CAPITOLO IV
Sull'estremo canto della facciata del palazzo arcivescovile,
tirando verso il monte, alle cui falde è posto il paese, sporgeva in fuori un
ballatoio con voce germanica fra noi chiamato lobia, ed era il luogo dove si
tenevano i placiti, e si pronunziavano le sentenze. Tutti gli sguardi della
gente affollata alle finestre, su pei tetti, e stivata nella piazza, si volsero
lassù, dove di lì a poco fur viste comparire tre persone.
- Chi sono? - domandò Bice al padre.
- Quel là in mezzo seduto, - rispose il Conte, - è il
giudice; degli altri due che stanno in piedi, quello alla destra di lui con
quella mazza d'argento è l'avvocato del monastero, l'altro lo conosci, è il
Garbagnate, l'avvocato dei Limontini.
Squillò un'altra volta la tromba, al cui suono tutti fecer
silenzio; allora l'avvocato del monastero, rivolto al giudice, disse con voce
chiara che fu intesa fino al fondo della piazza: - Confessate voi di sedere
come messo dell'Illustre e Magnifico Messer Cressone Crivello per decidere la
lite tra il monastero di S. Ambrogio e gli uomini di Limonta? - Al che il
giudice rispose solennemente: - Lo confesso. - E quel primo seguitava: - Io
dico innanzi a voi, che gli uomini di Limonta sono servi aldi del monastero di
S. Ambrogio. - Il Garbagnate rispose: - Ed io oppongo la prescrizione
centenaria alla domanda dell'attore. - A questo il giudice prese la parola e
disse: - Le due parti hanno offerti testimoni disposti a giurare; non volendo
però dar luogo allo spergiuro, noi coll'autorità delegataci di messo
arcivescovile e regio, abbiam sentenziato che si abbia ricorso al giudizio di
Dio per mezzo del duello col bastone e lo scudo. - Voltosi quindi all'avvocato
degli attori: - Confessate, - tornò a domandargli, - d'aver presentato Ramengo
da Casale per campione del monastero di S. Ambrogio? - Al che avendo egli
risposto: - Lo confesso; - E voi, - richiese al Garbagnate, - confessate d'aver
presentato Lupo da Limonta per gli uomini del suo paese? - Lo confesso, -
rispose egli pure.
- Sta ben attenta adesso, - disse qui il conte Oldrado alla
figlia.
I due avvocati presero in mano un grosso e noderoso bastone
per ciascuno, e venendo innanzi alla sedia del giudice ne fecero il cambio fra
loro in segno che il duello era accettato. Comparvero allora sul ballatoio i
campioni, i quali furono salutati da una furia d'applausi; e compiute molte
altre formalità che sarebbe troppo lungo il descrivere, giurarono l'un dopo
l'altro di non venire a quella prova fidando in alcuna forza d'erbe, di parole
o di maleficii, ma nel solo aiuto del Signore, della Vergine, e del barone San
Giorgio il prode cavaliere. Dopo di ciò si ritrassero per discendere nello
steccato.
Intanto che essi venivan giù per le scale interne del
palazzo, erasi suscitato nella piazza un rumore, un mareggio per lo spingere di
quelli che eran più lontani e volevano pur ficcarsi innanzi, e pel riurtare dei
meglio collocati che non si volevano lasciar cacciar di posto.
- Se non ci fosse l'interdetto, - disse il Conte ad
Ottorino, - adesso si direbbe la messa che i due campioni dovrebbero ascoltar
inginocchiati sui gradini dell'altare, quindi si benedirebbero i bastoni e gli
scudi: io le so tutte queste cose, chè ho sulle dita le Consuetudini dello
Stato di Milano raccolte per ordine del podestà Brunagio Porca. Ora voglio un
po' vedere come n'escono; chè senza benedir le armi non vi può esser duello per
giudizio di Dio.
- Ho sentito dire, - rispose il giovane, - che il parroco
del paese non voglia benedirle per nessun conto.
- E ha ragione, ha mille migliaia di ragioni: i canoni
cantan chiaro; c'è scomunica.
- Basta, in quanto a codesto, se la sbrighino fra loro, -
conchiuse Ottorino; - io non me ne intendo.
