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Leandro, e Vittoria alla finestra.
VITT. Come state, signor Leandro?
LEAN. Male assai, signora, e stupisco che voi ancora mi conosciate, contraffatto dalle mie afflizioni.
VITT. Voi non avete colpa nelle vostre disgrazie; siete degno di compassione, ed io la risento più al vivo di ciascun altro.
LEAN. Oh cieli! sono più fortunato di quello ch'io mi credeva. È possibile ch'io possa lusingarmi del vostro affetto, ad onta delle mie miserie?
VITT. Vi amerei ancorché foste il più infelice uomo di questo mondo.
LEAN. Ma non sarà mai possibile che mi diveniate consorte.
VITT. Perché?
LEAN. Perché vostro padre non vorrà maritarvi con un miserabile.
VITT. Non temete; mio padre s'interessa moltissimo per le cose della vostra famiglia; mi dà speranza di qualche accomodamento; spero che ritornerete in istato di una mediocre fortuna, e quando tutto perisse, o sarò vostra, o non sarò di nessuno.
LEAN. Oh fedelissima amante! Oh specchio della più esemplare costanza!...
VITT. Veggo venir alcuno da quella parte. Non ho piacere di esser veduta. Consolatevi; serenate il vostro animo. Sperate bene; amatemi, e siate certo dell'amor mio.
LEAN. Sì, mia cara, sarò lieto in grazia della vostra bontà.
VITT. Addio, signor Leandro. Procurate veder mio padre, e venite da noi, quando egli sia in casa. (si ritira)