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LEL. Via, non piangete. Siete con un galantuomo, con un uomo che vi vorrà sempre bene.
ROS. Sono con uno che mi vuol morta.
LEL. No, cara, vi voglio viva, e non morta.
ROS. Ditemi, per pietà, dove siamo?
LEL. Oh sì, in questo vi appagherò. Noi siamo in una camera dell’osteria della Posta.
ROS. Oh Dio! Una giovine onesta sopra d’un’osteria? E voi, signore, fate così poco conto dell’onor mio?
LEL. Cara Rosaura, vi vuol pazienza. Siamo in una terra. Qui è impossibile ritrovar una casa che vi ricoveri.
ROS. Che cosa volete far voi di me?
ROS. Sposarmi in un luogo così indecente?
LEL. Questa è una cosa che si può far da per tutto.
ROS. No, signor Lelio, non sarà mai.
LEL. Giuro al cielo, siete nelle mie mani.
LEL. Perché no?
ROS. Un tal matrimonio sarebbe nullo.
LEL. Bene, lasciate ch’io vi sposi, e poi annullatelo, se non vi torna comodo.
ROS. Le vostre parole mostrano di volermi in ogni modo infelice; ma io vi replico che follemente sperate...
LEL. Che follemente? Tu sei una scioccherella, non sei degna dell’amor mio, e se ho pensato sinora a farti mia per affetto, ora lo faccio per punire la tua baldanza. (Proverò a spaventarla). (da sé)
ROS. In ogni guisa mi sono orribili le vostre passioni, e sono pronta a morire prima di permettere che vi accostiate.
LEL. Quand’è così, morite, se vi dà l’animo, e contrastatemi il possesso della vostra bellezza. (s’avanza per afferrarla)
LEL. Ora siete nelle mie mani.
LEL. Eccola svenuta. Ora che devo fare? Una donna svenuta è lo stesso come se fosse morta. Che voglio io imperversare coi morti, o coi mezzi morti? Bisogna pensare a farla rinvenire, se si può. Chiamerò l’oste, e qualche soccorso mi presterà. (apre la porta)