Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Tommaso Grossi
Marco Visconti

IntraText CT - Lettura del testo

  • CAPITOLO XX
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CAPITOLO XX

 

Marco Visconti, dopo lung'ora, stordito alla fine e stracco dal travaglio della mente, smarriva quella torbida cura in un sonno ritroso e mal riposato. Intanto dal quartiere del guardacorpo posto nell'androne del palazzo erano stati messi a far guardia nella prima anticamera del nuovo signore tre soldati, due tedeschi ed un lucchese. Dei tedeschi, uno era di quelli venuti da Ceruglio con Marco, l'altro un veterano del presidio della città, stato già delle milizie di Castruccio. Quel del Ceruglio, il quale se la diceva più co' vinai che cogli oliandoli del paese, rotto com'era dalle scorrerie fatte la mattina nelle borgate del pian di Lucca, s'era assettato sopra uno de' muricciuoli che usavano a quel tempo nel vano delle finestre ai due canti, alti da terra a mezzo il parapetto; e, deposto il morione sull'altro muricciuolo, dormiva sodo, abbracciando, ci si passi l'espressione, colle gambe stese e lente e i piedi incrocicchiati il calcio della lancia appoggiata a sdraio, colla punta all'angolo dello schiancìo della finestra; e se non fosse stato il russare, sarebbe paruto uno di que' soldati romani del pretorio di Pilato, quali li vediam dipinti nei sepolcri la settimana santa.

L'altro tedesco stavasi ritto ritto, duro duro, dinanzi all'uscio che metteva nelle camere abitate da Marco; e l'italiano misurava a gran passi la sala, e in passando dinanzi a una finestra, di tratto in tratto fermavasi e traguardava dolorosamente oltre il bastione della città, fattasi ormai tutta quieta e silenziosa. Finalmente si arrestò fra il commilitone che faceva la guardia e quello che dormiva; si volse al primo con un piglio tra l'amaro e il malinconico, e accennando l'altro, disse:

- Senti, tedesco, come russa quel tuo compatriotto: stamattina ha fatto la parte del lupo; ora fa quella del porco: che ladri, che assassini a correr quel borgo! povero Campomaggiore! non ho mai potuto tutt'oggi soffiarmi fuor delle nari questo puzzo di bruciaticcio. Va , russa pure, ghiotto furfante, che ti riposi d'una bella impresa! La mi ribolle per Dio! se fossimo... basta, vorrei minarlo io in modo da farlo dormir per un pezzo codesto animalone di tuo compatriota.

- Sono tedesco anch'io, - rispose l'altro, - e con costui siamo paesani; ma chi ha combattuto per tanti anni al soldo di Castruccio, non avrebbe a passar per forestiero in Lucca, mi pare a me; sicchè, o Fazio, faresti meglio a chiamarmi camerata.

- Ebbene, camerata a tua posta, t'è mo' paruta una bella spedizione codesta di Campomaggiore, e ti par che abbia fatto bene a permetterla qui messer Marco?

In questa il morione che il tedesco del Ceruglio avea posato in fretta e sbadatamente sul muricciuolo, troppo in proda, venne per non so qual lieve sobbalzo del palco a sdrucciolarne giù, e cadendo andò ruzzoloni a fermarsi ai piedi dell'addormentato, che a quel rumore e a quel tocco si scosse; e sentendo agli altri due nominar Marco, per gettar anch'egli qualche parola nel loro discorso, non volendo parere di aver dormito, disse con una sua voce squarciata e rantolosa:

- Che cosa dite di Marco?

- Dicevamo, - rispose Fazio imbizzarrito, - che quella di Campomaggiore fu una ladra fazione, e che Marco doveva strozzarvi tutti a uno per uno prima di darvi licenza...

- Dar licenza! - interruppe il tedesco, - mi piacque! dar licenza, dice! Noi si dipende proprio da lui eh? Gli è come se la mano avesse a domandar licenza al guanto per poggiare un cazzotto, guarda!

- Ih, ih! tu fai superbia alla maladetta, - riprese l'italiano. - Chi nol sapesse, parresti tu il capitano, e il Visconte un bagaglione, una pagamorta.

