17 gennaio 1903.
Ecco quello che ci vuole ad urtare i nervi ad una donna! Ella
spende quasi tre pagine per dirmi... quello che io non le avevo chiesto. Se ora
volessi abusare della mia abilità di polemista potrei metterla in sacco e
dirgliene tante da farla arrossire, ma siccome la nostra amicizia non mi
concede il diritto di tanta confidenza l’avverto soltanto che un’altra volta
non le porterò alcun rispetto.
Donna avvisata è... quasi salvata.
Che poi non ci troveremo d’accordo nella questione politica è un
fatto anche da me preveduto. Il mio temperamento ribelle è naturalmente
violento e la violenza mi piace quando sia esplicata contro un ordine sociale o
politico o morale che è il resultato di una umanità degenerata. La nostra
società è un letamaio: i ricchi sono i funghi che essa ha prodotto. La nostra
politica è una sopraffazione, la nostra religione (errore psicologico in
principio) è divenuta un’ipocrisia indecente; la nostra morale è stupida. Io
sono socialista perché credo unico il partito socialista efficace a combattere
e migliorare moralmente ed economicamente; quindi io faccio della propaganda
socialista convinto del suo contenuto ideale e pratico, pieno di verità
incontrastabile, espressione esatta d’una plebe oppressa, sofferente, ma buona
ed ardita.
Ma io non ho l’anima socialista; io sono anarchico e lo sono
divenuto senza volerlo né senza averne contezza. Non faccio della propaganda
anarchica – ma milito invece in un partito sostanzialmente differente – perché
gli effetti della propaganda anarchica sono inefficaci e perché inevitabilmente
generano esplosioni di forme delinquenti e mattoidi. Ravachol, Pini sono esseri
schifosi, mi ripugnano; ma non mi impediscono di sentirmi nel fondo dell’anima
l’aculeo dell’anarchia che fa sanguinare. Vorrei che l’idea anarchica fosse
posseduta da individui sani, intelligenti: Ottavio Mirbeau è un anarchico
bellissimo.
Perché Ella sentisse a un tratto l’indignazione dolorosa che
produce la sofferenza della miseria che urla e geme nei fondamenti luridi dei
palazzi signorili, bisognerebbe che per un momento dimenticasse la sua pace e
la sua tranquillità, il suo adattamento alle necessità che la inseguono, ed
entrasse con me nell’anima di chi spasima e maledice quotidianamente, di chi è
corrotto nella prostituzione, di chi gavazza nell’aberrazione turpe della
delinquenza. Ma Ella non vuole sporcare le scarpette di coppale su tanto
fango... quindi il mondo del dolore le rimarrà sempre ignoto.
Pertanto io le do una definizione rigorosamente scientifica del
socialismo.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . .
Senza offenderla io penso che questa definizione le rimarrà un
po’ ostica e bisognevole di commento. Sono disposto a farcelo quando Ella me lo
dica.
Adesso, scommetto che dopo aver lette queste quattro pagine,
Ella mi vuole... un altro Rodolfo; non è vero? Mai mi ero fatto conoscere
nell’aspetto politico, e insolita le sarà la mia intonazione, tutt’altro che
serena, ma aspramente violenta, e diretta a demolire, senza scrupolo alcuno,
tutto quello che la gran massa dell’umanità oggi tiene gelosamente come suo
patrimonio morale. Del resto, giudicando sotto questo punto di vista, ella non
ha un artista né un sognatore, ma un politicante che nell’agone delle sue lotte
è deciso di battere qualsiasi avversario.
È così. Per ora le mie convinzioni politiche (che per me sono
subordinate alle mie speciali vedute morali) sono incrollabili. Forse con il
tempo potrei modificarmi senza avvedermene, come m’è avvenuto di dovermi
conoscere anarchico senza averlo mai pensato.
Ma di politica non parliamone più.
A volte, scrivendole, mi sono immaginato una donna dai capelli
biondi oscuri, dagli occhi celesti, dalla fronte pensosa, dal sorriso gentile, alta,
snella, ma di un insieme quasi brutto . Senza che Ella mi renda pan per
focaccia le dico preventivamente da me, il mio aspetto fisico: capelli lunghi e
anellati, biondi con chiazza d’oro; fronte alta e spaziosa con due rughe; occhi
color d’acciaio turchiniccio e vivaci, aspetto non florido, quasi sempre
pallido, bocca da violento; camminatura da epilettico; parlata franca, ma
nervosa (a volte stentata); agito le mani in mimica a seconda il significato
delle parole (di bontà, di irritazione, di paura), guardo in viso quasi tutte
le persone.
