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Tutti.
BAR. |
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PET. |
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BAR. |
S'ella parlar mi vuole del marital contratto, Parli liberamente. Già quel ch'è fatto... |
È fatto. |
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PET. |
Bene, a parlare in pubblico non ho riguardo alcuno. Non ho, quand'ho ragione, soggezion di nessuno. |
Piano, signora mia, che ho da parlare anch'io. Voi avete ragione, ma il Duca è amico mio. Ch'egli di me si lagni, per certo io non concedo. (a donna Petronilla) |
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PET. |
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L'offesa ad una dama, signore, io non sopporto. |
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PET. |
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Anch'io so praticare un'azion generosa. Corrispondo all'amico col più sincero impegno; |
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Un'anima onorata non cede in tal cimento. L'abbandono per sempre, e impegno il giuramento. |
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PET. |
Ecco, signora mia, ecco il grazioso effetto Del suo brillante spirito, del suo bell'intelletto. A far conversazione coi cavalieri unita, La sua mente sublime alfine han saporita. Tanto di lei rimase alcuno stupefatto, Che tutti l'abbandonano. |
PET. |
E voi non dite nulla? (a don Policarpio) |
PET. |
Parlerò io frattanto. Signora mia garbata, Cominci in avvenire a viver ritirata; Ci va dell'onor nostro lasciar che questo e quello Di voi fra queste mura si serva di zimbello. Per voi non vo' privarmi di mia conversazione, Né vo' che mi teniate per questo in soggezione. |
BAR. |
Ecco, signori miei. L'ora che vi ho veduto, quasi maledirei. (al Duca ed al Cavaliere) |
PET. |
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Amico, a dir vero, provo un dolore interno, Che mi farà per essa vivere in un inferno. |
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Un impegno d'onore non vuol ch'io mi ritratti, Ma consolata almeno la voglio a tutti i patti. Troviamole un marito. |
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PET. |
Sì, le occasion son pronte! (con ironia) Chi volete la pigli? |
(Oh! Ci siamo davvero). (da sé) |
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CON. |
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BAR. |
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No no? Signora, adesso tocca parlare a me. No no, non voglio il Conte? no no diceste allora Ch'egli è venuto in casa in questa notte ancora? Quando che vi ha parlato, e quando vi sposò, Ditemi, sfacciatella, diceste a lui no no? |
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PET. |
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BAR. |
Non mi mortificate. Quello ch'è fatto, è fatto. (con affettata modestia) A voi chiedo perdono. Lo chiedo al genitore. Commesso ho un mancamento. Lo dico a mio rossore. Punitemi, che il merto; ma pria che mi punite, Pria che mi condannate, le mie discolpe udite. |
PET. |
Altro sentir non voglio. Ho capito abbastanza, conosco il vostro orgoglio. |
BAR. |
Dalla bontade vostra posso sperar, signore?... (a don Policarpio) |
CON. |
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È ver, non so che dire. Mia figlia ha fatto male, Ma io, per dir il vero, son stato un animale; |
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PET. |
Orsù, basta così. (a don Policarpio) Cavalieri, vi aspetto alla conversazione. |
Con vostra permissione. |
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PET. |
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E anch'io, perché son tale, vo' palesarvi il vero. Mi piacea donna Barbara, e se mel permettete, |
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PET. |
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(Da galantuom ci ho gusto, e lo so io il perché; Farà per l'avvenire conversazion con me). (da sé) |
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BAR. |
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Dite quel che volete. |
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BAR. |
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Sì, le vostre prodezze sono abbastanza note. |
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BAR. |
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BAR. |
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BAR. |
Che cosa vuoi, Mariano? |
La vostra tabacchiera |
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BAR. |
È giusto che ti vegga tu pur ricompensato. |
LIS. |
Signora, date qua. (leva la borsa di mano a donna Barbara) Non vo' ch'egli mi creda di un animo sì avaro. Gli do la tabacchiera, ed io terrò il danaro. |
BAR. |
Signor, per dir il vero, sgridate con ragione. Ho fatto quel che ho fatto, ancor per sua cagione. Io non avrei ardito di unirmi ad un consorte, Se Marian non l'avesse condotto in queste porte. Dopo l'error commesso, dopo quel passo audace, Studiai per non scoprirlo di rendermi sagace. La mia sagacitade so che non merta lode; L'onestà, la prudenza, nemica è della frode. Delle mie debolezze, degli error miei mi pento, Domando al padre mio novel compatimento; E lo domando a tutti, e con umil rispetto Del pubblico perdono un contrassegno aspetto. |
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