Giunsero sulla piazza i due campioni in compagnia del
giudice, di due assistenti del campo e d'un trombetta; sette od otto lancieri
aprivano ad essi il passo tra la folla. Il giudice, pigliato dalle mani d'un
donzello uno scudo ed un bastone li porse al Ramengo dicendogli ad alta voce e
con tono solenne queste formali parole: - Ricevi lo scudo e il bastone
dell'impugnazione secondo la giustizia. - Poi, presentando le sue armi a Lupo,
disse: - Ricevi il bastone e lo scudo della difesa secondo la giustizia. - I
due campioni entrarono nello steccato, il giudice andò a collocarsi su d'un
palco in compagnia di due cancellieri; i testimoni e gli assistenti presero il
loro posto, e stava per incominciare il duello; quando s'intesero alcune voci
all'intorno: - Bisogna benedire le armi! bisogna benedire le armi! - Il giudice
si alzò in piedi e disse: - Il vostro curato non vuol benedirle. - Una tempesta
d'urli, di grida, di fischi si suscitò da tutte le parti. - Fa bene il curato,
- gridavano quei del paese, e dei paesi vicini. - Fargliele benedir per forza!
abbruciarlo vivo! - gridavano i soldati e tutti i favoreggiatori dell'antipapa,
che si trovavano sulla piazza e nelle case. - Sì! no! no! sì! - era una
babilonia, una casa del diavolo.
Il giudice però vide che quelli che stavano pel curato erano
troppi a petto agli altri, e capì che a fare il bell'umore la non gli tornava;
del resto non sarebbe restato dal cavarsi una voglia. E veramente non era cosa
nuova a quei dì il vedere abbrustolire o scorticare un prete perchè si
riflutasse di dir messa o di far qualche sacra funzione, per amor
dell'interdetto. Il valent'uomo, tosto che fu quetato un po' quello scompiglio,
tornò a gridare:
- Se v'ha qualcuno che voglia benedirle ci sarà un marco
d'argento.
Gli astanti si guardarono in viso l'un l'altro. - C'era pur
qui il Messere di Dervio, - e quel di Perledo, - e quel di Limonta, ma non si
vede più nessuno, - dove si son fitti? - che non v'abbia ad essere un prete fra
tanta gente? - Domanda di qua, domanda di là, le furon parole.
Finalmente venne fuori dalla folla una voce che soverchiando
quel confuso bisbiglio fu intesa per tutta la piazza: - Non c'è il Tremacoldo?
Un grido d'approvazione e d'applauso si levò in un punto da
tutte le parti. - Venga il Tremacoldo! venga il Tremacoldo!
Il lettore ha da sapere che il Tremacoldo, il giullare che avea
cantato poco prima le lodi di Bice, era propriamente un prete, era canonico di
Crescenzago. Un sacerdote fare il buffone di mestiere! Che bei tempi, è vero?
Nè crediate che fosse codesta una singolarità da farsene il segno di croce. I
canoni gridavano; il concilio di Vienna, il concilio di Bergamo tenuto dal
nostro arcivescovo Cassone della Torre nel 1311, molti altri concili, molti
decreti di papi proibivano espressamente ai sacerdoti di esercitar l'arte del
beccaio, del camparo, di tener osteria, volete di più? di tenerla nelle chiese,
di fare il cantambanco. Con tutto ciò anche in tempi ordinari vedevansi spesso
tali scandali rinnovati per tutta cristianità: ora che dovea poi essere in
tempo d'interdetto, quando i trasgressori non aveano più nè immunità, nè
privilegi di fôro ecclesiastico, nè benefici da perdere? quando, insomma, non
c'era più nessun ritegno, chi avesse perduto quello della sua coscienza?
- Venga il Tremacoldo, venga il canonico, - continuava a
gridare la torma.
Ed ecco il giullare venir fuori dal palazzo dell'arcivescovo
in mezzo a due barbute che gli sgombravano la via, ed entrar nello steccato.
Il falconiere del conte, che come padre d'uno dei campioni
avea potuto pigliar posto presso la sbarra, diede una voce al suo Lupo che
stava in piedi in mezzo dello steccato, aspettando il fine di quella scenata, e
quando questi gli si fu accostato:
- Senti, - gli disse, - guardati bene dal combattere se le
armi non son benedette, chè ben sai i sospetti che corrono sul conto di quel
birbone là, - e accennava il Ramengo, il quale colle braccia avvolte al petto
stava appoggiato alla sbarra dell'altro capo.
