Carlo Goldoni
L'impresario di Smirne

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA   Sala comune nella locanda di Beltrame.   Beltrame aggiustando i mobili della sala, poi il Conte Lasca

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ATTO PRIMO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Sala comune nella locanda di Beltrame.

 

Beltrame aggiustando i mobili della sala, poi il Conte Lasca

 

LAS. Buon giorno, messer Beltrame.

BELTR. Servitor umilissimo del signor Conte. Che cosa ha da comandarmi?

LAS. Mi è stato detto, che al vostro albergo sono arrivati ieri de' virtuosi; è egli vero?

BELTR. Sì signore. Un soprano e una donna.

LAS. Il soprano chi è?

BELTR. Un certo Carluccio...

LAS. Detto Cruscarello?

BELTR. Credo di sì.

LAS. Lo conosco, è un giovane che ha qualche abilità, ma impertinente all'eccesso. Io lo proteggo, perché, se vuole, può divenir qualche cosa di buono. Ma per renderlo un po' ragionevole, non vi è altro rimedio che quello di trattarlo grossamente, e umiliarlo. L'ho mandato a Genova il carnovale passato, e credo che quegl'impresari, attese le sue impertinenze, abbiano avuto poco motivo di ringraziarmi. E la donna chi è?

BELTR. La donna è la signora Lucrezia Giuggioli fiorentina, detta l'Acquacedrataia.

LAS. Acquacedrataia? Che diavolo vuol dire acquacedrataia?

BELTR. Non sa ella che in Firenze i caffettieri si chiamano acquacedratai? Sarà probabilmente figlia di uno di tal professione.

LAS. Sarà così, è brava?

BELTR. Non lo so, signore. Non l'ho sentita.

LAS. È bella almeno?

BELTR. Non c'è male.

LAS. È stata più in Venezia?

BELTR. Credo di no.

LAS. Si potrebbe farle una visita?

BELTR. Ella sta in quella camera, ma è troppo di buon'ora.

LAS. Dorme ancora?

BELTR. Ho sentito che è desta, ma vi vorran due ore innanzi che sia in stato di ricever visite.

LAS. Vorrà lisciarsi.

BELTR. Senza dubbio. Può essere, che s'ella la vedesse ora, da qui a due o tre ore non la riconoscerebbe più.

LAS. Bene. Verrò più al tardi. Fatele intanto l'imbasciata, ditele che un cavaliere desidera riverirla.

BELTR. Venga pure liberamente. Le dirò in confidenza: mi ha fatto l'onore di dirmi, ch'io procurassi di farle fare la conoscenza di qualche signore. Ella può venire ad offerirle la sua protezione.

LAS. Della protezione ne avrà da me quanta ne vuole. Ma se credesse di piluccarmi, s'inganna. Pratico le virtuose, le assisto, procuro i loro vantaggi, ma del mio non ne mangiano.

BELTR. Bravo. Fa a stare all'erta. Senta un caso che è arrivato in questa mia locanda tre giorni sono ad un signor bolognese, che aveva speso quanto poteva, e più che non poteva, per una giovane virtuosa. Essendo ella chiamata per una recita in un altro paese, giunse qui dal medesimo servita ed accompagnata. Desinarono insieme, e dopo aver desinato, la giovane domandò dell'acqua per lavarsi le mani. Si lava, si accosta alla finestra, getta l'acqua in canale e volgendosi all'amante afflitto, lo guarda, e ride, e gli fa questo bel complimento: Non sono più in Bologna, sono ora in Venezia, mi lavo le mani, e getto in canale la memoria di tutti i Bolognesi. Il povero galantuomo resta qualche tempo immobile senza parlare, poi: Ingrata, dice, merito peggio. Non mi vedrete mai più. Ciò detto, se ne va come un disperato, ed ella lo accompagna con una solenne risata.

LAS. Pover'uomo! il caso è doloroso, ma non è caso nuovo.

BELTR. Mi chiamano, con sua buona licenza. (parte)

 

 

 


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