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Tommaso Grossi
Marco Visconti

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  • CAPITOLO XXVIII
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CAPITOLO XXVIII

 

Ed ecco che sognando parevagli d'esser a Lucca, e di trovarsi in una ricca sala al cospetto di Marco Visconti: ma quel Marco avea una faccia balorda, due occhi come invetrati: Lupo gli parlava, ed ei non rispondea; gli porgeva la lettera d'Ermelinda, ed egli non levava la mano a pigliarla: il sognante si figurava di voler prendergliela egli quella mano per baciarla; non si vedeva che Marco la tirasse indietro, ma la mano non trovavasi al posto dove l'occhio l'aveva affissata, ma non c'era verso di poterla stringere: che cos'è questa storia?... Gli era avviso di guardarsi d'intorno se mai vedesse alcuno cui dimandarne. Ma che è? che non è? i fregi, le dorature, i paramenti della sala erano spariti; le muraglie, in men di che rimaste tutte brulle, s'andavan facendo sempre più oscure, ruvide ed anguste; il palco messo a oro s'abbassava in una vôlta bruna e pesante; il pavimento era diventato un imbratto, uno schifoso pattume; v'era stesa un po' di paglia in un canto, e sulla paglia stava sdraiato Marco Visconti... Marco? no, che non era Marco... Dal vedere al non vedere ei s'era trasformato in Ottorino: il quale con una voce fioca e paurosa gli diceva: - Sei tu, Lupo?

- Son io.

- Ma non andavi tu a Lucca?

- Sì.

- E perchè non seguitar innanzi per la tua via? e come sei capitato qua entro? Ah fuggi! fuggi! guai a te! guai a te!

Qui l'orecchio del dormente sentì un susurro confuso e quasi fantastico di alcune voci; i suoi occhi quantunque chiusi, furono percossi istantaneamente da un barlume; e, come accade nei sogni, che le impressioni esterne si riportano alle immagini già avviate nella fantasia, e s'accordano con quelle, gli parve che Ottorino tutto spaventato da quelle voci, da quel chiarore, seguitasse dicendogli: - Ecco, sono qui, vengono per ammazzarti, fuggi! salvati! - Egli allora voleva correre, voleva gridare, voleva cavarsi da lato il pugnale; ma per quanti sforzi facesse non poteva mai staccar l'un piede dall'altro: la voce parea impedita, il braccio parea morto.

Avea durato pochi momenti in questo affanno, quando nel destarsi sente tutto ad un tratto stringersi furiosamente alla gola, e cadersi qualche cosa di violento e di pesante sul corpo: si riscuote urlando, spalanca gli occhi: non era già questa un'immaginazione. I due manigoldi arrivati la sera gli erano addosso coi ginocchi sul petto: e l'uno lo stringea per le canne, e l'altro gli menava disperatamente al petto con un pugnale, mentre l'oste dietro ad essi con una lucerna in mano, s'affannava a gridare: - Tienlo saldo! guarda che non si levi! e tu, Passerino, dàgli forte! dàgli al cuore!

- Ha il giaco sotto al farsetto, e la punta non lavora, - rispondeva colui.

- A me, a me, - disse allora l'ostiere, - tenetelo fermo, tenetelo tutt'e due; - e, deposta in furia la lucerna per terra, corse a dar di piglio alla stanga che era dietro l'uscio.

Il mal giunto, che si dibatteva sotto quelle braccia nerborute, fece un ultimo sforzo, tanto che gli riuscì di rivoltarsi sossopra, e d'andar ruzzoloni egli e i due furfanti, tutti in un fascio, sotto le gambe del cavallo vicino. La bestia spaventata da quel fracasso, da quel garbuglio che si sentì fra' piedi, considerate se inferocì: si scagliava, sparava calci, s'impennava, quanto acconsentiva la cavezza; e ricadendo scalpitava or questo or quello dei tre avviticchiati, i quali ebber di grazia a lasciar la presa, a svinghiarsi, per iscappar di sotto a quella tempesta. Il Limontino fu lesto a saltar in piedi per il primo: in un batter d'occhio ebbe sguainata la spada, e vistosi dinanzi l'oste che un po' era stato tenuto in rispetto dalla ruina che menavano i cavalli, un po' non s'era potuto risolvere a dar giù in quel viluppo di braccia, di capi, di gambe, che tanto potevan essere dell'avversario, quanto del compagno, gli si avventò addosso, e gli cacciò con tanta furia la punta nel ventre, che sentì l'urtar dell'elsa contro la persona.