- Non abbiate paura, - gli rispose il figliuolo; - lasciate
che facciano, le mie armi sono già benedette; le ha benedette stamattina il
Messere, ma zitto!
Il povero Ambrogio a tale novella si sentì rimettere il
cuore in petto.
In questo mezzo il giullare voltosi al messo e agli
spettatori: - Sentite, - diceva, - io ho cantato tutta mattina e ho molta sete;
adesso m'apparecchiava ad andar giù nelle cantine dell'arcivescovo a farvi una
buona tirata da tedesco, signor sì che mi vengono a tôrre e mi menan qui;
vogliono che faccia il prete; ma io dichiaro e protesto che prima di avermi
bagnata la bocca, se n'andasse il mondo in rovina, non ne farò nulla, avete
capito?
Il messo fe' segno ad un sergente, il quale entrò nel
palazzo, e poco dopo ne uscì con un gran fiasco di vino: il Tremacoldo se ne
versò una buona tazza piena rasa, la tracannò in un fiato, mise un respirone e
disse: - Già, la sete dà buon bere, ma la sua parte però bisogna lasciarla
anche al vino: un altro colpetto non farà male; cosi potrò conoscer meglio
l'amico e non dargli appunto che quel che gli va. - Riempiè di nuovo la tazza e
bevette questa volta adagio adagio, sorseggiando con divozione fino all'ultimo
centellino. Guardava di tratto in tratto l'amico a traverso il cristallo,
contro al lume, con due occhietti teneri, e sclamava: - Solenne! glorioso!
proprio di quel che s'avventa al viso, che bacia e morde, che fa venir agli
occhi la lagrimetta e la compunzione. - Oh adesso mo, - ripigliava, poichè
v'ebbe veduto il fondo, - la faccenda s'avvia meglio: vengano i paramenti,
venga il rituale e l'acqua santa...
Alcuni soldati eran corsi in sagrestia, e sconficcata la
serratura d'un armadio, e trattene fuori le pianete e i piviali che vi
trovarono, avean portato il tutto innanzi al giullare.
Prese questi il più ricco piviale e se lo pose indosso, poi
domandò:
- E la berretta?
- Di berrette non se n'è trovate.
- Scuserà berretta da prete questa mia da giullare; c'è
compenso a tutto.
Si volse ad uno di quegli uomini d'arme che l'avea seguìto
fin dentro lo steccato, e mettendogli una mano su d'una spalla: - Ohe! - gli
disse, - vòltati in qua, tu mi farai da chierichino; piglia questo aspersorio,
tienlo pulito, sguaiataccio: che credi tu che sia una manganella? via, sta su
bello, così, graziosino! oh lascia fare che alla prima vacanza ti vogliam far
dare un canonicato in Santa Maria Maggiore. - Allora cominciò a dir su una
lunga pappolata, trinciando in aria certe cifre stravaganti, e facendo certi
segni fantastici su i due scudi e su i due bastoni che gli eran tenuti dinanzi;
e accompagnava di tratto in tratto quegli atti con qualche scrollatina del
capo, con un vagliarsi di tutta la persona con che veniva a scuotere e far
tintinnare i sonaglini di ch'egli era tutto pieno.
Prese l'aspersorío dalle mani di quel suo chiericone
posticcio, e: - Dà qui la secchiolina dell'acqua santa, - gli disse.
- Nelle pile della chiesa non ne abbiam trovata, - rispose
il soldato.
- Non c'è acqua santa? bene, valga il vin benedetto, che è
di quel della cantina dell'arcivescovo. - Fe' cavar la celata a quel suo
aiutante, vi versò dentro il vino avanzato nel fiasco, intinse in quello
l'aspersorio, e spruzzatene le armi diede uno scappellotto al chierico
accennandogli che piegasse il capo e dicesse amen, e quegli ghignando fece e
disse tutto che gli veniva imposto.
- La sgocciolatura degli orciolini suol essere proveccio del
cherico, - disse da ultimo il buffone al soldato; - a te, da bravo.
Questi, presa la celata a due mani, gridò: - Alla salute di
chi avrà il di sopra nel duello! - e tracannossi il vino.
