Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Tommaso Grossi
Marco Visconti

IntraText CT - Lettura del testo

  • CAPITOLO XXVII
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CAPITOLO XXVII

 

- È il Tremacoldo, - disse Bice tutta animata, appena che fu cessato il canto: - ne ho riconosciuta la voce; oh! chi sa ch'ei non abbia voluto farmi accorta... S'io potessi vederlo! Se potessi veder un volto fidato! e uscir di questo dubbio!

- Ma che dubbio avete? per carità, perchè siete così turbata? fra due giorni il vostro sposo sarà qui! ve l'ha promesso, dunque...

- Zitto, - l'interruppe la padrona, mettendosi un dito sulla bocca. Stettero ancora alcun tempo in silenzio, sperando che il canto potesse ricominciare; ma non s'udì più nulla, salvo che un malauroso uggiolar di cani che parevano rispondersi dai solitarii casali sparsi a grandi distanze su per la morta pianura.

Bice, perduta alla fine ogni speranza, tornò a sedere presso al tavolino, e col capo vôlto all'ancella che chiudea le imposte, diceva continuando il discorso interrotto: - Che dubbio posso avere? domandi, perchè sono turbata? - e queste parole le porse coll'accento angoscioso di chi ha sul cuore un segreto tremendo che sta per traboccarne; ma fissando poi gli occhi in volto alla sua compagna di sventura, che in quel punto le si metteva a sedere a lato, sospirò dal profondo del petto, e si tacque.

- Come? - disse Lauretta tutta agitata, - sapete forse qualche cosa? v'ha egli qualche mistero? dite, ditemi.

- No, no, via, acquetati, chè non è nulla.

- Ch'io m'acqueti? oh come posso?... Già fin da ieri ho dovuto accorgermi che avete qualche cosa sul cuore, qualche cosa che volete tenermi nascosta. Dite dunque, dite.

- Lasciami, - ripeteva la padrona.

Ma l'ancella, pigliandole affettuosamente una mano, e stringendola fra le sue: - Cara Bice, - la supplicava con voce commossa, - dolce mia signora! non m'avete voi promesso che sarei stata a parte di tutto il bene, di tutto il male, che vi sarebbe toccato nella vita?

- Oh, la mia buona Lauretta! - proruppe Bice frenando a fatica le lagrime, - un gran sopraccarico al mio dolore è il pensiero di te, che tolta in grazia mia all'amore de' tuoi parenti, alla pace delle mura domestiche, forse sei destinata... Ma il Signore è misericordioso, egli ti salverà... credimi che di tanto lo prego nell'angoscia mortale dell'anima mia.

- Ohimè! - disse l'ancella sempre più sbigottita, - le vostre parole accennano una sciagura, non lasciate ch'io l'ignori, parlate per l'amor di Dio, cavatemi da tanto spasimo.

Bice a questo si levò in piedi, aperse un cofanetto che era sul tavolino, e: - Vedi, - diceva, - queste carte che son qui dentro?

- Sì, sono le lettere che vi viene scrivendo ogni giorno il vostro sposo.

- Lo credetti, e questa fede era l'ultimo filo da cui pendeva la mia vita: ora il filo è spezzato; le lettere non sono d'Ottorino.

- Che il Signore ci usi misericordia! - gridò Lauretta diventando pallida come la morte... - Ma chi mai? ma come avete saputo?...

- Ieri tu mi recasti questa rosa bianca che ho in petto, è vero?

- Sì, mi fu data dalla vecchia che è solita portarci il cibo.

- E m'hai detto che la mandava la castellana per me.

- È vero.

- Ora sai tu chi sia la castellana?

- Lo so, è la moglie del Pelagrua, quella che fu ricoverata da vostra madre in castello quel che vi si era rifuggita col suo bambino.

