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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO XI
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CAPITOLO XI

 

Una lucerna d'argento a tre luminelli ardeva nella cameta segreta di Marco Visconti, spandendo all'intorno un soave profumo. Lodrisio, seduto su d'uno sgabello a bracciuoli senza spalliera, con un gomito appoggiato s'un tavolino e il mento nella palma, stava favellando al padrone di casa, il quale l'ascoltava con aria distratta e come travagliato da qualche suo pensiero.

- Di questo possiam viver sicuri, - diceva l'astuto consigliero; - oggi il duca di Monteforte ha toccati i venticinquemila florini d'oro che Lodovico il Bavaro gli ha assegnati sul vostro nipote Azzone, e domani piglierà la via del Tirolo colla sua banda alemanna per non lasciarsi più vedere. L'imperatore, che l'aspetta in Toscana coi danari, così asciutto come è al presente, quando sentirà un bel mattino che il suo conte se l'è fatta, per la vita mia ch'ei vuol rimaner goffo! Ma sapete che codesto è stato un colpo da maestro? sbarazzarci un tratto da costoro! e chi poteva rischiar mai nulla di nuovo finchè non ce li fossimo levati da dosso?

- Certo! - rispose Marco sbadatamente.

- Con tutto ciò, - ripigliava quell'altro, - avete ogni ragione di quanto mi dicevate stamattina, che l'impresa non è per anco matura, che bisogna lasciar tempo ai preti ed ai frati mandati dal papa di fare il loro effetto; bisogna lasciar che il Bavaro s'assottigli sempre più di gente e di danaro, come va facendo, ogni giorno. Oh appunto! sapete, cugino? gli ottocento cavalli alemanni, che s'è detto aver abbandonato le sue bandiere per ragione degli stipendi che non correvano, si son fortificati in Val di Nievole nel Castello del Ceruglio. Dite un po', al palazzo del vicario non se ne sa ancor nulla?

Marco, che in quel punto stava col capo in tutt'altra banda, avea sentite le ultime frasi presso a poco come uno che caschi dal sonno, il cui orecchio è percosso dal suono materiale delle parole, senza che la mente ne avverta il senso; e appunto in quella guisa che colui che dormicchia, se vien riscosso da quel che gli parla, così intenebrato e mezzo fuor del secolo com'è, pur pure dalle ultime voci che gli rimangono nelle orecchie arriva a raccapezzare indigrosso la ragione del discorso, così Marco dalla parola Ceruglio, di cui gli sonava, dirò così, ancora la romba morta, e dall'accento interrogativo di Lodrisio, indovinò di che si trattasse; e senza farsi scorgere, com'uomo che fosse sempre stato presente a stesso, gli rispose:

- Quelle bande del Ceruglio, eh?

- Sì, diceva, se i vostri fratelli, se il vicario n'abbiano inteso qualcosa?

- Ne sono stati ragguagliati dallo stesso Bavaro, - rispondeva Marco: - anzi, l'imperatore fa una gran calca intorno a mio nipote per aver i danari dell'investitura, coi quali spererebbe di richiamare all'obbedienza quelle truppe ribellate.

- Sta fresco! e' ne vuol maneggiar pochi se gli aspetta da qui, - rispondeva quell'altro.

- E però sai, - continuava Marco, - sai che cosa ha pensato Azzone? indovina mo! di mandar me al Ceruglio in luogo del danari.

- Come?

- Vorrebbe ch'io andassi a costituirmi statico presso le bande ribellate per tenerle quiete finch'egli non abbia messa insieme la moneta per pagarle.

- Caro quel bamboccino! - disse Lodrisio sogghignando.

- Ell'è così, - ripigliava Marco, - e giusto stamattina me n'ha toccato un tasto col dire, ch'io sarei la man del cielo in questa briga; che non c'è altri che me che lo possa cavar dallo spineto in cui si trova, perchè quegli Alemanni mi conoscono, e fideranno nella mia parola; e parlava delle mie imprese...

- Le vostre imprese eh? era da dirgli che la più bella non l'ha ancora veduta. Quant'a a questo però non è balocco lui, vorrebbe spiccarvi di qui dove gli ombra il vostro nome: lo vedrebbe un cieco.

