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Strada, come nella prima scena.
Eleonora alla finestra della propria casa, poi Ottavio
ELEON. Ma! Sono sfortunata io. Tanto amore ho per Momolo, ed egli così poco di me si cura. Passa dinanzi alla porta della mia casa: si ferma sotto le mie finestre, e in vece di cercare di me, va a divertirsi nella locanda; e sa il cielo con chi. Faceva meglio a non dirmelo la cameriera, che ora non proverei questa pena. Voglio almeno aspettare ch'egli esca, non per rimproverarlo, che con lui le cattive non giovano, ma almeno gli servirò di rossore. Mi vo lusingando che un giorno abbia a conoscere la finezza dell'amor mio, ma dubito di dover penar lungamente. Quanti partiti ho lasciati per lui! Il povero mio padre vorrebbe pur vedermi contenta. Ecco qui quello sguaiato d'Ottavio. Vorrei ritirarmi dalla finestra; ma non vuò perdere l'occasione di veder Momolo. Dovrebbe passare, e andarsene costui. Sa che io non gli bado, che mio padre non lo vuol sentire; e Lucindo, mio fratello, gliel'ha detto liberamente che non istia ad inquietarmi.
ELEON. (Non gli risponde al saluto)
OTT. Né meno per civiltà? (ad Eleonora)
ELEON. Chi così vuol, così merita.
OTT. Merito peggio ancora, volendo continuare ad amare un'ingrata; ma non posso staccarmi questa passione dal cuore.
ELEON. Non siete ancora chiarito che nessuno di casa mia, quand'io volessi farlo, consentirebbe ch'io vi parlassi?
OTT. Cospetto di bacco! da voi soffrirò tutto, ma i vostri di casa me la pagheranno. E colui di Momolo, che è cagione di tutto, giuro al cielo avrà che fare con me.
ELEON. Questo non è luogo da far chiassate.
OTT. Sono un galantuomo, e questi affronti non mi si debbono, e non li voglio soffrire. (alzando la voce)
ELEON. (Entra, e chiude la finestra)