- Chi dice che Marco Visconti sia un galuppo? - soggiunse l'altro. - Egli è un soldato che ce n'è pochi, ed ora che è morto messer Castracane, lo tengo, se volete, il primo capitano d'Italia; ma questo che ha a fare coll'aver bisogno noi della sua licenza?

- Ha a fare, - entrò a dire l'altro tedesco, - che il capitano d'una banda ha il comando della sua gente, e una compagnia che non vuol passar per soldataglia, sta alla disciplina.

- Ebbene, la nostra disciplina è così fatta, - replicò il primo, - a noi la legge non la pon chi vuole. Finchè non tocchiam le paghe, e quel di più che ci fu promesso per farci venir quaggiù, i padroni siamo noi, e Marco non è signor di Lucca che per la ragione d'esser nostro capo.

- Dunque, se messer Marco è vostro capo, - riprese l'Alamanno del presidio, - non avete a dipendere da lui?

- Come sei materiale! - seguiva l'altro, - è nostro capo, e non è nostro capo; l'abbiamo eletto noi altri così per ogni buon rispetto, per adattarci ai pregiudizi della gente, perchè se una banda va senza capitano così alla buona, senza rompere il capo a nessuno colle trombette e coi tamburi, si chiaman ladri; ma se i ladri vengono in fila pulito, con dinanzi uno che abbia una catena d'oro al collo, e uno spianatoio da lasagne in mano, se un d'essi porta un cencio infilzato in cima a un'asta, se assordano il prossimo con trombe e timballi, allora son guerrieri, si fanno loro le sberrettate, e si spalancan le porte.

- Ma che interesse poteva aver il Visconte per conformarsi a questo partito? - domandò Fazio.

- Che interesse? - replicò il tedesco in atto di maraviglia. - Oh bella! l'interesse che mette in susta tutto il mondo. Que' bei cosi gialli che fanno parer bianco il nero e nero il bianco, che fanno trottar la vecchia e star salda la giovane, che....

- Smetti, di grazia, che m'hai fradicio, - l'interruppe l'italiano: - Marco Visconti moversi per danaro! magnanimo e liberale com'egli è; un uomo di quella fatta!...

- Appunto, gli uomini di vaglia gli spalan tra il fango e la mota i quattrini! - replicava quel del Ceruglio. Ne ho visti quei pochi io a dover dimenar ben bene le mestole se volevan mettere in castello! e non voglio dire per questo che Marco sia tanto al basso: ma giusto per seguitare ad essere magnanimo e liberale ha bisogno d'averne più d'un altro, e poi v'ha delle occasioni che i gran signori han da buttare più del solito, come, per esempio, quando qualche gonnella non lascia tener loro il cervello a bottega; e allora se viene di fare un bello sbrano alla cassetta altrui, anche i magnanimi signori ci si adattano, massime poi se i padroni della cassetta vi fan l'infiorata e vi tappezzan le mura cogli arazzi.

A questo, l'italiano si sentì montar più forte la bizzarrìa; pure stette in cervello, non volendo far nascere uno scandalo, e diede una giravolta per la stanza, quasi volesse con quell'esercizio delle gambe ingannare il pizzicor delle mani, tanto che abbonacciatosi alla meglio tornò a rappiccare il discorso così:

- Chi ha i peccheri e i gotti più ben tenuti? l'oste alla Canovetta, o quello alla Gattaiuola? chè tu devi aver' alzata la mano per bene, sì grosse le dici.

- Senti, - ripigliava l'Alamanno, - io per me non conobbi mai cosa che mi toccasse il cuore più del mio borsellino; con tutto ciò, benchè non ci sia mai incappato io, li conosco subito quei poveri minchioni che si muoiono d'una dama; e se tu avessi visto messer Marco al Ceruglio, quando non c'era nulla da fare, chè quando s'ha a menar le mani, o a metter giù il capo, è un altro par di maniche; ma se l'avessi visto allora, avrebbe chiarito qualunque zufolo che deve aver lasciato a casa sua la ganza. Si facea la cavalcata? era a Ponte Petri, o alla volta di San Marcello: ed egli a guardar pensieroso verso Garfagnana e Lombardia, e avrebbe voluto sorvolare all'Appennino per poter ficcare gli occhi laggiù in quella sua tana d'Oltrepò; di sera poi a passeggiar solo per delle ore sotto il porticale, o alla finestra a far all'amore colla luna: figurati! un soldato stare a guardar la luna! o pazzo, o innamorato; e quell'esser sempre balordo? se fosse un uom di penna, pur pure... Eh via! che gli è invischiato il tordo... e poi te ne dirò un'altra...

