11 gennaio 1903.
Ella ha finito per conoscermi...
Ma perché non faccia dipendere la gamma scapigliata dei miei
sentimenti dalla sola costituzione del mio temperamento le dirò brevemente come
io vivo.
Vivo da gran signore: da un certo tempo sono fuori di
famiglia, padrone di prendermi tutti quei spassi e godimenti che la miseria
concede ad un giovane. Per ora sto a Siena, ma da un giorno all’altro non so
dove andrò. Per esempio, un mio amico e compagno di fede e di abitudini, un
socialista, mi ha proposto una gita di propaganda nell’Umbria e nel Monferrato,
nel paradiso e nell’inferno... Lo farò?
Io non lo so. – Certo, per ora non ho altri orizzonti!
Il mio temperamento vorrebbe che non lo esponessi alle emozioni della
folla e ai disagi d’una peregrinazione, compiuta in paesi e villaggi dove
l’imprevisto e le dure necessità materiali a cui dovrei sottoporlo finirebbero
di acutizzargli quella sensibilità patologica che ora di tratto in tratto a lui
fa capo. Quindi, con assai facilità, preferirò rimanere nell’ombra, in
compagnia segreta dei miei sogni, pago se qualche anima come quella di Annalena
gentile non mi dimenticherà.
La mia Mimiì
La donna che mi ama non mi piace tanto quanto quella che scorgo
di lontano soffusa dietro il velame desiderato dello ignoto. Ed ella che
conosce ormai queste fughe di tenui faville, spente nel loro diffondersi per
uno sforzo di volontà negativa, potrà comprendere perché a volte io mi
soffermi, incerto su la soglia di un’idea e poi ripieghi di tutto tediato e di
me stesso. Sì, spesso avviene che io mi contraddica e non trovi la forza di una
decisione; e così mi lascio andare in labirinti oziosi e non invoco mai il filo d’una Arianna...
Ella, buona, mi dice: «Bisognerebbe che ella s’esercitasse
all’esercizio del volere». Come devo fare?
Senta, le porto un esempio recente: ieri sera verso le dieci,
quando ero già andato a letto (in un letto patriarcale dove dorme anche
quell’amico di cui le ho parlato) non so come mai entrammo a parlare di
spiritismo, di superstizioni, di terrore e di arte del terrore, ripensando alle
novelle del Poe. Fatto sta, a forza di raccontarci vicendevolmente certi
fenomeni e certe leggende eravamo entrati in uno stato suggestivo tremendo.
Bastava che il canterano scricchiolasse perché il mio cervello udisse il
digrignare maligno d’uno di quei spiriti che la mia fantasia aveva creato...
Avevo la pelle d’oca!!
Il mio amico, del pari, era invaso dalla paura del terrore e la
sua voce, quasi attraversata da un insolito brivido, mi faceva fremere.
... Nel buio percepivo dei fiocchi fosforescenti, ondeggianti,
prima piccoli, poi grandi, prima stretti, poi lunghi, della lunghezza
meravigliosa d’uno spettro. Chiudevo gli occhi e allora vedevo dei limoni
tagliati, poi un teschio d’oro, poi una corona di lauro verde e rossa, una
grande bandiera nerastra, dei punti turchini, dei fiocchi, delle donne, degli
occhi, dei gatti, dei mostri, una statua greca, una girandola vaporosa, una
luce lontana, un panno, un orecchio... Ed il cervello mi doleva sotto la fronte
fredda.
Il racconto d’una novella del Poe (Cuore rivelatore) mi
aveva stravolto. Poi lentamente mi assopii, scorgendo sempre dinanzi agli occhi
delle luci sanguigne. La notte l’ho passata in sogni straordinari, ma
sconnessi. C’era un’enorme girandola che parlava, una luna che rideva, un uomo
che mi tirava i sassi, il rombo misurato di una cascata.
Stamani, naturalmente, ho rifatto a mente tutta la via della
sera e senza un evidente legame di continuità, ho pensato alla mia Mimì, ma in
un modo cattivo. L’ho trovata piena di difetti morali, bugiarda sopratutto. E
l’idea della menzogna in quella bocca tante volte baciata, mi travolgeva in un
dolore muto, indicibile.
Ma stamani avrei dovuto rimeditare su l’«Agamennone» di Eschilo...
Come potevo farlo?
Ho interrotta la lettera per guardare il cielo. Un cielo pieno
di splendori metallici su le colline soffuse di polvere d’oro.
Ma come – Ella dirà – come ha fatto questo ciarlatano a guardare
un cielo pieno di splendori metallici, se tutto il giorno è stato nuvolo e la
sera ha piovuto?
È vero, ma io l’ho guardato con gli occhi della mia mente,
avendomi ricordato un libro di Zola che ho visto sopra il tavolino, la
descrizione di uno splendido tramonto primaverile.
Se fossi stato in una conversazione che non mi avesse dato tanto
interesse, io avrei cessato di parlare o di ascoltare per risentire dentro di
me tutta quanta la bellezza di quella descrizione o di un’altra a seconda del
caso. E siccome dopo la domanda che le avevo rivolta, sono stato un momento con
l’attenzione sospesa attendendo qualche idea, mi è capitato invece di
rivedere una cosa che senza dubbio non m’aspettavo e che c’entrava (per
dirla alla senese) come il cavolo a merenda.
Ecco anche perché, scrivendo o parlando, io mi perdo e non
tratto profondamente il soggetto preso in esame. Così, fuori, anche se in
compagnia, mi avviene di cadere in un buio completo e allora faccio dei calcoli
aritmetici mentalmente... Sono sempre i soliti. O rileggo per tre o nove volte
di seguito l’insegna d’una bottega o il nome di una strada o compio qualche
atto – preferibilmente con le dita o con la bocca – per tre o nove volte,
sforzandomi di essere esatto per paura... di che? Non saprei.
È un fenomeno curioso che un ateo abbia certe debolezze
superstiziose, non è vero? Se noi continueremo a stare in corrispondenza, come
ardentemente desidero, ne ascolterà delle curiose. Oh, come gli uomini sono
pieni di cose ridicole!
Altri si vergognerebbero a fare certe confessioni, perché – come
dice il Rousseau – l’uomo è più proclive a farsi stimare per mezzi di violenza
che di sincerità.
Ed ora, Annalena, ora che tutte le piaghe della mia anima
cominciano ad aprirsi sotto il suo occhio indagatore, non mi sia avara del suo
consiglio benefico. Certo, se Ella vuole, può farmi del bene.
Quando vuole che cominciamo a fare un’escursione artistica per
le nostre chiese? Dobbiamo da prima trattare il soggetto promesso, ossia del
bisogno d’essere amati? Come crede.
Scriva presto.
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