Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO QUARTO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Damone ed il suddetto.

 

DAM.

Cerco il padron per tutto, e lo ricerco invano.

Saprà dov'è Terenzio, ch'è un membro di Lucano.

TER.

Sì, amabile Damone, lo so dov'ei si trova:

Sollecita d'amore per me l'ultima prova.

Con Lelio e con Scipione, e col pretor di Roma,

Accelera, concerta l'onor della mia chioma.

DAM.

Oh Roma fortunata, poiché fra' lustri suoi

Onorerà Terenzio, la feccia degli eroi!

TER.

Così sciolto da' lacci fosse Damone ancora,

Che 'l numero infelice de' servi disonora.

DAM.

Per me più stimo e apprezzo spennar polli e pavoni,

Dell'arte, onde ti vanti, de' mimi ed istrioni.

TER.

Che dir degl'istrioni, che dir de' mimi intendi?

Di questi e quelli il vanto, il merto, non comprendi.

Ister, che fra gli Etruschi dir vuol gioco da scena,

Diede agli attori il nome della commedia amena;

Mimus, che imitatore dir vuol, diè nome ai mimi,

Quei che ciò fan coi gesti, chiamati pantomimi.

DAM.

Uomini che di fama, che degli onor son privi,

Satirici, impudenti, scandalosi, lascivi.

TER.

Roma per mie commedie a me reca gli onori,

L'autor non è scorretto, onesti son gli attori.

Scena che virtù insegna, merto e preferenza;

Quel che detesto anch'io, del ballo è la licenza.

DAM.

Teco la perde sempre chi dir vuol sua ragione;

Dimmi dove poss'io ritrovar il padrone.

TER.

Lice, cortese amico, lice saper l'arcano,

Per cui mosso è Damone a ricercar Lucano?

DAM.

Amico eh?

TER.

Terenzio a te tal si professa.

Fummo in pari fortuna; siam d'una patria istessa.

Cartagine non sappia, che invidia in suol romano

D'un Africano il bene desti in altro Africano.

Spera che se la sorte in me ricchezze aduna,

D'un che fratello i' chiamo, posso far la fortuna.

DAM.

Tu mi deridi e sprezzi. Di me ti sei servito

Ponendo sulle scene l'Eunuco sbalordito.

TER.

T'inganni, e tale inganno comune è a più soggetti,

Che credon dal poeta segnati i lor difetti.

S'incontran facilmente dal comico imitate

Persone che l'autore non ha nemmen sognate,

Facile essendo a caso toccar d'un tale il fondo,

Da chi prende i difetti a criticar del .

DAM.

Questa ragion m'appaga; amico esser ti voglio;

Vedi se di cucina puoi tormi dall'imbroglio.

Chiedimi al signor nostro. Spezza la mia catena,

E dammi, se puoi farlo, impiego sulla scena.

TER.

Mie favole son greche. Sai di Grecia i costumi?

DAM.

Basta che tu m'impieghi ad accendere i lumi.

TER.

A così vile uffizio non serbo un uom ch'io stimo;

A recitar principia. Puoi divenire il primo.

Valerti delle usate maschere t'apparecchia;

In grazia della voce puoi far da donna vecchia.

DAM.

Vuol dir che far io posso da strega o da mezzana;

Ma questa, per dir vero, sembrami cosa strana,

Ch'entri in ogni commedia la donna da partito,

Il figlio disonesto, il padre sbalordito,

Che abbiano dei mezzani a trionfar le trame,

Che Roma nel teatro soffra una scuola infame.

TER.

Giustamente in te parla della ragione il lume;

Degn'è di correzionepessimo costume.

Principio a moderarlo died'io con mano ardita;

Spero cambiarlo affatto, se 'l ciel mi darà vita:

E se poter cotanto i numi a me non danno,

Faran l'opra compita gli autor ch'indi verranno.

Ma del padron ti scordi.

DAM.

Lo cerca un vecchio Greco.

TER.

Sai che voglia?

DAM.

Nol so, poco parlato ha meco.

Del senator Lucano cercava infra la gente;

Sue voci mal intese sentii per accidente.

Per picciole monete m'offersi accompagnarlo;

Guidailo a queste soglie, sperando di trovarlo.

Tu che lo sai, m'insegna 've trovasi il padrone.

TER.

Cercalo dal pretore, da Lelio o da Scipione;

Ma fa che in questa sala passi frattanto il Greco.

Io che la Grecia scorsi, godrò di parlar seco.

DAM.

Vedrai barba ateniese ridicola ed amena;

Godilo, e fa che Roma goda il ritratto in scena.

Poiché (di' quel che vuoi) dai comici perfetti

Si fan di questo e quello ritratti maledetti. (parte.)

 

 

 


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