- Tu va all'inferno! - disse Lupo vedendolo cader per terra che versava il sangue insieme e le budella: e si rivolse furioso verso uno degli altri due masnadieri, che spacciatosi in quel punto dalle gambe del cavallo gli veniva alla vita, con un maladetto riso di scherno e di rabbia sulla bocca; un maladetto riso, che rendeva aria a quello che gli avea dato tanto tempo da fantasticare la sera, prima d'addormentarsi: - Ah sei tu? - gli gridò il Limontino, - s'assassina a questo modo i cristiani? - e così dicendo gli menò d'un tal manrovescio, che primamente troncò al manigoldo la destra alzata col pugnale, con cui avea tentato di riparare il colpo, poscia gli portò via netta netta una guancia. Il sanguinoso mostro rimasto per un istante in piedi strinse insieme con orribile ringhio le due bianche fila dei denti nudati; barcollò annaspando colla mano che gli era rimasta e col moncherino, come una cosa balorda; poi cadendo, di traverso addosso alla muraglia la sozzò tutta quanta di sangue.

Restava il terzo: ma il terzo, vista la mala parata, era stato lesto a scapolarsela carpon carpone fra un cavallo e l'altro; e già, balzato in piedi, girava bravamente dietro le groppe dell'ultimo per battersela fuor dell'uscio; quando la bestia, insatanassata per tutto quel parapiglia, gli mandò dietro un par di calci, che mal per lui se n'era côlto. Ma che direte voi? chè da qui appunto venne la sua salute: il cavallo nel distendersi per trarre, strappò la cavezza e scappò fuori della stalla; e colui che se lo vide passar vicino, aggrappandoglisi alla criniera spiccò un salto, e su; e via a precipizio a traverso i campi, come se il diavolo lo portasse. Lupo, dopo essergli corso dietro per un bel pezzo, visto ch'ell'era opera perduta, tornò verso l'osteria; e stava avvisato che intanto non fosse accorso gente, e gli si preparasse un qualche mal giuoco. Ma l'osteria era solinga e fuor di mano, non v'abitava che l'oste e la sua donna, la quale era stata quella notte mandata da lui a dormir lontano, presso una certa comare, per condurre più coperto quell'assassinamento; e però con tutto il fracasso che vi s'era fatto non era comparsa anima nata.

Lupo entrò nel cortiletto, venne alla stalla, e non vi trovò che i due che v'avea lasciati: lo scudiero di Lodrisio era morto del tutto, ma l'ostiere, staccandosi dal ventre una mano tutta rossa e sgocciolante, la stese verso di lui, e diceva:

- Fammi una carità... ho una sete, un'arsione... Qui fuori troverai una tinozza piena d'acqua; portamene una sorsata chè non ne posso più.

Lupo uscì, e rientrò tosto coll'acqua. Il ferito la tracannò con un'avidità rabbiosa, e poi tornò a dire:

- Chi me l'avesse detto stanotte, quando andava a cavarla alla fontana, e l'apparecchiava per lavar via il sangue come t'avessimo ammazzato!

Il nostro Limontino sellò il cavallo e vi montò sopra: allora l'oste, vedendolo che se n'andava, sforzossi di fargli intendere ancora queste parole:

- Un'altra carità, se sei cristiano!... non mi lasciar morire in peccato mortale... Qui in fondo della strada... v'è un campanile... fa di mandarmi il prete.

Lupo l'assicurò che l'avrebbe mandato. Infatti, passando presso la casa del curato, bussò alla porta, e a lui che si fece a una finestrella, gridù. - L'oste vi domanda... spicciatevi e portate con voi l'olio santo.

- Come? che è? che cos'è stato? galantuomo, buon uomo! - gli gridava dietro il pievano, ma il giovane tirò via di buon trotto senza dargli retta.

