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Federigo Tozzi
Novale

IntraText CT - Lettura del testo

  • Parte seconda
    • 25 gennaio 1908.
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25 gennaio 1908.

Ti lamenti, scherzando, ch’io ti scrivo poco, ma quando ho questo peso nell’anima non potrei di più. Conviene che io stia a pensare sempre la stessa cosa, con la stessa intensità, anche quando non ho la carta dinanzi.

Mi sembra anche che tutto debba aver fine; penso che tu abbia lo stesso sogno, che è come il sangue della mia anima. E questa doglia segreta mi fa sovvenire di cose indefinibili. Sembra ch’io barcolli dentro la realtà.

Dove sei tu? Io udivo tutta la tua voce.

E quando ho scritto riappare il dolore. Ed io ho voglia di alzarmi e di correre verso una campagna silenziosa, dove la mia anima e la mia carne si dileguino. O dove io ritrovi le tue mani illuminate di sole, o dove la tua anima sia come un usignolo. Dove ci ameremo giocondamente. Dio ci consola.

. . . . . . . . . . .Tu hai il mio bacio come un filo nell’invisibile...

Io ho conosciuto la bontà della preghiera, che è il linguaggio più profondo dell’anima. Per essa posso esprimere quel che non si dice con le parole. Oh, io l’ho provata come un fiume che scorre da noi nell’infinito.

Io l’ho provata come un rapimento.

– O Dio, che mi hai atteso, o Dio che mi hai udito, io sono annientato alla tua presenza. Quel che dirò di te – siano pure le parole bagnate dalla tua rugiada – è come il suono del mio compimento in Te.




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