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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO IV
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CAPITOLO IV

 

Sull'estremo canto della facciata del palazzo arcivescovile, tirando verso il monte, alle cui falde è posto il paese, sporgeva in fuori un ballatoio con voce germanica fra noi chiamato lobia, ed era il luogo dove si tenevano i placiti, e si pronunziavano le sentenze. Tutti gli sguardi della gente affollata alle finestre, su pei tetti, e stivata nella piazza, si volsero lassù, dove di a poco fur viste comparire tre persone.

- Chi sono? - domandò Bice al padre.

- Quel in mezzo seduto, - rispose il Conte, - è il giudice; degli altri due che stanno in piedi, quello alla destra di lui con quella mazza d'argento è l'avvocato del monastero, l'altro lo conosci, è il Garbagnate, l'avvocato dei Limontini.

Squillò un'altra volta la tromba, al cui suono tutti fecer silenzio; allora l'avvocato del monastero, rivolto al giudice, disse con voce chiara che fu intesa fino al fondo della piazza: - Confessate voi di sedere come messo dell'Illustre e Magnifico Messer Cressone Crivello per decidere la lite tra il monastero di S. Ambrogio e gli uomini di Limonta? - Al che il giudice rispose solennemente: - Lo confesso. - E quel primo seguitava: - Io dico innanzi a voi, che gli uomini di Limonta sono servi aldi del monastero di S. Ambrogio. - Il Garbagnate rispose: - Ed io oppongo la prescrizione centenaria alla domanda dell'attore. - A questo il giudice prese la parola e disse: - Le due parti hanno offerti testimoni disposti a giurare; non volendo però dar luogo allo spergiuro, noi coll'autorità delegataci di messo arcivescovile e regio, abbiam sentenziato che si abbia ricorso al giudizio di Dio per mezzo del duello col bastone e lo scudo. - Voltosi quindi all'avvocato degli attori: - Confessate, - tornò a domandargli, - d'aver presentato Ramengo da Casale per campione del monastero di S. Ambrogio? - Al che avendo egli risposto: - Lo confesso; - E voi, - richiese al Garbagnate, - confessate d'aver presentato Lupo da Limonta per gli uomini del suo paese? - Lo confesso, - rispose egli pure.

- Sta ben attenta adesso, - disse qui il conte Oldrado alla figlia.

I due avvocati presero in mano un grosso e noderoso bastone per ciascuno, e venendo innanzi alla sedia del giudice ne fecero il cambio fra loro in segno che il duello era accettato. Comparvero allora sul ballatoio i campioni, i quali furono salutati da una furia d'applausi; e compiute molte altre formalità che sarebbe troppo lungo il descrivere, giurarono l'un dopo l'altro di non venire a quella prova fidando in alcuna forza d'erbe, di parole o di maleficii, ma nel solo aiuto del Signore, della Vergine, e del barone San Giorgio il prode cavaliere. Dopo di ciò si ritrassero per discendere nello steccato.

Intanto che essi venivan giù per le scale interne del palazzo, erasi suscitato nella piazza un rumore, un mareggio per lo spingere di quelli che eran più lontani e volevano pur ficcarsi innanzi, e pel riurtare dei meglio collocati che non si volevano lasciar cacciar di posto.

- Se non ci fosse l'interdetto, - disse il Conte ad Ottorino, - adesso si direbbe la messa che i due campioni dovrebbero ascoltar inginocchiati sui gradini dell'altare, quindi si benedirebbero i bastoni e gli scudi: io le so tutte queste cose, chè ho sulle dita le Consuetudini dello Stato di Milano raccolte per ordine del podestà Brunagio Porca. Ora voglio un po' vedere come n'escono; chè senza benedir le armi non vi può esser duello per giudizio di Dio.

- Ho sentito dire, - rispose il giovane, - che il parroco del paese non voglia benedirle per nessun conto.

- E ha ragione, ha mille migliaia di ragioni: i canoni cantan chiaro; c'è scomunica.

- Basta, in quanto a codesto, se la sbrighino fra loro, - conchiuse Ottorino; - io non me ne intendo.