Avrebbe seguitato ancora chi sa fin quando; ma l'italiano, cui montava troppo la stizza, gli tagliò le parole in bocca dicendo: - Odo armeggiar fuori, sarà il pennoniere Virlimbacca che stasera era cotto come una monna; - e corse di botto a porsi in guardia dinanzi all'usciale che rispondeva al ripiano in capo alla scala: allora il tedesco del presidio di Lucca tornò alla sua fazione anch'egli; e quel del Ceruglio, non avendo più chi l'ascoltasse, acconciatosi nella sua nicchia, riattaccò il sonno interrotto.

Noi gli augureremo la buona notte, per tornare a Milano, e dire come quivi intanto si volgesser le cose.

Tutti i paesi del nostro contado o soggetti immediatamente alla signoria dei Visconti, o sopra i quali essi conservavano l'alto dominio, eran tenuti, a grado dei principi, o a norma delle investiture, a prestazioni di danari, di derrate, d'opere, d'animali e d'uomini per la guerra: ma questi obblighi si adempivano più o meno, sì o no, secondo i tempi, secondo le forze e gli umori rispettivamente di chi comandava e di chi doveva obbedire; e accadeva spesso di veder un barone, un conte, un abate chiudersi nel suo castello; di veder un borgo, una terricciuola alzare i ponti levatoi alle sue porte, e ricever a colpi di balestra la gente mandata a riscuoter decime o pedaggi, a levar censi o gabelle, e angarie, e parangarie, e côlte e dazi e foderi e taglie e il diavolo.

Azzone, ne' primi tempi del suo dominio, così poco ben voluto, e così debole com'era, per quanto s'industriasse e sudasse sangue per far danaro, non potè mai metterne insieme tanto da pagare interamente all'imperatore la somma promessagli per l'investitura; ma tosto ch'egli si fu riconciliato colla Chiesa ebbe tutto quanto poteva mai chiedere.

I sacerdoti inviati dal papa scorrevano i paesi, i castelli del dominio, predicando perdono di croce a chiunque fosse concorso colla persona o coll'avere a difendere la città dal Bavaro scomunicato; e in un momento, dalle campagne in particolare, si versò in Milano vettovaglie, arme, danaro e gente; tanto che la città fu in ordine per sostenere un assedio.

Limonta, come il lettore sa, era terra feudale del monastero di Sant'Ambrogio; ora l'Abate, creatura dell'imperatore, dal quale aveva avuto l'esser suo, capite bene che non volle levargli contro i propri vassalli: in fatti egli avea mandato anche quivi, come in tutte le altre terre del Monastero, un bando fulminato: «Che nessuno, a pena di fellonia e di scomunica, fosse tanto ardito di favorire in qualsivoglia modo il partito di Azzone, ribelle al suo natural signore, e ribelle al sommo pontefice Nicolò V, e fautore dello scismatico, dell'eretico, dell'omicida, del negromante, colmo d'ogni vizio e d'ogni iniquità, Pietro Iacopo di Caorsa, il quale si fa chiamare temerariamente papa Giovanni XXII». (Non vi faccia scandalo; erano i soliti titoli che si ricambiavano a vicenda i fautori del papa e quelli dell'antipapa). I Limontini furono un po' sbigottiti alla prima di quella grande sparata, ma quando ebbero inteso che il reverendo prelato se l'era côlta, perocchè in Milano e nel contado non tirava buon'aria per lui, ne fecero una festa maravigliosa. Non era un poco ristoro per quella povera gente l'uscir dalle unghie d'un prepotentaccio che li tribolava da tanto tempo, che avea fatto loro il bel regalo di quella cara gioia del Pelagrua, che avea mandato le sessanta lance in paese a farvi quella cerimonia che sapete, che minacciava di mandarne quando che fosse dieci volte tante a rovinarlo dai fondamenti, a impiccare tutti i Limontini per la gola. Allorchè i sacerdoti, mandati dal pontefice, capitarono da quelle parti per eccitare i Limontini ad armarsi contra il Bavaro, non è da dire le pazzie che fecer loro d'intorno quel montanari, con che furia di gioia baciavan loro le mani e le vesti, e li portavano in trionfo.