- Ebbene, ella si ricordò del benefizio nel giorno della mia miseria e non potè patirle il cuore di vedermi più a lungo aggirata da una macchinazione infernale. Tra le foglie di quella rosa era nascosto un breve che m'avvisò del tradimento: pensa in che abisso m'abbia precipitata quell'annunzio! Chi sa che cosa sia di Ottorino, chi sa s'egli è in vita? chè non posso credere ch'ei mi avesse abbandonata... Che sarà de' miei parenti?... e noi, oh Dio! sa il Cielo in che mani ci troviamo, se questo sia veramente il castello di Ottorino, o non piuttosto... chè non avvi nulla di spietato, di terribile, che la mia mente non se lo figuri!

- Oh misericordia, misericordia! oh noi poverette! - sclamava Lauretta.

- Ora ti dirò, - ripigliava la padrona, - su che si fondino principalmente i miei terrori. Tu devi sapere che quella notte ch'io fui con mio padre e colla zia alla festa in casa di Marco Visconti...

Ma a questo punto la narrazione fu interrotta da un rumore che si sentì all'uscio donde si usciva sul loggiato. Qualcuno bussava: l'ancella, riscotendosi tutta, fece l'atto di levarsi; ma Bice la prese per una mano, e: - Non ti mover di qui, - le disse sommessamente, - non voglio che tu apra a nessuno.

- Lauretta! Lauretta! - gridava al di fuori la voce conosciuta del Pelagrua, - è giunto un cavaliere, il quale reca novelle di Ottorino, e vuoi parlar tosto colla tua padrona.

- Rispondigli, - le disse questa sotto voce, - che a quest'ora non voglio veder nessuno, che lo riceverò domani.

- Domani! venga domani! adesso non può, - si pose a gridare verso l'uscio l'ancella con voce incerta e saltellante, tremando tutta quanta come se le entrasse il ribrezzo della febbre.

- Ha bisogno di parlarle subito, - seguitava dal di fuori il Pelagrua, - ha delle buone nuove da darle... Via, apri, chè buon per lei... apri dunque, hai capito?... con chi parlo io? vuoi aprire, sì o no?... e che sì, cervellina, che te la farò intender io la ragione! - Intanto non cessava dal battere, dallo scrollare, dal tempestar l'uscio colle mani e coi piedi, ma tutto invano; perocchè le due prigioniere abbracciate l'una con l'altra, timide, trepidanti come due colombe, non rispondevan parola; e l'uscio non poteva aprirsi, serrato com'era pel di dentro con un grosso chiavistello. Dopo un gran pezzo cessò il rumore, cessò la voce del Pelagrua, tornò tutto nel primo silenzio; e le due spaventate incominciavano a riavere il fiato, quando sentirono dietro le spalle come un vento che percotendo d'improvviso, fece vacillare, e quasi che spense la sottil fiammella della, lucerna. Rivoltarono ambedue ad un punto rabbrividite il viso da quella banda; ed ecco, spalancatosi un uscio a muro, che era nascosto e trasfigurato nella parete, avanzarsi due uomini nella camera.

Lauretta, coprendosi gli occhi colle palme mise uno strido acuto, e si raggruppò tutta sulla seggiola; ma Bice, levatasi dignitosamente in piedi, appoggiò una mano al tavolino, si volse al Pelagrua, ch'ella riconobbe tosto, come riconobbe anche Lodrisio; e con un atto e con una voce pieni di tranquilla e severa maestà, disse a quel primo:

- Castellano, avete scambiata la camera, a quel che veggio: qui alloggia quella che voi siete solito chiamare la sposa del vostro signore.

L'indegnazione provata dalla fanciulla al primo accorgersi di quello sconcio e villano procedimento, avea potuto soffocare anco il terrore. Ella si era sentita tutt'ad un tratto ritemprar l'animo e le membra, rifarsi tutta quanta nella antica vigoria; le guance le si erano colorate dello smarrito vermiglio, gli occhi le brillavano della viva luce spenta in essi da tanto tempo, spirava dal volto e dalla persona una vereconda baldanza, una sicurtà verginale.

