Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO TERZO

SCENA DECIMA

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SCENA DECIMA

 

Lucano, poi Terenzio.

 

LUC.

Terenzio se di Livia, se di Creusa è amante,

Amerà in una il grado, nell'altra il bel sembiante;

Della più vil non teme mostrar acceso il cuore;

Dell'altra non ardisce svelar l'occulto ardore.

Ma se sperar potesse aver nobil donzella,

Schiava non ardirebbe di preferire a quella.

E molto meno ardito esser può a quest'eccesso,

Di contrastar gli affetti al suo signore istesso.

Tal mi lusinga il cuore, tal la virtù m'affida,

Che all'opre di Terenzio fu ognor regola e guida.

Se nel timor persiste l'uom che per ciò più estimo,

Darogli animo io stesso, a parlar sarò il primo.

TER.

(Creusa a me s'asconde. La misera è in periglio.

Dissimular la pena parmi il miglior consiglio). (da sé.)

LUC.

Terenzio, in tal momento ti rechi al mio cospetto,

Che dei pensieri miei tu stesso eri l'oggetto.

Consolomi che Roma giustizia al tuo talento

Reso abbia cogli onori, coll'oro e coll'argento.

TER.

Altro di mio non vanto che del tuo cuore il dono.

È tuo l'oro e l'argento, se di te schiavo io sono.

LUC.

Fra noi un cotal nome mandar puossi in oblio:

Servo non più, liberto sarai per amor mio.

Finor di tue fatiche a te donato ho il frutto,

Son tuoi gli ultimi acquisti, puoi disporre di tutto:

Mente, saper, consiglio ch'ogni poeta eccede,

Da me, da Roma esige amor, stima e mercede.

TER.

Signor, dal dolce peso di tante grazie oppresso,

Poco è ch'io ti offerisca la vita, il sangue istesso;

A me sei più che padre, se l'amor tuo m'invita

Al don di libertade, che val più della vita.

LUC.

Pria che all'occaso giunga di sì bel giorno il sole,

Fra il novero sarai della romulea prole.

Il nome di Terenzio, da me portato in prima,

Servo a te diedi ancora, in segno di mia stima.

Ora mi scordo i lacci, scordomi il grado antico,

Anticipo a chiamarti figlio, liberto, amico.

Meco da questo punto tu pur cambia lo stile;

Meno ti renda il grado, a cui t'inalzo, umile.

A me svela il tuo cuore, confida i tuoi pensieri;

I labbri incoraggiti mi parlino sinceri.

Questa mercé ti chiedo a mia beneficenza:

Fammi, se mi sei grato, del cuor la confidenza.

TER.

(Come svelar l'affetto che all'amor suo contrasta?) (da sé.)

LUC.

Segui a tacer? Che parli ti prego, e non ti basta?

TER.

Signor, di tue richieste veggo, conosco il fine;

Del giusto i miei desiri eccedono il confine.

Ravviso il contumace amor che m'arde in petto;

Reprimerlo son pronto, di spegnerlo prometto.

Se in ciò potei spiacerti, deh, per pietà, mi scusa.

LUC.

(Chi sa s'egli favelli di Livia, o di Creusa?

Un ver scoprir io temo, che m'abbia a recar pena). (da sé.)

TER.

Vorrei, pria di spiacerti, soffrir doppia catena;

Quell'unico mi caglia giusto, soave amore,

Che grato ognor mi renda al cuor del mio signore.

LUC.

Che ami lo so. Svelato fummi di te l'affetto,

Ma dubbio ancor mi resta dell'amor tuo l'oggetto.

Non arrossir nel dirlo. Vedi qual per te sono

Disposto a compiacerti.

TER.

Signor, chiedo perdono.

Cieco è Amor. La natura frale al desio s'arrende;

L'uso, il comodo, il tempo l'alme più schive accende.

L'occhio principia, e il cuore trae seco, a poco a poco,

Da piccola scintilla prodotto il maggior foco.

Perdon, se nel mirare dapprima il vago oggetto,

Qual si dovea non ebbi a te, signor, rispetto.

Se il grado mio scordato, in quel fatal momento,

M'arresi al dolce incanto che forma il mio tormento;

Se di colei, che merta del mondo aver l'impero,

Questo mio cuor s'accese miserabile, altero.

LUC.

(Par che di Livia parli). (da sé.) Se tanto ho a te concesso,

Poss'anco ciò donarti, che amo quanto me stesso:

Dal prezioso acquisto, che offro a' tuoi merti ancora,

Vedi se Lucan ti ama, se ti distingue e onora.

TER.

(L'offerta a lui penosa m'atterra, e mi confonde). (da sé.)

LUC.

(Al maggior de' miei doni stupisce e non risponde). (da sé.)

TER.

Dunque, signor...

LUC.

Sì, amico, non ti avvilir, fa cuore.

La mia pietà vuol lieto mirarti anche in amore.

Più di Ciprigna il figlio il cuor non ti martelli,

E di dolcezza pieni farai carmi più belli,

S'è ver che quella sia che ti ha tenuto in pene...

TER.

Signor, vedi Creusa che timida sen viene.

LUC.

Questa è colei, Terenzio, questa è colei che gravi

Lacci impose a quest'alma, ch'ha del mio cuor le chiavi.

So che tu pur la stimi, so che tu pur l'amasti:

Buon per te, che per tempo fiamme nel cuor cangiasti;

Perciò l'amor sospeso a te più forte io rendo.

Consolati, Terenzio.

TER.

Sì, signor. (Non l'intendo). (da sé.)

LUC.

Olà, perché t'arresti? (verso la scena, da dove viene Creusa.)

 

 

 


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