Marco fece un sorriso, e poi disse: - Sai che cosa m'era venuto in fantasia, pensandoci su dopo?

- Dite mo.

- Di pigliarlo nella sua stessa rete: andare in Val di Nievole, com'ei vuole, guadagnarmi quelle ottocento lance, che è tutta gente che per me anderebbe nel fuoco (in questo il mio nipote non avea torto), assoldarle per conto mio proprio: tu qui a far il colpo; e quando il Bavaro accorra per rimettere in piedi la sua creatura, ecco ch'io gli piombo alle spalle colle ottocento lance del Ceruglio e cogli aiuti di Toscana, che intanto avrò messi insieme.

Lodrisio saltò in piedi esclamando: - Cugino, questa la vale oro; oh! vorremmo fargli la barba di stoppa davvero!

- Basta, ne parleremo con più agio, - disse Marco, - mi pare anche a me che se ne possa cavar qualcosa: questa sera non ho troppa voglia di starci sopra più che tanto. A domani.

- Vi dico ch'ell'è una pensata maravigliosa, - seguitava pure Lodrisio incamminandosi verso l'uscio; - e che avviamento potrà darsi alle pratiche aperte con Firenze, una volta che siate in Val di Nievole alla testa d'ottocento barbute!

- A proposito di Firenze, - disse Marco per troncare il discorso, - tu mi fai ricordare che stanotte ho da scrivere a quella Signoria. Cugino, Iddio ti dia bene.

- Addio dunque, - rispose Lodrisio, e se ne andò.

Marco, rimasto solo, seguitò un pezzo a misurare in lungo e in largo la camera a passi concitati, e colla testa bassa: di tanto in tanto crollava il capo e faceva un atto colla mano, come se avesse voluto levarsi d'attorno qualche cosa che gli desse noia: si fermò alla fine risolutamente su i due piedi, e disse ad alta voce, quasi imponesse a medesimo un comando: - Bisogna scrivere alla Signoria di Firenze. - Allora si sciolse dal fianco la spada per mettersi a suo agio, e l'appese alla parete: ma nel pigliare il ferro per l'elsa gli venne visto il favore di Bice; quel nastro ricevuto da lei ch'egli vi aveva allacciato, lo stette guardando un momento, poi ne ritrasse gli occhi pressochè sdegnoso: accostossi al tavolino, spiegò un foglio di pergamena, scoperchiò il calamaio, v'intinse la penna, e provato ch'ella rendeva grosso, si diede a racconciarne il taglio; ma volta e rivolta, fendi e riseca, il cervello gli andava gironi; quando Dio volle si risentì, come uno che s'accorgesse in quel momento di quel che sta facendo e di quello che ha in animo di fare, gittò via quel mozzicone di penna che si trovò fra mano tutto sciupato, ne pigliò una intera, la temperò bravamente, e si mise a scrivere.

- Nobilibus dominis, sapientibus etc. et Comuni Florentiæ, amicis diligendis precipue, Marcus Vicecomes cum sincera dilectione, salutem. - Fatto questo, appoggiò le spalle alla seggiola, levò la faccia, e si mise a pensare alle frasi con cui dar principio alla lettera; ma le spalle non si staccavano dall'appoggiatoio; gli occhi non si toglievano dal palco, e la lettera non andava innanzi. Alla fine gittò indietro sgarbatamente colle due mani un grande ingombro di scritture che gli stava sotto agli occhi, e levando in piedi si diè d'una palma nella fronte, e si rimise a passeggiare, dicendo fra : - Ma non lo sapeva anche prima ch'ella dovea somigliare ad Ermelinda? Non me l'avea scritto, non me lo avea detto tante volte Ottorino?... Quel capo scarico!... Anche la voce, tutta sua! e il sorriso, e il portar della persona, e il volger degli occhi... Povera colomba! a quell'aspetto, al suono di quelle sue parole mi pareva di rivivere nei miei primi anni, negli anni della speranza... Oh dove sono iti quei tempi! il soffio maligno dell'iniquità non avea ancora contaminato il mio cuore... a canto di Ermelinda tutto il creato era un sorriso, in ogni uomo io vedeva un amico... e poi?... Quanti dolori, e che sozzura!... E anch'io mi sono avvoltato in quel fango, anch'io mi sono inebbriato nel sangue!... e sì, non mi parea d'esser nato a questo... Bice! è un bel nome!... -