I due manigoldi furono colpiti da una maraviglia, lo direro pure, da una riverenza momentanea sì, ma irresistibile: gli occhi diabolici del Pelagrua si abbassarono conquisi da uno sguardo della fanciulla; lo stesso Lodrisio parve a tutta prima sconcertato; gli si scompose sul volto un sorriso pieno d'un freddo orgoglio e crudele, gli morirono sulle labbra le parole di schernevole famigliarità, con cui si preparava ad affrontare la sua vittima; e chinando il capo a mostrare una umiliazione che in quell'istante era pure sincera, le disse balbettando:

- Perdonatemi, Madonna... non credetti... - e stava quasi per tornar indietro; ma ripigliando poi tosto la sua natura, soggiunse: - Ho sperato che avendovi a parlar di Ottorino potesse venirmi comportata tanta sicurtà.

Bice, nel cui animo, per la vista di quel nemico implacabile del suo sposo, avean preso corpo in un tratto le ombre paurose, che già prima le davano tanta guerra, - Cavaliere, - gli rispose, senza poter nascondere un fremito improvviso che le trascorse per tutte le membra, - non insultate alla miseria d'una innocente. Io tremo di starmi in vostra balìa, come certo deve starvi quegli che avete nominato, e il cui nome sulle vostre labbra non mi suona che un'insidia. Se ciò è vero, io non ho altro schermo, altra difesa che di lagrime e di querele; io donna imbelle, trafugata in quest'angolo ignoto, lontana da chi mi protegga, senz'altro testimonio dell'ingiustizia che m'è fatta, tranne questa meschina che la patisce con me, - (e accennava l'ancella, la quale a quelle parole levava gli occhi un po' rincorata, sperando che elleno avessero pure a toccar il cuore dei loro persecutori), - io mi sto nelle vostre mani, - seguitava Bice con un accento che parea ispirato, - vi sto come una canna che potete spezzare a grado vostro: ma vi ha un Signore al di sopra di noi, un Signore per cui ogni più nascosto angolo della terra è palese, innanzi al quale ogni forza è debole; un Signore che interroga le lagrime dell'afflitto, e ne chiede ragione al violento che le fa versare.

Lodrisio più stizzito che altro dal trovarsi smascherato, dal sentirsi bravato a quel modo da una fanciulla; vergognoso in faccia al Pelagrua, vergognoso in faccia a stesso di quel primo senso di peritanza e di rispetto, dal quale non s'era potuto difendere, era ridiventato tutto intero il Lodrisio di prima; e riassumendo quell'aria di procace, irrisoria dimestichezza che gli era caduta per un momento:

- Senti, sennino mio, - le disse, - ti pare che tornino bene codesti modi a una bella ragazza come sei tu? Ohibò, non ti s'avvengono: smetti, smetti, - e così dicendo fece alcuni passi verso di lei.

- Statemi lontano! - si mise a gridare la fanciulla tutta spaventata; e intanto correndo al terrazzo ne avea spalancate furiosamente le imposte, - statemi lontano!

- Eh via, pazzarella! acquetati, chè non ti voglio mangiare: vedi, non mi movo, tornerò al posto di prima se ti piace... Sei contenta così?... diavolo! non voglio che parlarti pel tuo bene...

- Pel mio bene? - disse la fanciulla, - andate, uscite di qui, questo è tutto il bene che potete farmi.

- Non posso dunque farti altro bene che questo io?

- Ah sì! potreste farmene ancora uno ben grande, potreste togliermi a questa angoscia di morte, restituirmi ai miei parenti, lasciarmi morire in pace fra le braccia della mia povera madre. Oh! fatelo, se avete viscere di misericordia, fatelo per quanto vi è caro a questo mondo, fatelo per l'amor di Dio!