Giunsero sulla piazza i due campioni in compagnia del giudice, di due assistenti del campo e d'un trombetta; sette od otto lancieri aprivano ad essi il passo tra la folla. Il giudice, pigliato dalle mani d'un donzello uno scudo ed un bastone li porse al Ramengo dicendogli ad alta voce e con tono solenne queste formali parole: - Ricevi lo scudo e il bastone dell'impugnazione secondo la giustizia. - Poi, presentando le sue armi a Lupo, disse: - Ricevi il bastone e lo scudo della difesa secondo la giustizia. - I due campioni entrarono nello steccato, il giudice andò a collocarsi su d'un palco in compagnia di due cancellieri; i testimoni e gli assistenti presero il loro posto, e stava per incominciare il duello; quando s'intesero alcune voci all'intorno: - Bisogna benedire le armi! bisogna benedire le armi! - Il giudice si alzò in piedi e disse: - Il vostro curato non vuol benedirle. - Una tempesta d'urli, di grida, di fischi si suscitò da tutte le parti. - Fa bene il curato, - gridavano quei del paese, e dei paesi vicini. - Fargliele benedir per forza! abbruciarlo vivo! - gridavano i soldati e tutti i favoreggiatori dell'antipapa, che si trovavano sulla piazza e nelle case. - Sì! no! no! sì! - era una babilonia, una casa del diavolo.

Il giudice però vide che quelli che stavano pel curato erano troppi a petto agli altri, e capì che a fare il bell'umore la non gli tornava; del resto non sarebbe restato dal cavarsi una voglia. E veramente non era cosa nuova a quei il vedere abbrustolire o scorticare un prete perchè si riflutasse di dir messa o di far qualche sacra funzione, per amor dell'interdetto. Il valent'uomo, tosto che fu quetato un po' quello scompiglio, tornò a gridare:

- Se v'ha qualcuno che voglia benedirle ci sarà un marco d'argento.

Gli astanti si guardarono in viso l'un l'altro. - C'era pur qui il Messere di Dervio, - e quel di Perledo, - e quel di Limonta, ma non si vede più nessuno, - dove si son fitti? - che non v'abbia ad essere un prete fra tanta gente? - Domanda di qua, domanda di , le furon parole.

Finalmente venne fuori dalla folla una voce che soverchiando quel confuso bisbiglio fu intesa per tutta la piazza: - Non c'è il Tremacoldo?

Un grido d'approvazione e d'applauso si levò in un punto da tutte le parti. - Venga il Tremacoldo! venga il Tremacoldo!

Il lettore ha da sapere che il Tremacoldo, il giullare che avea cantato poco prima le lodi di Bice, era propriamente un prete, era canonico di Crescenzago. Un sacerdote fare il buffone di mestiere! Che bei tempi, è vero? crediate che fosse codesta una singolarità da farsene il segno di croce. I canoni gridavano; il concilio di Vienna, il concilio di Bergamo tenuto dal nostro arcivescovo Cassone della Torre nel 1311, molti altri concili, molti decreti di papi proibivano espressamente ai sacerdoti di esercitar l'arte del beccaio, del camparo, di tener osteria, volete di più? di tenerla nelle chiese, di fare il cantambanco. Con tutto ciò anche in tempi ordinari vedevansi spesso tali scandali rinnovati per tutta cristianità: ora che dovea poi essere in tempo d'interdetto, quando i trasgressori non aveano più immunità, privilegi di fôro ecclesiastico, benefici da perdere? quando, insomma, non c'era più nessun ritegno, chi avesse perduto quello della sua coscienza?

- Venga il Tremacoldo, venga il canonico, - continuava a gridare la torma.

Ed ecco il giullare venir fuori dal palazzo dell'arcivescovo in mezzo a due barbute che gli sgombravano la via, ed entrar nello steccato.

Il falconiere del conte, che come padre d'uno dei campioni avea potuto pigliar posto presso la sbarra, diede una voce al suo Lupo che stava in piedi in mezzo dello steccato, aspettando il fine di quella scenata, e quando questi gli si fu accostato:

- Senti, - gli disse, - guardati bene dal combattere se le armi non son benedette, chè ben sai i sospetti che corrono sul conto di quel birbone , - e accennava il Ramengo, il quale colle braccia avvolte al petto stava appoggiato alla sbarra dell'altro capo.