Vari erano stati i sentimenti della moltitudine spettatrice
di quella scena stravagante. Alcuni tenevano che la benedizione, quantunque
data da quel pazzerone a quella guisa, valesse, e non eran però rimasti
scandolezzati più che tanto di tutte le buffonerie che vi s'eran mischiate,
come potrebbe per avventura parere a noi; perocchè in tant'anni che durava
l'interdetto, ne avean viste, ne avean sentite raccontare tante di stravaganti
e di feroci, verso le quali questa potea passar per una baia innocente: alcuni
più timorati pensavano com'era infatti, che il Tremacoldo avesse convertito
quella cerimonia in una zannata per iscapolarsela dall'impegno del benedire
davvero in tempo d'interdetto: altri, senza andar più in là, ridevano di cuore
delle scurrilità del giullare: fatto è che non ci fu chi trovasse a ridir più
nulla.
I due campioni andarono a collocarsi l'uno in faccia
all'altro, ciascuno ad una delle estremità dello steccato. Erano vestiti
entrambi d'un paio di brache di pelle di camoscio strette alla cintura, che
scendevano tirate alle carni fino al piede, ed entravano in un calzaretto rosso
che le abbracciava sopra la noce; tutto il resto del corpo era nudo. Avean nel
braccio sinistro una targa di legno riquadrata da due capi, leggermente curvata
all'indentro, coperta di pergamena; e nella destra un grosso e nocchieruto
bastone di quercia.
Ramengo da Casale mostrava all'aspetto un trentacinque anni,
o lì presso: tozzotto, tarchiato, largo del petto e delle spalle, avea il collo
toroso, le braccia corte e nerborute, i capelli rossi, ispidi e folti.
Lupo meglio proporzionato delle membra, più alto di tutto il
capo, più bello, più leggero del suo avversario, era però lontano dal
promettere la forza di quella statura, di quelle forme erculee.
La moltitudine era tornata in silenzio, gli ultimi in giro
della piazza s'eran messi in piedi sopra scranne e panche e tavole: le finestre
e i tetti all'intorno eran gremiti di gente. Tutti gli sguardi stavan fissi su
i due campioni, tutti i cuori battevano, ed era manifesto su i volti della
maggior parte il favore per Lupo, guadagnatogli sì dalla giustizia della causa
ch'ei difendeva, sì dalla simpatia che destava a prima vista quella disposta e
accomodata persona, quel bello ed animoso sembiante.
Il giovine limontino, che era vôlto colle spalle alla
chiesa, alzò il guardo al palazzo dell'arcivescovo, e, visti il Conte, Ottorino
e Bice, lì salutò con un lieve chinar del capo, poscia abbassando gli occhi, li
volse un momento in volto a suo padre, che gli stava dietro le spalle; e
quell'occhiata significava: - Lasciate fare a me, non abbiate paura.
La tromba diede l'ultimo segno, e i due campioni si mossero
incontro con passo misurato e guardingo, coprendosi entrambi il capo collo
scudo alto, e facendovi maestrevolmente volteggiare il bastone al di sopra.
Giunti nel mezzo dello steccato, e già quasi a tiro del
colpo, il Ramengo allargò le gambe nervose, le protese l'una innanzi all'altra,
e chinatosi alquanto di traverso sopra la destra coscia, si piantò saldamente
sul terreno ad aspettare l'assalto.
Lupo cominciò a tentarlo con varie finte girandogli intorno;
ma l'altro, vecchio in quell'arte, che s'era proposto di lasciar consumare la
prima foga del suo avversario, giovane soro e voglioso, non faceva che volgersi
intorno a sè, descrivendo una ruota, di cui il piede dritto segnava la circonferenza,
e il sinistro era come l'asse il quale obbedisce al movimento comunicato dal
raggio. Così quel valente duellatore si veniva schermendo, or col randello, or
collo scudo, da tutti i colpi con un'agevolezza, con un garbo, con un'aria
posata e tranquilla come se non fosse fatto suo. Ma un tratto che Lupo nel
calargli una botta si scoperse un fianco, egli, côlto il momento, gli menò di
un tal rovescione a mezza vita da fracassargli le costole, se il giovane non
fosse stato lesto come un gatto a spiccar un salto indietro. Il bastone gli
rasentò la pelle girando a vôto, con un tal rombo, che risonò in mezzo al cuore
del povero Ambrogio, il quale diventò pallido come la morte.