Lauretta tutta spaventata stringeva la padrona per un lembo della veste, dubitando ch'ella per la disperazione non avesse a gettarsi dal terrazzino, sulla soglia del quale teneva tuttavolta un piede: e il Pelagrua non cessava dal far cenno ad entrambe colle mani e col volto che si quietassero, che si rassicurassero.

Tosto che Bice ebbe finito, Lodrisio seguitava colla sua spietata imperturbabilità:

- Male! figliuola mia, male! oh! tu la imponi tropp'alta, non è così ch'io ti voglio,.. E, innanzi a tutto, sappi ch'io non ho capello in capo che pensi a te; dunque non aver paura ch'io t'abbia a ingoiare; sta su diritta, guardami pure in faccia, chè non sono però un basilisco; e ascolta quello che ti voglio dire... Già veggo che a quest'ora ne sai più di quello ch'io credeva: meglio, così potremo venir più presto alle strette. Sappi dunque che Ottorino, quegli che doveva esser tuo sposo...

- È egli ancor vivo? - sclamò ansiosamente la fanciulla.

- Lasciami finire; vivo o non vivo, non è cosa tua codesta.

Bice tremò tutta, per il che il cavaliere soggiungeva subito:

- Sì, è vivo; sta quieta che è vivo.

- Questo posso assicurarvelo anch'io, - entrava a dire il Pelagrua, - egli è vivo e sano, e partirà presto pel viaggio divisato di Terra Santa.

- Come! senza di me?... - proruppe Bice, - no, non è vero! crudeli che siete, perchè straziarmi in tante guise? che v'ho io fatto, che v'ho io fatto di male? - e vinta dall'angoscia, abbassò il volto e diede in uno scoppio di pianto, che troncò poi subito, rialzando il capo tutta atterrita pel sospetto che alcuno intanto non se le avvicinasse. Le lagrime già avviate continuando a scorrere mute dagli occhi, si vedevan scendere in due rivi per le guance, e piovere in seno della tribolata; ma il suo volto s'era già ricomposto a quella forte e dignitosa calma che fa sublime il dolore.

In quel mezzo il Pelagrua, facendo d'occhio al compagno, premeva insieme le labbra, e si stringea nelle spalle come per dirgli: - vedete mo? avete voluto fare a vostro modo, pigliarla di fronte; ecco quel che ne avete cavato -. Ma quel tristaccio gli fece risposta con uno scrollar di capo, in un cotale atto d'amara impazienza, che tradotto in parole volgari poteva sonare: - Eh! via, baccellone, lascia fare a me -; o qualcosa di somigliante: dopo di che si rivolse alla fanciulla, e seguitava:

- Tu piangi, poveretta? da una banda ti compatisco; gli hai voluto bene per tanto tempo, e dovertelo cavar dal cuore! ma che vuoi? bisogna pure accomodarsi alla necessità... l'amore passa, vedrai che con un po' di tempo... credilo a me, passerà, passerà... E poi ti parlerò chiaro; se tu gli vuoi bene davvero, prima di tutto ti deve premere di salvarlo: dico giusto? or dunque sappi che la sua vita e la sua morte stanno in tua mano.

- Oh che dite mai? - sclamò Bice colpita da un nuovo spavento, - e posso lo prestar fede alle vostre parole? e non si asconde sotto di esse un qualche inganno? abbiate pietà di me! abbiate pietà di questa derelitta tormentata! Ditemi il vero; vedete (e così dicendo congiungeva le palme innanzi al petto), io ve ne prego con quell'angoscia con cui negli ultimi istanti della vita supplicherete anche voi il supremo Giudice di essa perchè vi faccia degno del suo perdono; esaudite questa mia preghiera, come vorrete che Egli esaudisca la vostra in quel tremendo istante; ditemi, per la salute eterna dell'anima vostra, o per la sua eterna dannazione, ditemi s'egli è reale codesto pericolo di Ottorino, e quel ch'io possa fare per salvarlo.