- Non abbiate paura, - gli rispose il figliuolo; - lasciate che facciano, le mie armi sono già benedette; le ha benedette stamattina il Messere, ma zitto!

Il povero Ambrogio a tale novella si sentì rimettere il cuore in petto.

In questo mezzo il giullare voltosi al messo e agli spettatori: - Sentite, - diceva, - io ho cantato tutta mattina e ho molta sete; adesso m'apparecchiava ad andar giù nelle cantine dell'arcivescovo a farvi una buona tirata da tedesco, signor sì che mi vengono a tôrre e mi menan qui; vogliono che faccia il prete; ma io dichiaro e protesto che prima di avermi bagnata la bocca, se n'andasse il mondo in rovina, non ne farò nulla, avete capito?

Il messo fe' segno ad un sergente, il quale entrò nel palazzo, e poco dopo ne uscì con un gran fiasco di vino: il Tremacoldo se ne versò una buona tazza piena rasa, la tracannò in un fiato, mise un respirone e disse: - Già, la sete buon bere, ma la sua parte però bisogna lasciarla anche al vino: un altro colpetto non farà male; cosi potrò conoscer meglio l'amico e non dargli appunto che quel che gli va. - Riempiè di nuovo la tazza e bevette questa volta adagio adagio, sorseggiando con divozione fino all'ultimo centellino. Guardava di tratto in tratto l'amico a traverso il cristallo, contro al lume, con due occhietti teneri, e sclamava: - Solenne! glorioso! proprio di quel che s'avventa al viso, che bacia e morde, che fa venir agli occhi la lagrimetta e la compunzione. - Oh adesso mo, - ripigliava, poichè v'ebbe veduto il fondo, - la faccenda s'avvia meglio: vengano i paramenti, venga il rituale e l'acqua santa...

Alcuni soldati eran corsi in sagrestia, e sconficcata la serratura d'un armadio, e trattene fuori le pianete e i piviali che vi trovarono, avean portato il tutto innanzi al giullare.

Prese questi il più ricco piviale e se lo pose indosso, poi domandò:

- E la berretta?

- Di berrette non se n'è trovate.

- Scuserà berretta da prete questa mia da giullare; c'è compenso a tutto.

Si volse ad uno di quegli uomini d'arme che l'avea seguìto fin dentro lo steccato, e mettendogli una mano su d'una spalla: - Ohe! - gli disse, - vòltati in qua, tu mi farai da chierichino; piglia questo aspersorio, tienlo pulito, sguaiataccio: che credi tu che sia una manganella? via, sta su bello, così, graziosino! oh lascia fare che alla prima vacanza ti vogliam far dare un canonicato in Santa Maria Maggiore. - Allora cominciò a dir su una lunga pappolata, trinciando in aria certe cifre stravaganti, e facendo certi segni fantastici su i due scudi e su i due bastoni che gli eran tenuti dinanzi; e accompagnava di tratto in tratto quegli atti con qualche scrollatina del capo, con un vagliarsi di tutta la persona con che veniva a scuotere e far tintinnare i sonaglini di ch'egli era tutto pieno.

Prese l'aspersorío dalle mani di quel suo chiericone posticcio, e: - qui la secchiolina dell'acqua santa, - gli disse.

- Nelle pile della chiesa non ne abbiam trovata, - rispose il soldato.

- Non c'è acqua santa? bene, valga il vin benedetto, che è di quel della cantina dell'arcivescovo. - Fe' cavar la celata a quel suo aiutante, vi versò dentro il vino avanzato nel fiasco, intinse in quello l'aspersorio, e spruzzatene le armi diede uno scappellotto al chierico accennandogli che piegasse il capo e dicesse amen, e quegli ghignando fece e disse tutto che gli veniva imposto.

- La sgocciolatura degli orciolini suol essere proveccio del cherico, - disse da ultimo il buffone al soldato; - a te, da bravo.

Questi, presa la celata a due mani, gridò: - Alla salute di chi avrà il di sopra nel duello! - e tracannossi il vino.