E basta.
Oggi le propongo un tema che credo essere originale perché non
m’è occorso di trovarlo in alcun libro e perché m’è sorto spontaneamente senza
una derivazione. Eccolo: se l’uomo deve subordinare la sua felicità alla sua
moralità, quando quella fosse in contrasto con questa. Per felicità (tanto per
intenderci subito nel significato dei termini) intendo un godimento illimitato
fisico, morale, intellettuale, e per moralità intendo certi confini stabiliti
convenzionalmente, al di fuori dei quali un uomo perderebbe la sua integrazione
di onestà. Per onestà intendo tutto quello che è fatto per utile proprio senza
danneggiare altrui, oppure tutto ciò che si fa nei giusti limiti dei rapporti
amorevoli. Per rapporti amorevoli intendo quelli derivati dalla pratica della
massima biblica: «Non fare agli altri quello che non vorresti fatto a te».
Premesso ciò, si tratta di stabilire se l’uomo deve avere per
scopo supremo il raggiungimento della propria felicità, qualunque poi siano le
conseguenze naturali dello stato di questa felicità; oppure se l’uomo,
prefissosi costantemente di essere morale, sacrifichi il raggiungimento
di quello stato felice al compimento dei propri doveri . Ma, intendiamoci bene.
Non si tratta di sacrificare il dovere occasionale per il godimento effimero
d’una particella di felicità, ma io intendo parlare del sistema sociale a cui
gli uomini possono giungere per via di processi psicologici dipendenti o da
cause economiche o da fenomeni fisici.
Nella società attuale mi pare che non si miri né al
raggiungimento della felicità né al compimento d’una morale. La nostra società,
essendo organizzata con criterii essenzialmente di egoismo economico perde di
vista il mondo morale ed anche il mondo intellettuale, poiché presentemente non
conta chi è ma conta chi ha. Quindi deriva che ognuno cerca di
accumulare quella maggior copia di energie economiche perché quasi solamente da
quelle dipende il suo sviluppo e il suo evolversi morale e intellettuale.
Da ciò ne deriva che la mia tesi è un’ipotesi astratta prodotta
da uno stato di ideazione, prodotto alla sua volta o da una impressione
estetica o da un sentimento di dolore o di piacere. Ma questo per noi non vuol
dir nulla. Possiamo stabilire ugualmente una discussione in questo campo
immaginario, sottoponendolo alle leggi fondamentali della logica.
E... tanto per cominciare, enuncio la mia opinione, che è
questa: l’uomo, siccome dovrebbe trovare la felicità nel compimento del proprio
dovere, deve subordinare all’ordine morale il sentimento del proprio egoismo.
Quest’opinione se volessi sostenerla in pubblico farebbe ridere. Alcuno si
immaginerebbe per quale processo psicologico io sia pervenuto a questo
paradosso, e per questo motivo poi me lo tenessi caro, quando d’intorno a me
non avrei che a ritrovare esempi d’opinione che mi smentiscono. Ma... io me ne
curo poco. Intanto però, prima di tenermela per inoppugnabile, la sottopongo
alla disamina di Lei che per me può rappresentare l’espressione di una critica
intelligente.
Oggi avviene tutto l’opposto di quello su cui ho basato il mio
paradosso, non c’è bisogno che glielo dimostri perché certamenle Ella lo deve
sentire e riconoscere più di me. Prima di ragionare attorno ai fatti pratici
aspetto che Ella mi dica come la pensa .
Ma scusi la maniera disordinata della presente che ho scritta
in momenti piuttosto... difficili per me. Facilmente le annunzio che me
ne anderò da Siena, per stabilirmi a Firenze.
Ancora non lo posso sapere né meno io. In ogni modo anche di là
(se vi andrò) avrò piacere di continuare la nostra corrispondenza. Non si turbi
se alcuna volta non mi riguardo di metter fuori pensieri e parole che la
potrebbero urtare nella sua suscettibilità; lo faccio liberamente certo di
trovare in Lei una buona Annalena, che comprende tutto il mio brutto, assai
brutto retroscena.
La saluto cordialmente, ringraziandola de’ buoni consigli dei
quali forse (non per mia colpa) non potrò mai fare uso.
Il destino è più forte di me e di Lei.
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