Il briccone, che non era più briccone di quel che consentisse il suo secolo, e che credeva però in Dio e in una vita futura, a suo modo, già s'intende, ma vi credeva, non potè a manco di sentirsi un po' scosso da quelle parole, porte con una voce e con un atto, che parea tener qualcosa dell'ispirato. Dopo qualche momento ch'egli impiegò nell'apostrofare interiormente stesso per farsi vergogna e coraggio, rimesso un po' della prima baldanza, lasciato da banda il tu, che gli parve allora troppo sfacciato, e non ci era verso che gli si volesse accomodar più nella bocca, rispose con visibile esitazione:

- Il pericolo è vero... sì, posso assicurarvelo sull'anima mia... ed è pur vero che voi potete salvarlo.

- E dov'è egli? e che pericolo è il suo? e che posso io fare per lui?

- Oh! volete saperne troppe in una volta: v'ha delle cose, figlia mia, che non si possono dire, e che non istà bene a domandarle: quello che posso dirvi per ora è questo, che se volete metter senno, Ottorino non morrà, e ve lo prometto io da cavaliere cristiano come sono; e questa mano che mi pongo al petto per darvene la fede, possa io levarnela lebbrosa, se ho l'animo vôlto ad ingannarvi: non morrà, potrà andarsene in Palestina, come diceva qui il castellano, anzi dovete esser voi medesima quella che lo pieghi a ciò, che ormai è tutto quel di meglio che gli resti a fare.

- E che volete da me? ditemi dunque, dite come posso salvarlo! se il mio sangue, se la mia vita...

- No, poveretta, no... Via, calmatevi. Non mi guardate con quegli occhi spaventati, venite innanzi, sedetevi, state a vostro agio; non abbiate sospetto di me, di nessuno, chè tutti vi portan rispetto come a una regina; e voi qui siete la padrona: questa è casa vostra.

- Sì? davvero? dunque è proprio il forte di Castelletto questo in cui mi trovo? sono veramente nella casa del mio sposo?

- E pur dàlle con codesto sposo! Ottorino non è vostro sposo.

Bice levò le mani al cielo, e rimase come istupidita, senza profferire un accento, a guardare in volto quel suo tiranno il quale continuava spietatamente:

- Quel piastriccio che avete fatto voi altri laggiù a Milano, non è cosa che tenga: voi siete ancora zittella, e potete dar la mano a chi più v'è in grado. E volete sapere di chi è questo castello in cui siamo? È d'un gran barone, d'un signore potente e formidabile, innanzi al quale si piegano riverenti i principi stessi; ed egli non si piega a nessuno fuorchè alla bellezza del vostro volto.

Lauretta tutta sgomentita, vedendo che la padrona non parlava, domandò essa con voce fioca e tremante: - Oh Dio! sarebbe dunque vero che noi fossimo?...

- A Rosate, - soggiunse tosto quell'altro, - nel castello di Marco Visconti.

Al suono di quelle parole, la sposa d'Ottorino cadde come morta in braccio all'ancella, la quale piangendo a lagrime dirotte trascinò la svenuta fino al letto; ed alzatala di peso, ve l'adagiò sopra, respingendo col furore che le veniva dalla disperazione le mani scellerate dei due che volevano prestarle aiuto in quel pietoso ufficio.

Intanto che queste cose succedevano a Rosate, Lupo, stanco dall'aver viaggiato tutto il giorno, smontava ad un alberghetto, e messo il cavallo nella stalla, dopo d'averlo governato di sua mano, veniva alla cucina a farvi preparare un po' di cena anche per . In un momento fu ammannita; il viaggiatore si pose al desco, si ristorò con quel poco che dava il luogo, quindi chiedeva all'oste che lo accomodasse di un lettuccio, come ch'ei fosse, per gettarvisi a dormire.