La moltitudine che parteggiava pel Limontino ne prese
sinistro augurio, e incominciò a temer forte pel suo favorito. Ma questi,
infuriato pel pericolo corso, e fremente di vergogna, tornò all'assalto con
maggior precipizio, tanto che il Ramengo incalzato di fronte fu costretto a dar
indietro, e nel ripararsi non potè più serbare il misurato e freddo magistero
di prima: troppo rapida era la tempesta dei colpi, che vincevan l'occhio non
che la mano, troppo sfrenato e violento l'impeto con che il giovane gli si
avventava contro, gli piombava addosso. Fu però tanto avvisato il campione del monastero,
nel destreggiar continuo che faceva, da potersi giovare d'una falsa mossa del
suo avversario, per iscaricargli un'altra picchiata che colpì lo scudo nel bel
mezzo e glielo fracassò di pianta. Lupo sentissi intormentir la mano, e
s'accorse del danno vedendo la targa rotta ripiegarglisi sul braccio: allora
aperse il pugno, lasciò andar le guigge, e gittato per terra quello stromento
inutile di difesa, afferrò per disperato il bastone a due mani, lo sollevò in
alto al di sopra del capo, e con quanta forza glien'usciva dalle braccia, tirò
giù un colpo spaventoso, misurato alla testa del suo percussore. Questi era
stato pronto a coprirsi collo scudo la parte minacciata, ma la grossa e salda
mazza venne sì furiosa e con tanta possa che lo scudo stesso gli ripicchiò sul
cranio, ed ei ne fu tutto intronato; si sentì zufolar le orecchie, gli si
appannò la vista, gli traballaron sotto le ginocchia, vacillò, barcollò un
momento, alla fine diede uno stramazzone distendendosi per terra quant'era
lungo, come una cosa morta. Ma, o fosse naturale istinto per ripararsi la
faccia, o un movimento fatto a caso, venne a dar giù prima il gomito sinistro,
e si ripiegò poi su quello, in modo che il capo del caduto trovossi appoggiato
alla targa, e non toccava l'arena.
Il padre di Lupo in tutto quel tempo non avea fatto che
accompagnar cogli occhi, col volto, colla persona, con tutto l'animo il figlio
in ogni suo movimento. Ora ritraendo il capo nelle spalle si rannicchiava, si
raggruppava tutto, si faceva piccin piccino, come per cansare un colpo che gli
vedeva diretto; ora puntando de' piedi in terra, stringendo con tutto il nerbo
la sbarra a cui stava appoggiato, si levava ritto sopra di sè, per dar più
vigore ad una percossa che il figliuolo menava al suo avversario. Quando da
ultimo ebbe scorto il Ramengo stramazzato sulla sabbia, levò gli occhi al cielo
e si sentì vacillar la mente.
In quel punto scoppiò un grido somigliante al muggir del
tuono, e il padre mezzo stordito potè inebriarsi dei vanti e delle lodi che
venivano date al suo figlio.
- Viva Lupo, viva il figlio dei falconiere, vivano i
Limontini, - si gridava da tutte bande.
Ma l'avvocato Garbagnate, il quale prima che si cominciasse
il combattimento era disceso di bel nuovo nella sala dei signori, domandava in
questo mezzo ad Ottorino: - Vi par egli che il Ramengo sia morto?
- Morto? nemmen per sogno; gli esce, è vero, il sangue dalle
narici e dalle orecchie, ma non è nulla; un po' d'intronamento che tosto passa.
- Dunque, bisognerà avvertir Lupo che gli faccia mettere il
capo sulla terra nuda, senza di che potranno cavar fuori qualche altra gretola,
e dire che non è stata vinta la prova.
In fatti i nostri statuti non dichiaravano vincitore chi
combatteva in un duello per giudizio di Dio, finchè non avesse fatta toccare
all'avversario la terra col capo, o non l'avesse cacciato fuori dello steccato.
Il conte del Balzo intese quel l'avvertimento dato dal
Garbagnate, e un po' perchè desiderava davvero che ai Limontini giovasse la
vittoria riportata dal loro campione, un po' per quella benedetta smania di
passar egli per un gran saccente, gridò a Lupo, come se fosse una sua pensata,
che facesse quel tanto che il Garbagnate avea suggerito. Ma non avea appena
gustate le lodi che gli vennero date per questo dalla maggior parte dei signori
ivi radunati, che s'accorse di aver fatto un marrone, d'essersi lasciato ire ad
un atto che poteva comprometterlo coll'abate, e se ne pentì dappoi quelle poche
volte, ed ebbe a pagare quel tantino di vanità con tanti batticuori che Dio vel
dica.