Qui ruppe in un sogghigno di scherno, come avrebbe potuto fare con un inferiore che avesse côlto in s'un fatto vergognoso. - E sei tu? -, proseguiva, - sei tu quel Marco, da cui tanta parte d'Italia aspetta palpitando il compimento de' suoi destini? Tu maturato da tanti anni amari, da sì forti e dure vicende?... Sulla soglia di quel vasto e buio avvenire verso cui t'inoltri baldanzoso, condurti a vaneggiare per una fanciulla?... Che direbbe Lodrisio?... quell'anima beffarda!... Eh via! scompaiano queste nebbie sciagurate, e torni a risplendere in tutta la luce la mia stella... Sì, lo voglio!

Allora ripigliò la lettera incominciata, e, non posò la penna, levò l'occhio, che non avesse riempite quattro lunghe facce d'una minuta scrittura, dopo di che s'andò a coricare colla fantasia piena di guelfi e di ghibellini, di papa e d'imperatore, di maneggi e d'armi.

Alcuni giorni dopo, Ottorino tornando da Pavia dov'era stato mandato a trattare con certi congiurati, si presentò al suo signore, risoluto d'aprirsi con lui in quell'occasione, di pregarlo ch'ei fosse contento che avesse a tôr Bice per moglie: ma al primo venirgli innanzi lo trovòburbero, sì accigliato, sì aggrondato, che gliene mancò la risoluzione. Espose il giovane tutto quello che spettava alle faccende per le quali era stato mandato, poscia, per farsi strada a quanto volea dire per conto proprio, cominciò ad entrar nel conte del Balzo, pigliandone cagione da una disputa che esso avea avuta a quei con un frate intorno alla illegalità della deposizione del pontefice Giovanni: una disputa lunga, viva, alla fine della quale, il frate piegando, erasi accordato nel sentimento del Conte; il che avea fatto un gran colpo.

Marco rise in suo segreto nell'udire le novelle d'una faccenda, ch'egli stesso avea con sottile accorgimento preparata di lunga mano; perocchè, è qui il luogo di farlo sapere ai nostri lettori, tosto che il conte del Balzo fu giunto a Milano, volendo Marco farlo valere a suo pro, s'era adoperato perchè la casa di lui fosse frequentata da notabili cavalieri e dottori, e vi si parlasse delle controversie della giornata; e per non lasciarlo solo colle armi del suo latino, che non erano forse le meglio temprate, contro chi poteva averne delle più salde, lo avea, senza farsi scorgere, provveduto di alcuni valenti campioni, uno dei quali era il nostro vecchio conoscente, l'avvocato dei Limontini; ed essi venivano bravamente in aiuto del padron di casa ogni volta che s'accorgessero che nel battersi gli crocchiava il ferro fra mano.

Pensate se il Conte gongolava, se scoppiava dalla gioia, dall'enfiamento di poter predicare tutto il a un'udienza attenta e ossequiosa, e per giunta, di far delle conversioni.

E parlando di queste conversioni, bisogna che in tutta fidanza, e a quattr'occhi, mettiamo a parte il lettore d'un altro segreto. Esse non erano per lo più il frutto della dialettica dell'oratore, ma d'un'altra dialettica più forte, più stringente, che veniva ogni colle lettere di Toscana, le quali davano la causa dell'antipapa Pietro da Corvara come spacciata del tutto, e annunziavano che rifioriva più sempre il credito del pontefice Giovanni: e un'altra specie d'argomento ad hominem, che soleva andar in volta e produrre miracoli sulle menti dei più ostinati, veniva dalle casse di Marco, sempre ben fornite di danaro e sempre aperte. Alle volte dopo una resipiscenza fatta a mano, il convertito, se era persona che godesse credito di dottrina, o di checchè altro, veniva ammesso a veglia in casa del Balzo, e , dopo d'aver battagliato per un pezzo col padrone in favore di opinioni già rinnegate, mostrava alla fine di rendersi alla forza delle ragioni contrarie, e col peso della sua autorità trascinava seco i più semplici.