Tutti quanti, uomini e donne, caricatesi le loro povere masserizie, volevan correre a Milano, e ci volle del buono a moderar quella foga, che, votando il paesello, avrebbe, con troppo aggravio d'una città che s'aspettava d'esser assediata, ridotto in essa una turba d'imbelli. Furono trascelti quelli che eran atti al maneggio dell'armi, e dato il carico al pievano nostro amico di condurli. Fra gli eletti si trovava il barcaiuolo: Marta, la sua vecchia donna, non ricusava di rimanersi soletta nella vedova casa, perchè il marito potesse correr ove lo chiamava il dover suo: anzi, così strema com'ell'era, di quel po' di cenciucci voleva darne a lui la maggior parte, chè non avesse ad esser del tutto a carico d'altri; offrendo così anch'ella della sua povertà qualche cosa al bisogno comune per acquistar l'indulgenza promessa. Ma il curato ebbe troppa compassione, troppa maraviglia di lei, e le dette licenza, anzi le impose in certo qual modo, di seguitare il marito: questo favore, accordato a lei sola fra tante altre che pur l'avean domandato, eccitò una parola di malcontento; tutti sentivano che il caso della povera vecchia era fuori delle regole comuni, che la sua disgrazia, egualmente che la sua virtù, l'avean levata al disopra degli altri collocandola in un posto privilegiato.

La piccola truppa si mise in viaggio verso Milano con quella poca grazia di Dio che avean potuto metter insieme nelle comuni strettezze, non lasciando ai rimasti indietro che quanto era propriamente necessario. Pel cammino s'abbatterono in altre brigate che partite dai paesi dei contorni, s'avviavano alla stessa volta, e tutti erano provveduti di viveri e d'armi, secondo il potere.

Giugnendo in Milano, vi trovarono il popolo in faccende a scavar ridotti e fossati, a levar muraglie, a fabbricar macchine: le strade brulicavano d'artefici, d'uomini di guerra, di preti, di frati bigi e bianchi e neri: sulle piazze e sui crocicchi eran piantate fucine posticce d'armaiuoli, e si lavorava a gara movendo mantici, volgendo il ferro colle tanaglie sulle brage sfavillanti, battendolo sulle incudini, tuffandolo stridente nell'acqua: al sonar dei martelli, al dirugginir delle lime, alle grida, ai canti degli artefici e degli spettatori, si mesceva un rumor lungo di tamburi, uno squillo di trombe e di campane che non ristavano dal martellar giorno e notte per tutte le chiese della città.

La truppa dei Limontini, entrando in Milano, avea spiegato il suo stendardo bianco con una cicogna nel mezzo, che ha un pastorale nel becco ed una mitra ai piedi; l'arme del monastero di Sant'Ambrogio. Il curato andava innanzi, e lo seguitavano a due a due i suoi popolani variamente vestiti; quale in casacca, quale in farsetto, con gabbani e tabarroni di lana, o di pelli d'orso o di pecora; con berrette e cappucci di più fogge; armati di ronche, di partigiane, di daghe e d'archi, con uno scudo di polito frassino che portavan dietro le spalle, e un largo coltello col manico d'osso nel taschino a manritta sotto la serra delle brache, che i nostri statuti, con quel latino vernacolo d'allora, chiamavano coltellum de garono, coltello da coscia.

I cittadini ricevevano tutti i nuovi arrivati con dimostrazioni giulive di festa e di fratellanza: quei di Limonta furono tosto riconosciuti allo stendardo, e vi fu chi prese cura di guidarli alla casa del conte del Balzo dove doveano essere alloggiati.

