerà.
GIACINTA: In materia di questo, vedrete qualche cosa di particolare.
VITTORIA: Nel mio non vi è né oro, né argento, ma per dir la verità, è stupendo.
GIACINTA: Oh! moda, moda. Vuol esser moda.
VITTORIA: Oh! circa la moda, il mio non si può dir che non sia alla moda.
GIACINTA: Sì, sì, sarà alla moda. (Sogghignando.)
GIACINTA: Sì, lo credo. (Vuol restare quando vede il mio mariage).
VITTORIA: In materia di mode poi, credo di essere stata sempre io delle prime.
GIACINTA: E che cos'è il vostro abito?
GIACINTA: Mariage! (Maravigliandosi.)
VITTORIA: Sì, certo. Vi par che non sia alla moda?
GIACINTA: Come avete voi saputo, che sia venuta di Francia la moda del mariage?
VITTORIA: Probabilmente, come l'avrete saputo anche voi.
VITTORIA: Il sarto francese monsieur de la Réjouissance.
GIACINTA: Ora ho capito. Briccone! Me la pagherà. Io l'ho mandato a chiamare. Io gli ho dato la moda del mariage. Io che aveva in casa l'abito di madama Granon.
VITTORIA: Oh! madama Granon è stata da me a farmi visita il secondo giorno che è arrivata a Livorno.
GIACINTA: Sì, sì, scusatelo. Me l'ha da pagare senza altro.
VITTORIA: Vi spiace, ch'io abbia il mariage?
VITTORIA: Volevate averlo voi sola?
GIACINTA: Perché? Credete voi, ch'io sia una fanciulla invidiosa? Credo che lo sappiate, che io non invidio nessuno. Bado a me, mi faccio quel che mi pare, e lascio che gli altri facciano quel che vogliono. Ogni anno un abito nuovo certo. E voglio esser servita subito, e servita bene, perché pago, pago puntualmente, e il sarto non lo faccio tornare più d'una volta.
VITTORIA: Io credo che tutte paghino.
GIACINTA: No, tutte non pagano. Tutte non hanno il modo, o la delicatezza che abbiamo noi. Vi sono di quelle che fanno aspettare degli anni, e poi se hanno qualche premura, il sarto s'impunta. Vuole i danari sul fatto, e nascono delle baruffe. (Prendi questa, e sappiatemi dir se è alla moda).
VITTORIA: (Non crederei, che parlasse di me. Se potessi credere che il sarto avesse parlato, lo vorrei trattar, come merita).
GIACINTA: E quando ve lo metterete questo bell'abito?
VITTORIA: Non so, può essere, che non me lo metta nemeno. Io son così; mi basta d'aver la roba, ma non mi curo poi di sfoggiarla.
GIACINTA: Se andate in campagna, sarebbe quella l'occasione di metterlo. Peccato, poverina, che non ci andiate in quest'anno!
VITTORIA: Chi v'ha detto che io non ci vada?
GIACINTA: Non so: il signor Leonardo ha mandato a licenziar i cavalli.
VITTORIA: E per questo? Non si può risolvere da un momento all'altro? E lo credete che non possa andare senza di lui? Credete ch'io non abbia delle amiche, delle parenti da poter andare?
GIACINTA: Volete venire con me?
VITTORIA: No, no, vi ringrazio.
GIACINTA: Davvero, vi vedrei tanto volentieri.
VITTORIA: Vi dirò, se posso ridurre una mia cugina a venire con me a Montenero, può essere che ci vediamo.
GIACINTA: Oh! che l'avrei tanto a caro.
VITTORIA: Oh! dunque c'è tempo. Posso trattenermi qui ancora un poco. (Vorrei vedere questo abito, se potessi).
GIACINTA: Sì, sì, ho capito. Aspettate un poco. (Verso la scena.)
VITTORIA: Se avete qualche cosa da fare, servitevi.
GIACINTA: Eh! niente. M'hanno detto che il pranzo è all'ordine, e che mio padre vuol desinare.
GIACINTA: No, no, se volete restare, restate.
VITTORIA: Non vorrei che il vostro signor padre si avesse a inquietare.
GIACINTA: Per verità, è fastidioso un poco.
VITTORIA: Vi leverò l'incomodo. (S'alza.)
GIACINTA: Se volete restar con noi, mi farete piacere. (S'alza.)
VITTORIA: (Quasi, quasi, ci resterei, per la curiosità di quest'abito).
GIACINTA: Ho inteso; non vedete? Abbiate creanza. (Verso la scena.)
GIACINTA: Col servitore che mi sollecita. Non hanno niente di civiltà costoro.
VITTORIA: Io non ho veduto nessuno.
GIACINTA: Eh, l'ho ben veduto io.
VITTORIA: (Ho capito). Signora Giacinta, a buon rivederci.
GIACINTA: Addio, cara. Vogliatemi bene, ch'io vi assicuro che ve ne voglio.
VITTORIA: Siate certa, che siete corrisposta di cuore.
GIACINTA: Cara la mia gioia. (Si baciano.)
VITTORIA: (Faccio de' sforzi a fingere, che mi sento crepare). (Parte.)
GIACINTA: Le donne invidiose io non le posso soffrire. (Parte.)