Era furberia di quella fina per quei tempi rozzi e feroci più che maliziosi; ai nostri giorni, che gl'ingegni si son tanto assottigliati nell'arte maravigliosa di trappolare il prossimo, la sarebbe una scempiaggine, una gherminella da donnicciuole e da fanciulli.

Tornando ad Ottorino, egli, che avea nominato il Conte, per farsi strada a parlar della figlia, al finir delle parole che toccavano la conversione del frate, vide trapelar sul volto di Marco un raggio di quel riso interno che abbian detto di sopra, un riso di compiacenza passeggiera pel riuscirgli a bene delle sue arti: lo vide e se ne rincorò; l'altro rannuvolandosi tosto, gli disse con un'aria di scherno mal dissimulato:

- Quand'io ti faceva fra i rompicolli tuoi pari a maneggiar lance e spade, a novellar di cavalli e di tornei, e tu ti ficchi fra i cherici a tenzonar di papi e di canoni?

- Sapete pure, - rispondeva il giovane un po' confuso, ma contento nullameno di poter in qualche modo avviare il discorso, - il Conte è in Milano da poco tempo: io gli ho grazia di tante cortesie; e... vi dirò il vero.., anche colla famiglia... - Ma non andò più innanzi però che vide sul volto del suo ascoltatore una aspettazione fosca e ombrosa. - Poveretto me! -, disse in cuor suo, - non l'ho côlto in buon punto; che egli abbia qualche cosa per la fantasia? -. Rivolse dunque il discorso ad altro, senza poter nascondere l'imbarazzo d'uno che va accattando parole per non rimaner goffo nel momento in cui quelle che avea in bocca già bell'e alla via per venir fuori, è obbligato a rinfoderarle.

Marco lo lasciava dire, studiando in silenzio quella sua aria scompigliata, quell'anfanare, quell'avvolgersi che facea, e gli teneva fiso freddamente addosso un suo sguardo penetrativo con che parea volerlo passar fuor fuori; uno sguardo, incontro al quale non era occhioalto, tanto sicuro che non si abbassasse. A levare il giovane di quell'imbarazzo s'affacciò all'uscio un paggio annunziando che l'abate di Sant'Ambrogio aspettava di fuori.

- Ch'ei venga, - disse il padrone; e il giovane se ne andò, un po' indispettito da quel procedere, ma senza però farne gran caso, chè ne diede cagione all'umore fantastico del suo signore, piuttosto che ad altro, e si tenne sicuro di venire a' suoi intenti al primo momento che l'avesse trovata in buona.

Intanto egli passava gran parte del tempo al fianco della promessa sposa, parlandole dell'amor suo, delle sue prime speranze, riandando deliziosamente tutte quelle giornate ch'erano stati insieme a Limonta, tornando su tutti i casi, del naufragio, della caccia; facendosi con giocoso rigore render ragione di quell'aria di dispetto con che l'avea tanto tormentato; e tutto gli tornava in dolcezza; chè da un soave ripiglio fatto sorridendo dalla madre a Bice, o da una tronca parola, o da un modesto arrossir di questa, al toccar di tali memorie, l'innamorato garzone veniva raccogliendo la certezza d'essere amato.

Uno di quest'altri egli ricevette un invito dal suo signore d'accompagnarlo in una cavalcata per la città; e fra una brigata numerosa di cavalieri fu eletto da lui per istargli al fianco: favore che era ambìto, non si può dir quanto, da tutta la gioventù ammiratrice di quell'uomo singolare. Marco, tra via rispondendo, ora col chinar del capo, ora col movere delle mani, alle dimostrazioni della gente che s'affollava alle finestre, su i terrazzi e nelle strade per vederlo passare, faceva le piú amorevoli carezze al cugino, e parea che colla nuova benignità, coll'insolita grazia, volesse ristorarlo, e fargli scusa dell'austerità con che l'aveva trattato l'ultima volta.

- Senti, cugino, - gli disse dopo un pezzo: - io debbo passar presto in Toscana, e tu mi vi accompagnerai.