La casa del conte del Balzo, essendo collocata in vicinanza della Postierla d'Algiso, ora Ponte Beatrice, era destinata ad alloggiare le truppe che dovean difendere quella postierla, e guardare l'interriato, da noi chiamato terraggio, e la fossa, che correvano fino al luogo dove ora è il Pontaccio, e dove allora era la Porta Comacina.

I Limontini, entrando nel primo cortile della casa, lo trovarono, esso e i portici all'intorno, pieni d'armi, di munizioni e di gente: presero possesso d'un salotto a terreno, e intanto che sedendo sopra alcune panche preparavano, per dirlo alla moderna, a fare un po' di rancio insieme, venne uno staffiere a cercar del curato.

Il buon prete, introdotto alla presenza del Conte, gli rese onor di cappuccio, come si diceva; quindi, richiesto da lui, gli nominava ad uno ad uno i suoi popolani che avea condotti con .

- Giacchè la mia mala fortuna m'ha cacciato in un imbroglio di questa fatta, - diceva il Conte, - m'è un gran ristoro il trovarmi d'intorno almanco qualcuno che conosco, l'aver della buona gente che saprà difendermi in un caso, perchè, vedete, tutta quell'altra canaglia che m'han ficcato qui, misericordia!... E quando penso poi che il Bavaro può restar di sopra, chè già l'anderà a finir così, e verrà a sapere che in casa mia s'è fatto capo grosso di tanta gente, figuratevi!... figuratevi!... quasi ch'io sia andato a cercarli io costoro; per quel bel gusto che ne cavo! oh poveretto me!... Ah messere, se possiam tornare a vedere i nostri monti! - e mise un sospirone.

Il curato, senza dargli contro apertamente, cercava di rassicurarlo, di fargli animo, dicendo che l'imperatore sarebbe stato respinto, che vedea prepararsi una gran difesa; ma l'altro non faceva che impazientirsi: - E che cosa sapete voi? - gli rispondeva bruscamente, - voi non sapete nulla... Basta, quel che mi preme si è, che raccomandiate ben bene a quei di Limonta, che non mi abbandonino; chè sono, si può dire, limontino anch'io... E qui in casa, vedete, amici con tutti, ve n'è d'ogni sorta... Appunto, debbo avvisarvi che troverete fra le altre genti del monastero di Sant'Ambrogio anche quelle tali lance che hanno dato il fuoco al paese, e non vorrei che fra quelle e i nostri nascesse qualche scandalo... Se ci fosse qui Lupo; fra loro soldati se la intendon subito: egli potrebbe farvi far la pace: il male si è che adesso non so dov'ei sia.

- Lupo? - disse il curato, - l'abbiam veduto qui fuori delle porte, in su una piazzetta, che stava ammaestrando un drappello di villani a giocar di spadone; anzi ci venne dietro fino alla porta della vostra casa, ma non volle entrare, chè disse essergli stato inibito da voi.

- È vero; - rispondeva il Conte tutto impacciato, - fu una certa storia... ma adesso... se volesse venire pel fine che vi dicea... gliene darei licenza ben volentieri.

- Com'è così, - soggiungeva il pievano, - potete farne cercar fuor della postierla; v'è una chiesa grande, nuova, con la facciata rossa...

- La chiesa di San Marco, - disse il Conte, - sì, sì, lasciate fare a me.

Si mandò tosto, e poco dopo comparve Lupo tutto lieto d'esser tornato nella buona grazia del suo antico padrone, di potersi trovare in compagnia dei suoi cari parenti, dei suoi compatriotti. Com'ebbe inteso cosa si volesse da lui. - Tutto sta, - disse, - che i nostri montanari vi si acconcino, dopo tutto quello che hanno patito; quanto ai soldati me la piglio sopra di me: che volete che tengan rancore i soldati? Staremmo freschi; e poi che ragione ne hanno coloro?

