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ANGEL. Serva umilissima di lor signori.
SILV. (S'alza e la saluta senza parlare)
CEL. Riverisco la signora Angelica. Come sta di salute?
SILV. Anche a lei domandate come sta di salute? (a Celio)
CEL. E perché non glielo dovrei domandare?
SILV. Il suo volto può dispensarvi da una sì stucchevole interrogazione.
CEL. (Ecco un uomo noioso, che pretende di voler riformare il costume).
ANGEL. S'accomodino, non istiano in piedi per me.
CEL. Sedete, se volete che noi sediamo.
ANGEL. Ben volentieri. (vuol sedere nel mezzo)
SILV. Signora, scusatemi. Questo è il vostro luogo. (le accenna la sedia presso la spinetta)
CAM. Andate, andate, signora. L'ora è tarda, e se volete favorire questi signori, non vi è tempo da perdere. (ad Angelica)
ANGEL. Non c'è mio padre? (piano a Camilla)
ANGEL. Fate il piacere di ricercarlo, e ditegli che venga qui. (va a sedere alla spinetta, alla dritta di Silvio)
CAM. Ben volentieri. Sono due giovani bene educate, non può loro mancare fortuna. Io però mi fido più del signor Silvio che del signor Celio. Mi pare che il signor Celio abbia un poco troppo del petit-maître. (parte)