Innanzi, innanzi, tutto solo: di tanto in tanto si stirava, distendeva le membra indolenzite e peste; e sentendo qua e per la persona il bruciore di molte trafitture, poco più che a fior di pelle, che v'avea fatte la prima e più sottil punta dello stiletto, penetrando fra gli anelli della maglia: - Fortuna -, diceva,  -che mi era messo il mio bravo giaco. - Da a un pezzo gli dava in fuori una doglia in una spalla, doveva essere una qualche zampata toccatagli quando si rivoltava sotto i piè del cavallo facendo alle braccia coi due amici. Finalmente s'accorse d'un scalfitto che avea in una tempia per un colpo di pugnale menatogli al capo, e venuto vano in quel continuo arrabattarsi che avea fatto con quelle care gioie: vi mise sopra una mano, e tornava a dir fra : - Birbone di quel Lodrisio! mandare a far scannare un cristiano come si farebbe d'una pecora! e uno che non gli ha mai fatto un male al mondo, dico io... Già vuol essere ancora quella maladetta rabbia contro del mio padrone, quella invidiaccia che lo scanna!... E che sì, che anche quell'altro imbroglio del rapimento di Bice è sua orditura?... E io, a vedere che doveva pure accorgermi di qualcosa ier mattina quando l'ho scontrato... squadrarmi da capo a piedi, e poi stringer l'occhio allo scudiere... E quel ghigno? trovarlo propriamente sulla bocca di quella forca, nel momento che mi veniva incontro come un can mastino per farmi la pelle... Ma va , che ci hai avuto spasso, te lo so dir io... Fu un bel colpo, per diana! ziffe! e giù per terra come uno spicchio di mellone. To' su, porta via, e impara a stuzzicare il can che giace. -

Intanto si faceva giorno; cominciava a comparire sulla strada qualche passeggiere, e si vedevano i villani coi loro arnesi in collo avviarsi alla segatura. Lupo, confortato dall'apparir della luce, dall'aspetto dei campi, dalla vista delle persone e degli animali che vi si movean per entro, dimenticò ben presto il pericolo corso, le busse date e toccate: e seguitava innanzi tutto rifatto, col pensiero vôlto unicamente a Marco e alla strada che gli rimaneva da correre prima di trovarlo; allorquando sentì un gran parapiglia in una vigna sulla sua mancina. - Dàlli, dàlli! ferma, ferma! - e vide ad un punto una frotta di contadini seguitare, correndo alla rinfusa, un uomo a cavallo che andava a precipizio a traverso le campagne. Sapete chi era? era quel galantuomo dell'osteria, quel terzo scampato per miracolo dalle mani del nostro Limontino. Il corridore che avea sotto, uno stallone ombroso e senza freno, che, se vi ricorda, s'era strappata anche la cavezza, faceva il diavolo e peggio, spiccava salti spaventosi, la dava a traverso i filari, scavezzando pali, disertando viti; e il gridare e l'accorrere, e lo strepitar dei villani, lo rendevan sempre più furibondo e imperversato. Tutto polveroso e spumante, imbrattato di sangue i larghi fianchi e il petto, anelando e nitrendo; colle orecchie abbassate, col collo erto, e la coda levata, sbuffava ferocemente e spargeva sassi e zolle sulla precipitosa sua carriera. L'uomo che gli era addosso vi stava su tutto rattrappito tenendosi alle criniere e gridando: - Aiuto! - Lupo lo riconobbe tosto, e si fermò per vedere dove andasse a finire quella faccenda. Il cavallo scorrazzò ancora un bel pezzo in qua e , secondo che veniva cacciato dalla gente che lo inseguiva; alla fine, fatto cieco dallo spavento, andò a dar di cozzo contra il tronco d'un grosso albero, e stramazzò per terra esso e il cavaliere, tutti e due in un fascio. L'animale fiaccossi il collo, e il cristiano non si sconciò pure un pelo; saltò in piedi lesto come un gatto; ma intanto che stava scotendosi da dosso la terra di che s'era tutto imbrattato, leva un tratto gli occhi, e si vede dietro le spalle quel demonio che avea spacciati in due colpi i suoi due compagni, Lupo insomma; il quale, cacciato il cavallo pei campi, era accorso anch'egli sul luogo di quel conquasso. Misericordia! l'uomo si diè morto: visto che dello scappare così a piedi da uno a cavallo, era niente, gli si gittò in ginocchioni dinanzi pregandolo che gli donasse la vita.

- Chi sei, manigoldo? - gli domandò Lupo.

- Messere, barone, - rispondeva il mal giunto tremando per tutte le membra; - sono un povero diavolo: quello che ho fatto, non l'ho fatto a perfidia, vedete; è stato per dare un po' di pane a cinque miei poveri bambini, cinque angioletti che sono come le dita; è stato Passerino che m'ha condotto a questa ribalderia.

- Ma per che ragione colui l'avea con me?

- Non ne so nulla.

- Come, non ne sai nulla?