Vari erano stati i sentimenti della moltitudine spettatrice di quella scena stravagante. Alcuni tenevano che la benedizione, quantunque data da quel pazzerone a quella guisa, valesse, e non eran però rimasti scandolezzati più che tanto di tutte le buffonerie che vi s'eran mischiate, come potrebbe per avventura parere a noi; perocchè in tant'anni che durava l'interdetto, ne avean viste, ne avean sentite raccontare tante di stravaganti e di feroci, verso le quali questa potea passar per una baia innocente: alcuni più timorati pensavano com'era infatti, che il Tremacoldo avesse convertito quella cerimonia in una zannata per iscapolarsela dall'impegno del benedire davvero in tempo d'interdetto: altri, senza andar più in , ridevano di cuore delle scurrilità del giullare: fatto è che non ci fu chi trovasse a ridir più nulla.

I due campioni andarono a collocarsi l'uno in faccia all'altro, ciascuno ad una delle estremità dello steccato. Erano vestiti entrambi d'un paio di brache di pelle di camoscio strette alla cintura, che scendevano tirate alle carni fino al piede, ed entravano in un calzaretto rosso che le abbracciava sopra la noce; tutto il resto del corpo era nudo. Avean nel braccio sinistro una targa di legno riquadrata da due capi, leggermente curvata all'indentro, coperta di pergamena; e nella destra un grosso e nocchieruto bastone di quercia.

Ramengo da Casale mostrava all'aspetto un trentacinque anni, o presso: tozzotto, tarchiato, largo del petto e delle spalle, avea il collo toroso, le braccia corte e nerborute, i capelli rossi, ispidi e folti.

Lupo meglio proporzionato delle membra, più alto di tutto il capo, più bello, più leggero del suo avversario, era però lontano dal promettere la forza di quella statura, di quelle forme erculee.

La moltitudine era tornata in silenzio, gli ultimi in giro della piazza s'eran messi in piedi sopra scranne e panche e tavole: le finestre e i tetti all'intorno eran gremiti di gente. Tutti gli sguardi stavan fissi su i due campioni, tutti i cuori battevano, ed era manifesto su i volti della maggior parte il favore per Lupo, guadagnatogli sì dalla giustizia della causa ch'ei difendeva, sì dalla simpatia che destava a prima vista quella disposta e accomodata persona, quel bello ed animoso sembiante.

Il giovine limontino, che era vôlto colle spalle alla chiesa, alzò il guardo al palazzo dell'arcivescovo, e, visti il Conte, Ottorino e Bice, salutò con un lieve chinar del capo, poscia abbassando gli occhi, li volse un momento in volto a suo padre, che gli stava dietro le spalle; e quell'occhiata significava: - Lasciate fare a me, non abbiate paura.

La tromba diede l'ultimo segno, e i due campioni si mossero incontro con passo misurato e guardingo, coprendosi entrambi il capo collo scudo alto, e facendovi maestrevolmente volteggiare il bastone al di sopra.

Giunti nel mezzo dello steccato, e già quasi a tiro del colpo, il Ramengo allargò le gambe nervose, le protese l'una innanzi all'altra, e chinatosi alquanto di traverso sopra la destra coscia, si piantò saldamente sul terreno ad aspettare l'assalto.

Lupo cominciò a tentarlo con varie finte girandogli intorno; ma l'altro, vecchio in quell'arte, che s'era proposto di lasciar consumare la prima foga del suo avversario, giovane soro e voglioso, non faceva che volgersi intorno a , descrivendo una ruota, di cui il piede dritto segnava la circonferenza, e il sinistro era come l'asse il quale obbedisce al movimento comunicato dal raggio. Così quel valente duellatore si veniva schermendo, or col randello, or collo scudo, da tutti i colpi con un'agevolezza, con un garbo, con un'aria posata e tranquilla come se non fosse fatto suo. Ma un tratto che Lupo nel calargli una botta si scoperse un fianco, egli, côlto il momento, gli menò di un tal rovescione a mezza vita da fracassargli le costole, se il giovane non fosse stato lesto come un gatto a spiccar un salto indietro. Il bastone gli rasentò la pelle girando a vôto, con un tal rombo, che risonò in mezzo al cuore del povero Ambrogio, il quale diventò pallido come la morte.