- Ve ne darò uno in una cameretta qui presso, - disse il taverniere, e, presa una lucerna, s'avanzava verso il luogo indicato precedendo il suo ospite; ma non erano ancora usciti dalla cucina, che si videro entrarvi due uomini armati, uno dei quali, dopo aver gettato gli occhi addosso a Lupo, battè una mano sulla spalla dell'oste con cui parea in gran dimestichezza, e gli disse:

- Jacopotto, siam due uomini e due cavalli: non partiremo che a giorno fatto.

L'oste, deponendo la lucerna, si volse a Lupo, e gli disse - Vengo subito; - quindi, pigliato per un braccio il sopravvenuto, lo condusse al camino; s'inchinò a scoperchiare una pentola entro cui bolliva un pezzo di castrato, e: - Guarda, - disse, - che fior di roba profumata! - L'uomo, cui eran dirette quelle parole, chinossi anch'egli come per osservar meglio; e avvicinatosi così all'albergatore, gli sussurrò qualcosa all'orecchio; dopo di che quest'ultimo disse a voce spiegata: - Adesso verrai a veder la stalla, c'è già un cavallo di quel forestiere ch'è qui: a volervene far stare tre saranno un po' disacconci; ma li accomoderemo meglio che si può.

Ciò detto, uscirono ambedue, e poco stante uscì anche l'altro uomo d'armi che non aveva fino a quel punto aperto mai bocca. Lupo, che s'era avvisto di qualche soppiatteria, senza far sembiante di nulla, con un fare sbadato, gittando piede innanzi a piede, venne fin sull'uscio che rispondeva in un cortiletto d'onde si passava poi alla stalla; e vide l'ostiere coi due amici, stretti insieme in un canto della corte in gran colloquio. Al comparir di lui si dispersero un di qua, un di , ed usciron poi ad uno per volta dalla porta per seguitare i loro parlamenti di fuori sulla via, com'ei fece ragione.

- Che armeggi hanno costoro? -, disse fra il Limontino, un po' insospettito: - che vi fosse sotto qualche trama? a buon conto starò all'erta -. Diede un'occhiata alla sua spada, al suo pugnale, e ripeteva: - a buon conto starò all'erta. -

Di a poco l'oste tornò a lui, e sotto colore di volerlo accomodar meglio, gli offerse una camera, che non era quella profferitagli da prima: chè sarebbe stato più lontan dai rumori, chè avrebbe avuto miglior letto, e cent'altre belle cose. Lupo non credette nulla di quella sua gran premura e si confermò sempre più nel sospetto che se gli volesse fare un qualche tiro: finzione per finzione, rizzò anch'egli il pretesto, che, essendo arrivati due altri cavalli, non poteva arrischiarsi di star lontano dal suo, un cavallo bizzarro che Dio ne guardi: disse di voler dormire nella stalla, vi fu modo da poternelo svolgere, per quanto l'ostiere dicesse.

Andò dunque alla stalla, pose una mano sulla groppa del suo baio, che voltandosi indietro lo salutò alla sua maniera con un sordo e breve nitrito, e disse tra : - Il meglio sarebbe andarsene addirittura -. Ma pensò poi: - La bestia è stanca, e ne ha ragione, poveretta! cinquanta miglia tutte d'un fiato! domani altrettante! e dopo! -. Intanto veniva accarezzando e palpando il buon corridore che s'era rimesso a mangiar di voglia. - E poi, dove andrei a dar del capo adesso, con queste strade, di questi tempi? Lasceremo che venga l'alba: io intanto starò desto; le notti non sono lunghe; che non sia buono di vegliare per quattro o cinque ore? me ne rifarò poi domani dormendo a cavallo; un po' per uno. - Così stabilito, gettossi su d'un mucchio di paglia col proponimento ben fermo di non addormentarsi.

E cominciò a mulinare, a mulinare col cervello, pensando a quella gran sollecitudine nata così all'improvviso nell'ostiere di acconciarlo in una camera più agiata; giusto lui che gli era sconosciuto, e non avea però l'aria d'un barone; a quel non volergli dare una lanterna da tener accesa la notte, sotto pretesto che si portava rischio di fuoco: e una cosa e l'altra; e finiva col confermarsi sempre più che la faccenda non voleva esser netta.