Il giovane rimase tutto sconcertato da quell'improvviso annunzio, e rispondeva titubando: - È una nuova grazia; ma... in questo momento...

- Che! hai tu forse altro che ti stia più a petto del tuo signore in questo momento?...

- No, pensate...

- Ma che cosa?

- Sapete pure che debbo essere uno dei tenitori della giostra, e che n'è andato il cartello con sotto anche il mio nome.

- Se l'intoppo è tutto qui, potrem levarlo agevolmente. Che la mia corte sia tanto al basso da non poter dar un cavaliere che entri in tuo luogo? Quando ne va l'utile del proprio signore, sai che la diffalta è scusata. Ti capisco, - ripigliava poi sorridendo, ma d'un riso forzato, - e che sì che l'indovino io il perchè ti cuoce codesta subita levata? è perchè ha da capitar presto a Milano Franchino Rusconi colla figliuola... Ma via, per questa volta il dovere non avrebbe a pregiudicare all'amore. Prima di partire tu le darai l'anello.

Ottorino, ridotto così alla stretta, vide che non era più tempo di tentennare, che bisognava andar risoluto, e schiarirla, onde cominciava: - Mi dorrebbe troppo di spiacervi, ma vi prego per quella fede con che v'ho servito sempre...

- A che conclusione vuoi riuscirmi con codesti preamboli? - disse bruscamente Marco tagliandogli le parole: - ti saresti forse mutato?...

- Veramente, - rispose il giovane, - io non ho mai data la fede alla figlia di Franchino... non furono che discorsi in aria; e credo d'essere ancora signore di me.

Intanto la cavalcata era giunta alla Brera del Guercio, e passava innanzi al palazzo del conte del Balzo. Marco ed Ottorino levarono ad un tempo gli occhi ad un verone, d'onde stavan guardando il padre e la figliuola: il lettore indovina su qual dei due cavalcatori si fermassero gli sguardi di questa, mentre il padre si volea sbracciare e versar dal parapetto facendo baciamani e inchini a Marco. Quando furono oltrepassati, il giovane volle rappiccare il discorso interrotto, ma il suo signore con aria severa gli fe' un cenno della mano comandandogli che andasse indietro insieme col drappello del corteggio che lo seguitava; dopo di che abbandonò le redini sul collo del cavallo, gli cacciò gli sproni nel fianchi spingendolo a precipizio fin dentro la corte del suo palazzo, ove giunto, smontò, ascese le scale senza far parola, e in tutto quel giorno non si lasciò più vedere.

Non incresca ora ai lettori di tornar un passo indietro per andare fino a Limonta, dove abbiamo lasciato alcuni nostri amici, addosso al quali stava per versarsi la piena; null'altro che le sessanta lance condotte dal Bellebuono per fare uno scempio in quel paese.

Intanto che i masnadieri, spiccatisi la sera dalla riviera di Lecco, veleggiavano taciti a quella volta colla rapina e colla strage in cuore; intanto che Lupo da un'altra banda correva a rompicollo su e giù pei ritorti e intricati sentieruzzi della montagna, sperando di poter giungere in tempo a far fuggire quei minacciati, o a prepararli a qualche difesa, i Limontini, ignari d'ogni cosa, s'eran ritratti come all'ordinario, nelle loro casucce, dove attendevano alle consuete faccende della sera.

La capanna del barcaiuolo, padre dell'annegato, era posta, come abbiam detto, di del paese, tirando a tramontana. Quel che si vedeva di essa guardando dal lago, non era che un po' di tettuccio di paglia con una croce di legno piantata in vetta; tutto il resto veniva nascosto da due vecchi castagni, i quali parevano chinarsi per abbracciarla. Al di dentro era una cameraccia non ammattonata, col palco ingraticolato e le muraglie tutte nere dal fumo.

Si vedeva in un canto un letticciuolo coperto d'una grossa e ruvida coltre, di quelle che si chiamavano catalane, dalla Catalogna d'onde venivano; nome che conservano ancora in alcuni paesi del lago di Como: era quello il glacitoio del povero Arrigozzo, e in quel momento vi dormiva sopra un barboncino, il suo cane fedele.