Il curato scese tosto nel salotto a preparare l'animo dei suoi buoni popolani alla riconciliazione desiderata: non avea ancora finito di parlare, che entrò Lupo tenendosi a braccio il Vinciguerra, e dietro ad essi vennero innanzi tutti gli altri soldati che avean potuto portar via la pelle da Limonta, e che Lupo avea poi tornato a vedere a Chiaravalle quando gli volevano far quel giuoco che sapete.

I soldati furono i primi a gridare: - Viva Milano! viva quei di Limonta! - e i montanari, mezzo persuasi dalle ammonizioni del curato, mezzo commossi da quel grido, da quegli aspetti guerreschi che in quel punto spiravano schiettezza e pace, si levaron loro incontro, ed abbracciaronsi a vicenda persecutori e perseguitati, dimenticando le offese e le vendette fatte e patite, e mutando ogni antico rancore in una subita benevolenza.

Solo il barcaiuolo non s'era levato da sedere, e colle braccia avvolte sul petto, e le mani sotto le ascelle, conservava una faccia persuasa commossa, una faccia dura e ringhiosa.

Il Vinciguerra lo riconobbe per quel villano (così ei lo chiamava) che avea condotto il Bellebuono alla trappola, e gli battè famigliarmente sopra una spalla, dicendogli:

- Ohe! galantuomo, anche tu qui?

Michele, senza tôrsi dalla sua positura, senza risponder parola, gli piantò in volto due occhi torvi come quei d'un mastino che abbia visto il lupo.

- Ah birbone! - seguitava il soldato mezzo ridendo, - tu ce l'hai sonata con quella filastrocca di quei fiorini che il Bellebuono era andato a riporre in barca, e che dovevamo poi spartire, e che so io? ti ricordi? Tu non pensavi mai più che ci avessimo a trovare eh? le montagne stanno, ma gli uomini s'incontrano. Ora saremmo a tempo....

- Ed io son qui, - rispose Michele levando il capo, - son qui a dartene ragione a te, e a tutti quelli che tengono dalla tua.

- Oh oh! - gridò il soldato rompendosi a ridere, - i granchi voglion mordere le balene: via, senti, villano, quel ch'è stato è stato; vien qua, voglio che beviamo un tratto insieme... perchè mi fai quella faccia da dannato?

- Sentite; qui siam tutti amici, - s'interpose Lupo; - or via, abbracciate anche voi questo buon compagnone.

- Sapete quel che v'ha detto il curato, - susurrava intanto all'orecchio dell'ostinato barcaiuolo la sua buona donna, - è questo l'esempio che date agli altri? voi che siete il più vecchio? - Michele si levò in piedi, ed obbedì con aria forzata, e tornò quindi ad assettarsi al posto di prima.

- Che maladetto villano! - diceva il Vinciguerra a Lupo, scostandosi insieme con lui e mettendosi a passeggiar per la sala, - gli è proprio il caso che chi ha a dare domanda: se non fosse per amor tuo, gli vorrei insegnar io il buon costume.

Lupo parlò al Vinciguerra della disgrazia di quell'uomo che avea perduto l'unico figliuolo in un naufragio, ed era rimasto come stordito dalla gran passione; nello stesso tempo il curato, avvicinatosi a Michele, gli narrava tutto quello che il Vinciguerra avea fatto per Lupo, allorquando questi era a Chiaravalle in man sua per esser fatto morire: tali notizie, avute ad un tempo da questa e da quella parte, piegarono tosto ad un senso di benevolenza gli animi, naturalmente buoni, tanto del barcaiuolo, quanto del soldato, i quali scontrandosi di a un momento nel mezzo della sala, senza dir pure una parola, si gettarono l'un l'altro le braccia al collo, e si tennero stretti un bel pezzo con grande consolazione di tutti quanti.

Il conte del Balzo fece venire alcuni fiaschi d'un buon vin bianco; e la novella pace fu sigillata dai brindisi che si ricambiarono a gara le due brigate: il vino era di Limonta; e le lodi che esso ottenne dalle lance del Monastero avrebbero avuto la virtù di tor ogni ruggine dal cuore di quei montanari, se ve ne fosse rimasto alcun avanzo; ma non ve n'era punto.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License