Se non che a forza di tener sempre la mente su quelle tre facce sinistre, di rappresentarsele in tutte le attitudini più minute e sfuggevoli, vi fu un momento che si ricordò d'un certo sogghigno fatto da uno dei due uomini d'arme, un sogghigno che Lupo sentiva confusamente non essergli sconosciuto. Frugando più addentro nel cervello, ve ne trovava riposta in un canto una immagine fiacca e scolorata che dovea essere una impressione lasciatavi altra volta da qualcosa di somigliante: pensa, ripensa; di tratto in tratto parea che gli si levasse istantaneamente un velo, e che ricadesse poi tosto; e dietro quel velo vedea balenare sempre più viva quell'immagine; e insiememente provava un non so che di segreto, come un senso interno che l'avvertiva ch'essa non c'era entrata da lungo tempo: quanto più gli riusciva, di poterle tener addosso l'occhio, di poterla guardar in faccia, la ravvisava per una conoscenza di fresca data.

Dunque indietro a cercare le persone che avea viste dal momento della sua fuga fino a quel punto: rifà il viaggio che avea fatto a cavallo da Rescaldina a Milano: nota, esamina colla mente tutti quelli che si ricorda d'avere scontrati per via: niente che porti sentore di quel maladetto sogghigno... E dopo? ... I suoi di casa, il Conte e la Contessa... I famigli: niente!... E dopo ancora?... montato a cavallo, uscito dalla porta... - Oh eccolo! -, sclamò allora nel suo interno, - l'ho trovato! -, e l'avea trovato davvero quel ghigno traditore; l'avea trovato sul volto d'uno degli scudieri di Lodrisio, in cui si ricordò d'essersi abbattuto appunto la mattina di quel nell'uscire dalla casa del conte del Balzo. - Tu ti sei travisato tutto, manigoldaccio, ma ti conosco! Oh! è lui, è lui, a giocarci gli occhi del capo. -

Allora pensò che la rete poteva attenersi a fili più lontani, annodarsi forse a quella prima a cui egli era già stato preso insieme col suo signore; e ai ceffì dei tre birboni che gli ballavano da tanto tempo nella fantasia, se ne aggiunse un quarto; il ceffo infido d'un briccone più grosso e più matricolato, quello di Lodrisio.

D'una in un'altra immaginazione, gli venne un tratto questo pensiero: - Come mai un soggettaccio di quella tempra può egli esser così amico di Marco? - Ora lo credereste? che quel nome gittatosi per tal modo a traverso il cervello di Lupo, ebbe virtù di dare la svolta a poco a poco alle idee che vi correvan per entro a tanta furia, sicchè cominciarono a levarsi, a dar luogo?

Egli è vero che di tanto in tanto sentiva come una scossa al cuore, come una chiamata interna che gli diceva: - Bada a te! -. Allora ei si faceva forza di tornar sulle prime immagini, e vi riusciva per qualche tempo, ma stracco, morto di sonno com'era, pel cavalcare di tutta la giornata, dopo tante giornate e tante notti passate con quel travaglio che sapete; sfinito dalla fatica stessa che durava nel rivolgere e tener affissata la mente a quelle idee, ch'essa, come bisognosa di riposo, si lasciava scappare da tutte le bande; un po' alla volta, un po' alla volta, il poveretto cominciò a velar l'occhio, a smarrirsi in un lieve sopore, a non saper più dove si fosse. Che se tornava a risentirsi qualche istante, era un risentirsi sempre più breve e più languido, e quel senso di sollecitudine che gli durava pur sempre indistinto nell'animo, si faceva ognor più ottuso, s'andava dileguando, e le immagini a confondersi, a vacillare, a sfumar via. Infine, per non ve la far più lunga, il valentuomo s'addormentò.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License