La moltitudine che parteggiava pel Limontino ne prese sinistro augurio, e incominciò a temer forte pel suo favorito. Ma questi, infuriato pel pericolo corso, e fremente di vergogna, tornò all'assalto con maggior precipizio, tanto che il Ramengo incalzato di fronte fu costretto a dar indietro, e nel ripararsi non potè più serbare il misurato e freddo magistero di prima: troppo rapida era la tempesta dei colpi, che vincevan l'occhio non che la mano, troppo sfrenato e violento l'impeto con che il giovane gli si avventava contro, gli piombava addosso. Fu però tanto avvisato il campione del monastero, nel destreggiar continuo che faceva, da potersi giovare d'una falsa mossa del suo avversario, per iscaricargli un'altra picchiata che colpì lo scudo nel bel mezzo e glielo fracassò di pianta. Lupo sentissi intormentir la mano, e s'accorse del danno vedendo la targa rotta ripiegarglisi sul braccio: allora aperse il pugno, lasciò andar le guigge, e gittato per terra quello stromento inutile di difesa, afferrò per disperato il bastone a due mani, lo sollevò in alto al di sopra del capo, e con quanta forza glien'usciva dalle braccia, tirò giù un colpo spaventoso, misurato alla testa del suo percussore. Questi era stato pronto a coprirsi collo scudo la parte minacciata, ma la grossa e salda mazza venne sì furiosa e con tanta possa che lo scudo stesso gli ripicchiò sul cranio, ed ei ne fu tutto intronato; si sentì zufolar le orecchie, gli si appannò la vista, gli traballaron sotto le ginocchia, vacillò, barcollò un momento, alla fine diede uno stramazzone distendendosi per terra quant'era lungo, come una cosa morta. Ma, o fosse naturale istinto per ripararsi la faccia, o un movimento fatto a caso, venne a dar giù prima il gomito sinistro, e si ripiegò poi su quello, in modo che il capo del caduto trovossi appoggiato alla targa, e non toccava l'arena.

Il padre di Lupo in tutto quel tempo non avea fatto che accompagnar cogli occhi, col volto, colla persona, con tutto l'animo il figlio in ogni suo movimento. Ora ritraendo il capo nelle spalle si rannicchiava, si raggruppava tutto, si faceva piccin piccino, come per cansare un colpo che gli vedeva diretto; ora puntando de' piedi in terra, stringendo con tutto il nerbo la sbarra a cui stava appoggiato, si levava ritto sopra di , per dar più vigore ad una percossa che il figliuolo menava al suo avversario. Quando da ultimo ebbe scorto il Ramengo stramazzato sulla sabbia, levò gli occhi al cielo e si sentì vacillar la mente.

In quel punto scoppiò un grido somigliante al muggir del tuono, e il padre mezzo stordito potè inebriarsi dei vanti e delle lodi che venivano date al suo figlio.

- Viva Lupo, viva il figlio dei falconiere, vivano i Limontini, - si gridava da tutte bande.

Ma l'avvocato Garbagnate, il quale prima che si cominciasse il combattimento era disceso di bel nuovo nella sala dei signori, domandava in questo mezzo ad Ottorino: - Vi par egli che il Ramengo sia morto?

- Morto? nemmen per sogno; gli esce, è vero, il sangue dalle narici e dalle orecchie, ma non è nulla; un po' d'intronamento che tosto passa.

- Dunque, bisognerà avvertir Lupo che gli faccia mettere il capo sulla terra nuda, senza di che potranno cavar fuori qualche altra gretola, e dire che non è stata vinta la prova.

In fatti i nostri statuti non dichiaravano vincitore chi combatteva in un duello per giudizio di Dio, finchè non avesse fatta toccare all'avversario la terra col capo, o non l'avesse cacciato fuori dello steccato.

Il conte del Balzo intese quel l'avvertimento dato dal Garbagnate, e un po' perchè desiderava davvero che ai Limontini giovasse la vittoria riportata dal loro campione, un po' per quella benedetta smania di passar egli per un gran saccente, gridò a Lupo, come se fosse una sua pensata, che facesse quel tanto che il Garbagnate avea suggerito. Ma non avea appena gustate le lodi che gli vennero date per questo dalla maggior parte dei signori ivi radunati, che s'accorse di aver fatto un marrone, d'essersi lasciato ire ad un atto che poteva comprometterlo coll'abate, e se ne pentì dappoi quelle poche volte, ed ebbe a pagare quel tantino di vanità con tanti batticuori che Dio vel dica.