- No, non ne so nulla; potete darmi la morte, ch'io non ne so nulla: è venuto stanotte alla mia casa, e m'ha detto: vieni che c'è da guadagnare un fiorin d'oro; ma del rimanente io non so nulla; e fra le altre cose non so nemmanco chi vi siate neppur voi.

- Bravo! e venivi così piacevole e consolato a scannare uno che non sapevi chi si fosse?

- Misericordia! avete ragione; potete far di me quel che volete; ma vi raccomando i miei bambini... Credetemi che è stato per la fame: in questi anniscarsi, il vedermeli morir innanzi agli occhi d'inedia...

Lupo si trasse di tasca un fiorin d'oro e gittandoglielo per terra, gli disse: - Non per te, briccone, ma pei tuoi figliuolini; e bada che se t'avessi agguantato mezz'ora fa, coteste ragioni non t'avrebber salvata la pelle: or va, e ringrazia il tuo santo protettore. - Ciò detto, tôrse la briglia e tornò al suo cammino, gli accadde più altro in quel viaggio che meriti d'esser narrato.

Giunto a Lucca, vide un nugol di gente in volta per le strade a far chiasso, e indovinò che quello voleva essere un sollevamento di popolo. Quanto più andava innanzi, e più sempre cresceva la folla, lo scompiglio e lo schiamazzo; dappertutto armi e scale che si agitavano in aria; di tanto in tanto, in mezzo a quel rombo cupo e sinistro di una moltitudine agitata e tumultuante, che somiglia al mormorio tempestoso delle onde, si distingueva il martellare d'una campana, e qualche grido di morte, a cui la folla rispondeva con lunghi ululati di gioia.

- Che c'è di nuovo? - domandò Lupo ad un giovinotto che vide uscir di casa con uno spiedo in mano, ed avviarsi verso il forte della calca.

- Nol sai? - gli rispose, - si va a dar la scalata al Palazzo della Signoria: alle mani! bisogna finirla con questi rinnegati! - e così dicendo gli sparì dinanzi.

- La scalata al Palazzo della Signoria? -, disse Lupo in cuor suo: - se non ho franteso, mi dicevano a Milano che è appunto che Marco sta di casa -, e coll'animo tutto sossopra per questa novella, fece alcuni passi innanzi, con un'intenzione di chiarirsi meglio com'ella stesse; ma pensò poi tosto che il domandare così spiattellatamente di Marco in mezzo ad una moltitudine, che, a quel che parea, gli s'era rivoltata contro, non poteva tornar bene a nessuno; e, fatto più riposatamente che poteva i suoi conti, tornò indietro fin dove si ricordava d'aver visto, passando, un'osteria. V'entrò, mise il cavallo in istalla, e cominciò come per ozio a chiacchierare colla vecchia ostessa rimasta sola in casa, chè il marito e due suoi figliuoli eran fuori a far baccano; e dandole attorno con buona maniera, come se non fosse suo fatto, la fece cantar di bello, e le cavò di bocca tutto che gl'importava di sapere.

Ecco come stavano le cose. Marco si trovava a Firenze già da parecchi giorni. Intanto uno dei capi delle bande tedesche, rimasto a Lucca suo luogotenente, aveva lasciate le briglie sul collo ai soldati, i quali, come quelli che rodevano il freno già da un pezzo, s'eran dati a correr per propria la città, saccheggiando, imponendo taglie, prendendo vendette, travalicando insomma ad ogni enormità; e i cittadini, già frementi pel sospetto che il Visconte fosse in pratica di vender Lucca alla Repubblica di Firenze, eransi levati a tumulto.

Il Limontino, il quale, al primo sospettar che Marco fosse in pericolo, s'era deliberato a una delle due, o salvarlo o farsi accoppare, sentì rimettersi il cuore in petto quando lo seppe fuor delle peste. Non rimanendogli più nulla da fare a Lucca, si rimise tosto in cammino per cercarlo a Firenze, chè ben pensava di che importanza fosse il sollecitare il ricapito della lettera d'Ermelinda, dalla quale poteva forse pendere la vita di tre persone, che per diversi rispetti gli erano tutte così strettamente care. Dunque a cavallo, e innanzi. Il viaggio da Lucca a Firenze è piuttosto lunghetto, e non sembra che i miei lettori abbiano una voglia tanto spasimata di tenergli compagnia, e però lo lasceremo camminar solo a suo agio, e noi, cambiando scena, ci trasmuteremo addirittura sull'Arno, dove, fin che il Limontino arrivi, potremo occuparci un poco di Marco.

 

 




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