A pie' del letto, alla distanza di non più di due passi, stava un cassone massiccio, ripieno di terra, dentro il quale, secondo l'uso comune a quel tempo per tutta l'Europa (perocchè era ancor fresca l'invenzione dei camini) si faceva il fuoco, e v'era posto un laveggio a bollire sopra un treppiede; più innanzi, e proprio nel mezzo della camera, sorgeva un desco di faggio: quattro seggiolette impagliate, una mezza dozzina di remi, una rastrellieretta a piuoli appiccata al muro, sulla quale erano messi in parata alcuni piattelli, tre scodelle di terra e tre cucchiai d'ottone luccicanti come un oro; una cassa, una fiocina e un bertovello compievano il mobile di tutta la casa.

Seduta vicino al desco, sotto una lucernetta di ferro attaccata con un uncino ad uno staggio pendente dal palco, stava filando la vecchia Marta, la madre dell'annegato. La faccia piuttosto asciutta che scarna, segnata di poche rughe, il portar diritto della persona, il movere risoluto delle membra, mostravano in lei una natura valida e rubizza, che le fatiche e i disagi d'una povera vita non avevano domata. Ma quella fronte, dal cui fondo spirava un'aura serena di pace, si vedeva allora rabbuiata da un cordoglio recente e inusato: uno che l'avesse veduta per la prima volta, poteva agevolmente notare su quelle guance un pallore che non vi doveva essere abituale, un insolcarsi ancor fresco; avrebbe indovinato che quegli occhi, gonfi e sbattuti per le tante lagrime versate, non erano però usi al pianto.

Movea visibilmente le labbra, dicendo le sue divozioni, e di quel suo tacito pregare non si udiva che lo strascico delle ultime sillabe, le quali le morivano sulla bocca in un lieve fischio ch'ella accompagnava col piegar frequente e fervoroso del capo.

Di tanto in tanto volgeva gli occhi a quel letticciuolo, poi gli alzava al cielo in atto di sì desolata pietà, da far manifesto il voto segeto che mandava al Signore, perchè degnasse di richiamarla a , di riunirla al suo Arrigozzo.

Michele, colle spalle volte al desco, stava seduto presso al fuoco, curvo sopra di quello, con una mestola in mano tramenando una minestra di panico nel latte, che bolliva nel pentolino; un dolore più ruvido, più duro, che avea pure qualcosa del dispettoso e dell'iracondo, stava sul volto di lui. Egli teneva a bello studio volte le spalle alla moglie, perchè l'aspetto del dolore materno non incrudisse il suo, e continuava in quella bisogna senza levar mai il capo.

Come fu scorsa una mezz'ora, la donna sorse in piedi, si tolse la rocca dal lato, andò verso il fuoco, ne tolse giù il laveggio; quindi accostatasi alla rastrelliera, tutta infervorata com'era nelle sue orazioni, si vide dinanzi le tre scodelle; ne le trasse fuori per un moto macchinale; e ripetendo in quella preoccupazione ogni atto a che la mano correva da per la consuetudine di tanti anni, le dispose tutte e tre sul desco, mise un cucchiaio al lato di ciascuna, versò in tutte la vivanda, e chiamò: - Michele! venite a cena. - Ma in quella che il marito obbedendo alla voce di lei s'accostava alla tavola, la donna s'accorse d'aver messo un tagliere di più, pigliò affrettatamente una delle tre scodelle e la posò in terra, volendo far sembiante di averla riempita pel cagnolino; al marito però non isfuggì quell'atto sollecito e turbato; notò egli quel terzo cucchiaio che rimaneva tuttavia sulla tavola ad un posto consueto, rivolse la faccia altrove per non lasciarsi scorgere commosso, prese il suo piattello, il cucchiaio, e tornò al posto di prima.