Lupo, prima del combattimento, era stato ammaestrato dal Garbagnate a parte a parte di quanto si richiedesse per uscirne a onore, ma non essendo avvezzo agli arzigogoli, agli uncini a cui sogliono attaccarsi gli storcileggi, aveva creduto, vedendo il Ramengo per terra lungo e disteso, che non ci potesse più esser ostacolo alcuno, e però quando sentì darsi dal Conte quel tale avvertimento: - Fargli dar del capo in terra! - diceva fra , - ma non è qui disteso come morto? che cosa vogliono di più? - Gli venne dunque in mente, per uscir d'ogni dubbio, di metter l'avversario fuori dell'arena, e chinatosi sopra di lui che non dava ancor segno di vita, l'afferrò per la cintura, sollevollo di peso, se lo caricò sulle spalle, e fece correndo il giro dello steccato; poscia fermatosi presso la sbarra, e accennato a chi stava d'intorno di ritrarsi da una banda, diede prima un po' d'andata e finalmente un grande spintone, con che gittò fuori, come si farebbe d'un sacco di grano, quel tristaccio che andò ruzzolando a dar nelle gambe dei soldati e degli spettatori.

La folla a batter le mani, a gridare: - Viva Limonta! viva Lupo! - quindi cominciò a sciogliersi, a versarsi per le stradette vicine, a farsi di mano in mano sempre più rada.

Intanto i signori si strinsero di nuovo intorno al Tremacoldo, che di prete s'era rifatto giullare; questi pregato cantò la Rondinella stata interrotta dall'arrivo del conte del Balzo, una canzone che correva a quei tempi sul lago di Como, e dicevasi composta nel castello di Rezzonico da una principessa che v'era stata confinata a morir d'inedia dalla brutale gelosia del marito.

Noi ci serbiamo a farla conoscere ai nostri lettori quando verrà occasione che il giullare la canti un'altra volta, tutt'altro che per ispasso.

Finita la canzone, il conte del Balzo uscì ìn compagnia di Bice che ne era stata tutta commossa: molti altri cavalieri e molte dame fecero altrettanto, e rimase poca brigata.

- Senti, - disse allora al Tremacoldo uno di que' pochi, - vorremmo ora un po' sentire quei versi che hai fatti di fresco quando sei dato nei ladri e che ti volevan far repulisti.

- Altro che volevan fare! - rispose il Tremacoldo, - avean già fatto vento a tutto quel poco che ho al mondo, e mi parea un bel che, che m'avessero lasciato la testa sulle spalle.

- E com'è stato dunque?

- È stato che al capo di que' galantuomini saltò il grillo di volermi sentir cantare.

- E tu l'hai servito eh?

- E di che voglia! e ho trovato su i due piedi una canzone che mi valse il fatto mio, e quattro ambrogini d'oro giunta.

- Dilla su, dilla su.

- Ch'io la canti come l'ho cantata allora?

- Ci s'intende, cantarla, sicuro.

- Eccola dunque; - e accordando la voce al suono dello strumento incominciò:

 

Se al tuo prego non sia sorda

La più bella boscaiola,

Se dai birri e dalla corda

Ti difenda San Nicola:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello

 

Senza terra e senza tetto,

Di valsente sprovveduto,

Va ramingo il poveretto

Col fardello e col liuto:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello.

 

Quante volte alla foresta

L'usignol non l'ha destato

Col fardel sotto alla testa,

Col liuto al manco lato:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello.

 

Sul fardel ponsi a sedere

Quand'ei tocca delle corde:

Desta il riso per le fiere,

Per le Corti i ricchi morde:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello.

 

Di Giudea trascorse illeso

Ogni monte ed ogni valle

Col liuto al collo appeso,

Col fardello in su le spalle:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello.

 

Pellegrin mendico e lasso,

Al Sepolcro pervenuto,

Sciolse il voto e toccò il sasso

Col fardello e col liuto:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello.

 

Se al tuo prego non sia sorda

La più bella boscaiola,

Se dai birri e dalla corda

Ti difenda San Nicola:

Il liuto ed il fardello

Non toccar del menestrello.

 

 




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