Lupo, prima del combattimento, era stato ammaestrato dal
Garbagnate a parte a parte di quanto si richiedesse per uscirne a onore, ma non
essendo avvezzo agli arzigogoli, agli uncini a cui sogliono attaccarsi gli
storcileggi, aveva creduto, vedendo il Ramengo per terra lungo e disteso, che
non ci potesse più esser ostacolo alcuno, e però quando sentì darsi dal Conte
quel tale avvertimento: - Fargli dar del capo in terra! - diceva fra sè, - ma
non è qui disteso come morto? che cosa vogliono di più? - Gli venne dunque in
mente, per uscir d'ogni dubbio, di metter l'avversario fuori dell'arena, e
chinatosi sopra di lui che non dava ancor segno di vita, l'afferrò per la
cintura, sollevollo di peso, se lo caricò sulle spalle, e fece correndo il giro
dello steccato; poscia fermatosi presso la sbarra, e accennato a chi stava
d'intorno di ritrarsi da una banda, diede prima un po' d'andata e finalmente un
grande spintone, con che gittò fuori, come si farebbe d'un sacco di grano, quel
tristaccio che andò ruzzolando a dar nelle gambe dei soldati e degli
spettatori.
La folla a batter le mani, a gridare: - Viva Limonta! viva
Lupo! - quindi cominciò a sciogliersi, a versarsi per le stradette vicine, a
farsi di mano in mano sempre più rada.
Intanto i signori si strinsero di nuovo intorno al
Tremacoldo, che di prete s'era rifatto giullare; questi pregato cantò la
Rondinella stata interrotta dall'arrivo del conte del Balzo, una canzone che
correva a quei tempi sul lago di Como, e dicevasi composta nel castello di
Rezzonico da una principessa che v'era stata confinata a morir d'inedia dalla
brutale gelosia del marito.
Noi ci serbiamo a farla conoscere ai nostri lettori quando
verrà occasione che il giullare la canti un'altra volta, tutt'altro che per
ispasso.
Finita la canzone, il conte del Balzo uscì ìn compagnia di
Bice che ne era stata tutta commossa: molti altri cavalieri e molte dame fecero
altrettanto, e rimase poca brigata.
- Senti, - disse allora al Tremacoldo uno di que' pochi, -
vorremmo ora un po' sentire quei versi che hai fatti di fresco quando sei dato
nei ladri e che ti volevan far repulisti.
- Altro che volevan fare! - rispose il Tremacoldo, - avean
già fatto vento a tutto quel poco che ho al mondo, e mi parea un bel che, che
m'avessero lasciato la testa sulle spalle.
- E com'è stato dunque?
- È stato che al capo di que' galantuomini saltò il grillo
di volermi sentir cantare.
- E tu l'hai servito eh?
- E di che voglia! e ho trovato lì su i due piedi una
canzone che mi valse il fatto mio, e quattro ambrogini d'oro giunta.
- Dilla su, dilla su.
- Ch'io la canti come l'ho cantata allora?
- Ci s'intende, cantarla, sicuro.
- Eccola dunque; - e accordando la voce al suono dello
strumento incominciò:
Se al tuo prego non sia sorda
La più bella boscaiola,
Se dai birri e dalla corda
Ti difenda San Nicola:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello
Senza terra e senza tetto,
Di valsente sprovveduto,
Va ramingo il poveretto
Col fardello e col liuto:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
Quante volte alla foresta
L'usignol non l'ha destato
Col fardel sotto alla testa,
Col liuto al manco lato:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
Sul fardel ponsi a sedere
Quand'ei tocca delle corde:
Desta il riso per le fiere,
Per le Corti i ricchi morde:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
Di Giudea trascorse illeso
Ogni monte ed ogni valle
Col liuto al collo appeso,
Col fardello in su le spalle:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
Pellegrin mendico e lasso,
Al Sepolcro pervenuto,
Sciolse il voto e toccò il sasso
Col fardello e col liuto:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
Se al tuo prego non sia sorda
La più bella boscaiola,
Se dai birri e dalla corda
Ti difenda San Nicola:
Il liuto ed il fardello
Non toccar del menestrello.
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