Marta chinò il capo sul petto, stette un momento per ricomporsi, poscia chiamò per suo nome il barboncino, il quale levando appena il capo d'in fra le gambe, dimenò lievemente la coda e non si mosse; ond'ella accostatasi al letto accarezzandolo colla mano e colla voce, lo prese su, e portollo presso la vivanda. Quel cane ella non l'avea mai veduto di buon occhio; l'aveva avuto, si può dire, sempre in uggia, e per sua cagione avea garrito qualche volta il figliuolo, perocchè in quegli anni che andavanoscarsi le sapeva male di dar quel po' di sopraccarico alla grama famigliuola; ma dopo che Arrigozzo fu morto, il mancare al povero animale d'alcuna di quelle cure ch'egli era solito avergli, il dirgli una mala parola, il fargli un atto sinistro, il non volergli bene, le sarebbe parsa una cosa nera, un delitto, un sacrilegio.

Il cagnolino ringraziava a modo suo la padrona di quella insolita sollecitudine, con un mugolìo che somigliava al gemere d'una persona; da ultimo abbassò il muso sul piattello, leccò un momento, e poi balzò di nuovo sul letto, vi si acchiocciolò come prima, e fu quieto. - Anche quella povera bestia vuol morirgli sopra -, disse fra la vecchia, che gli avea sempre tenuti dietro gli occhi. Sedette, si fece il segno della croce, e si pose a mangiare. Pigliava qualche cucchiaiata di quel panico dopo d'aver tramestato un pezzo per la scodella; ma pareva che le crescesse in bocca; non poteva cacciarlo giù: se non che quando ebbe visto il marito che tornava a deporre sulla tavola la sua ciotola, ne ingoiò in fretta due o tre cucchiaiate una dopo l'altra per mostrare a lui che mangiava di voglia.

Un momento dopo s'accorse che la scodella riportata sul desco dal suo uomo era presso che ancora piena, la prese in una mano, ed accostandosi a lui che si era seduto ancora a canto al fuoco, gli toccò una spalla; e disse: - Michele, via, mangiate per l'amor di Dio; non volete tirar innanzi, vedete, se fate questa vita: in tutta la giornata siete ancora, si può dir, digiuno. - Il barcaiuolo levò rozzamente le spalle senza rispondere, ed ella seguitava con voce accorata: - Via, mangiatene almeno un poco, volete lasciarvi morir d'inedia? Siete obbligato in coscienza ad avervi cura: fatelo per me, che se m'aveste a mancar voi... - Ma uno scoppio di pianto le soffocò le parole.

- Eh! - si cacciò allora a gridare il barcaiuolo, - non la finirete più con questo vostro piangere? tutto il giorno, tutto il giorno sempre a quelle medesime! - e asciugandosi egli stesso gli occhi col dorso della mano: - Lo farete risuscitare, è vero? Per l'anima mia, che non posso più durarla!

L'infelicissima vecchia si ricacciò indietro le lagrime che le tornarono più amare e più angosciose sul cuore; si terse gli occhi col grembiale, e si rimise a filare.

Per un pezzo nessuno dei due fiatò: la donna, non intermettendo mai il suo lavoro, gettava ad ora ad ora qualche occhiata al marito, il quale seduto su d'una bassa predella, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia e il capo nelle mani, parea che piangesse.

Finalmente questi si levò, venne presso la moglie, le si mise d'intorno, e parea che volesse dir qualche cosa per rabbonirla, che la volesse con qualche amorevolezza compensar della pena che le avea dato con quel suo parlare spropositato di poco prima; ma poi non disse altro che questo: - Ebbene, Marta, farò a modo vostro, mangerò per accontentarvi voi, - e si mise di fatti a mangiare. - Sentite, Marta, - ripigliò di a poco, - domani ho da menare a Dervio il Sindaco qui del paese: coi danari del navolo gli faremo dire una messa, la faremo dire a Lugano dove non c'è l'interdetto.

- La messa gliel'ho già fatta dir io, - rispose la donna, e alzando il dito al pennecchio: - Vedete questa lana? - diceva, - è appunto del Messere di Lugano: la filatura sconta la limosina della messa.

Il barcaiuolo premette insieme le labbra, che, sporgendo in fuori per la subita commozione, gli s'eran fatte aguzze e tremanti, e rattenendo a fatica le lagrime, provò una compassione, una tenerezza, uno struggimento per la vecchia compagna de' suoi giorni, che avea qualche cosa di più santo, e, dirò ancora, di più soave del primo fervente amore che le avea portato negli anni della giovinezza.

 

 




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