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PAN. Sior Dottor, con vostra bona grazia. Cossa fa qua mio fio?
DOTT. Sapete cosa fa vostro figlio? Rende soddisfazione alla mia casa del torto e dell'affronto che voi mi avete fatto.
DOTT. Mi avete dato ad intendere che era ammogliato, per disobbligarvi dell'impegno di dargli la mia figliuola.
PAN. Ho dito che el gera maridà, perché lu el me lo ha dà da intender.
LEL. Oh via, tutto è finito. Signor padre, questa è la mia sposa, voi me l'avete destinata. Tutti sono contenti. Tacete e non dite altro.
PAN. Che tasa? Tocco de desgrazià! Che tasa?… Sior Dottor, sentì sta lettera, e vardè se sto matrimonio pol andar avanti. (dà al Dottore la lettera di Cleonice)
LEL. Quella lettera non viene a me.
DOTT. Bravo, signor Lelio! Due mesi e più che siete in Venezia? Non avete impegno con nessuna donna? Siete libero, liberissimo? Rosaura, scostati da questo bugiardaccio. È stato a Roma tre mesi, ha promesso a Cleonice Anselmi. Non può sposare altra femmina. Impostore, menzognero, sfacciatissimo, temerario.
LEL. Giacché mio padre mi vuol far arrossire, sono obbligato a dire essere colei una trista femmina, colla quale mi sono ritrovato casualmente all'albergo in Roma tre soli giorni, che colà ho dimorato. Una sera, oppresso dal vino, mi ha tirato nella rete e mi ha fatto promettere, senza saper quel ch'io facessi: avrò i testimonj ch'ero fuori di me quando parlai, quando scrissi.
DOTT. Per mettere in chiaro questa verità, vi vuol tempo; intanto favorisca di andar fuori di questa casa.
LEL. Voi mi volete veder morire. Come potrò resistere lontano dalla mia cara Rosaura?
DOTT. Sempre più vado scoprendo il vostro carattere, e credo, sebben fingete di morir per mia figlia, che non ve ne importi un fico.
LEL. Non me ne importa? Chiedetelo a lei, se mi preme l'amor suo, la sua grazia. Dite, signora Rosaura con quanta attenzione ho procurato io in poche ore di contentarvi. Narrate voi la magnifica serenata che ieri sera vi ho fatta, e la sincerità colla quale mi son fatto a voi conoscere con un sonetto.